Il frutto c’è

Quarta settimana d’Avvento

Siamo giunti all’ultima settimana di questo intimo e personale itinerario d’Avvento.

È il tempo/terreno di portare frutto.

Vorrei che tutti credessimo con convinzione che c’è in noi anche e soprattutto il terreno buono, quello che porta frutto. Il Signore lo ha lavorato in noi lentamente, ma con costanza e cura. Se ce ne avvediamo, possiamo essere riconoscenti!

Ecco allora l’esercizio per te, per concludere questo cammino e prepararti al Natale con animo lieto.

Armati di carta e penna. Se ce li hai, ti consiglio di usare il tuo taccuino e la tua penna preferita.

Anche in questo caso, pianifica un momento tranquillo, dove sei certo di potere agire indisturbato! Ci vogliono quindici minuti… per un grande beneficio. Ne vale davvero la pena!

Mettiti alla tua scrivani e chiudi la porta, oppure siediti al tavolo di casa, ma solo quando c’è quiete, o perché sono tutti fuori, o al mattino presto. Se ti fa piacere concediti una bella colonna sonora, o accompagna l’esercizio con una tisana.

Ti consiglio di rispondere a queste due semplici spunti.

1. Che cosa c’è stato di bello, nella mia vita, a partire da marzo, nonostante la pandemia? (Provo a riconoscere tutto ciò che ha contraddetto la narrazione di un anno “schifoso”; anche se magari ci sono state davvero tante cose brutte, provo a concentrarmi su quelle belle.)

2. Individuo e focalizzo due cose che ho imparato o da un’esperienza, o da un libro o un film o una musica, o da una lezione di vita. (Descrivo cos’ho imparato, quando ho capito di aver ricevuto un insegnamento, qual è stata la situazione da cui ho potuto imparare.)

Concludo scrivendo una preghiera personale. Non importa che sia un trattato di teologia o una poesia mistica. Basta che metta in fila un ringraziamento, una supplica e una benedizione. Quando vuoi, potrai recitarla davanti al presepe.

 

PS: se vuoi raggiungere il livello “pro”, puoi decidere di scrivere un biglietto o una breve lettera a qualcuno a cui vuoi bene (il coniuge, un partner, un/a amico/a). Condividi un momento piacevole con lui/lei di quest’anno, raccontagli/le un’esperienza che ti ha insegnato qualcosa, e digli/dille che sei contento di festeggiare il Natale con la sua presenza nella tua vita.

Ti lascio scoprire che effetto meraviglioso e sorprendente avrà questa cosa.




Il passo della gioia

Nel percorso verso l’avvento, questa domenica batte il passo della gioia. Anche la candela della corona cambia colore e diventa rosa. Tra le quattro dell’Avvento, questa è una domenica che si distingue. Gioite, rallegratevi sempre, il Signore viene (Fil 4,4), recita l’antifona della liturgia odierna.

Come sempre la Parola proposta è ricca; iniziamo col soffermarci su alcune espressioni, della lettura di Isaia (61, 1-2.10-11), sottolineando tre passaggi che soggiacciono a questo invito alla gioia.

Primo passaggio. Come battezzati siamo consacrati, siamo parte di Dio e, come tali, siamo chiamati all’annuncio e alla carità. Questa è la nostra gioia. Portare il lieto annuncio ai miseri, fasciare le piaghe dei cuori spezzati, proclamare la libertà degli schiavi, … perché appartengo, apparteniamo a Dio, tutti. Non esiste condizione che ci privi e privi nessuno del suo abbraccio amorevole.

Secondo Passaggio. Egli mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il mantello della giustizia, mi ha nobilitato con i suoi gioielli. Così come ha impreziosito me, Dio desidera che l’umanità sia ugualmente impreziosita riconoscendo lo Spirito nel suo essere, anche mediante l’azione di ogni singolo consacrato.

Terzo Passaggio. Solo così, germoglierà la giustizia e tutti potremmo dire le meraviglie di Dio. Poiché come un giardino fa germogliare i suoi semi, anche la terra di ciascun essere umano può essere fertile e fruttuosa. Come sempre si intreccia il rapporto personale con Dio anche attraverso la relazione con chi mi è vicino.

C’è di che essere gioiosi. Il Signore per primo è vicino. Come possiamo riconoscerlo? Giovanni il battista nel Vangelo odierno rappresenta la figura che ognuno di noi può avere come modello per un percorso che renda visibile la presenza di Cristo nelle nostre giornate verso il Natale, e non solo. A noi tocca ‘ritrarre’ il nostro ego per lasciare spazio al Messia, al Consacrato; noi siamo voce nel deserto, Egli è Parola del Giardino, seme che germoglia. C’è una distanza tra divino e umano che grazie al Natale viene colmata, per l’abbondante misericordia di Dio.

Ecco, il nostro Dio viene anche così: riconoscendo di essere sua parte, consacrati e inviati alle donne e agli uomini che ci sono vicini.

Senza timore alcuno poiché siamo rivestiti della sua splendida bellezza; a noi tocca solo di lasciare che sia lui a prendere spazio e la vita cambierà, sarà Natale vero.

Rallegratevi dunque, Rallegratevi nel Signore, sempre.

Anna Maria e Francesco Paolo




Sradicare i rovi

Terza settimana d’Avvento

 

I rovi sono quelle cose che uccidono la Parola di Dio, togliendole il respiro, cioè impedendole di soffiare in noi lo Spirito di Dio.

Nel terzo terreno la Parola di Dio attecchisce, ma poi crescono i rovi e la soffocano.

Soffocare: uccidere togliendo il respiro.

In questa terza settimana d’Avvento, dunque, dobbiamo sradicare i rovi.

1 – Sradicare le preoccupazioni

Gesù dice che la prima cosa che soffoca la Parola di Dio sono le preoccupazioni del mondo. Dobbiamo perciò trovare la via di rasserenarci, però non in maniera fittizia o volontaria… ma facendo un gesto di affidamento.

Ecco il primo esercizio che puoi fare. Ti consiglio di farlo una volta sola, nell’arco della terza settimana d’Avvento. Nulla ti impedirà di ripeterlo successivamente, ma per questo nostro percorso, limitati a una volta sola. Però pianifica quando farlo. Ti ci vogliono 10 minuti di quiete, senza che alcuno ti possa disturbare.

Vai in chiesa, oppure chiuditi in camera, inginocchiati, pensa un attimo alle tue preoccupazioni e ai tuoi affanni del momento e pensa che li vuoi consegnare nelle mani del Signore. Non insistere troppo nella focalizzazione: lo scopo non è preoccuparsi di più, ma consegnarli.

A questo punto mima proprio il gesto della consegna: le braccia che si tendono in avanti, con le palme verso l’alto. Fermati. In quella posizione, con i gomiti leggermente piegati, gli avambracci protesi in avanti, le mani rivolte verso l’alto prega il Salmo 130/131. È fondamentale tenere le palme aperte ed essersi preparati prima il testo del salmo, in modo da poterlo leggere senza distrarsi nel momento di affidamento.

Alla fine sentirai che tutti gli affanni sono passati.

Salmo 131

Signore, non si inorgoglisce il mio cuore
e non si leva con superbia il mio sguardo;
non vado in cerca di cose grandi,
superiori alle mie forze.

Io sono tranquillo e sereno
come bimbo svezzato in braccio a sua madre,
come un bimbo svezzato è l’anima mia.

Speri Israele nel Signore,
ora e sempre.

2 – Sradicare le seduzioni della ricchezza

Il secondo rovo che soffoca la Parola di Dio è la seduzione della ricchezza. Il gesto che neutralizza queste spine mortali è fare un piccolo atto di beneficenza. Anche in questo caso, per il nostro cammino di Avvento, è sufficiente una volta, nell’arco di questa terza settimana. Magari non lo stesso giorno che hai fatto l’esercizio precedente. Ti propongo una piccola cosa, ma genuina. Non c’è bisogno che tu dia via metà del tuo patrimonio o che faccia una donazione che ti pesa. Basta un gesto di generosità senza se e senza ma, come – ad esempio – lasciare 2 euro a un mendicante per strada (dimenticando per una volta tutte le buone ragioni per cui non sarebbe opportuno farlo), oppure fare una piccola donazione a un’associazione che ritieni affidabile… Qualcosa fatta con questo spirito: “voglio neutralizzare la seduzione della ricchezza”. Importa che tu lo faccia “oggi”. Avrà efficacia anche “domani”.

3 – Sradicare le passioni ingannevoli

Sradicare le nostre passioni negative è quasi impossibile, è un dono della grazia di Dio che ci aiuta come a “sostituirle”, ad animare di bene le nostre passioni. È un’opera che compie lo Spirito Santo, solo che noi non lo preghiamo quasi mai, per questo è “quasi impossibile”.

Ti consiglio di radicarti nella preghiera allo Spirito Santo, pregando la Sequenza allo Spirito Santo tutti i giorni di questa terza settimana d’Avvento, alla mattina, appena sveglio, oppure nel primo momento libero. È indispensabile non farlo mentre fai altre cose, tanto ci vuole un minuto solo per dire tutta la sequenza.

Ti sembrerà incredibile, ma sentirai l’efficacia della Parola che ti cambia in meglio.

Sequenza allo Spirito Santo

Vieni, Santo Spirito,
manda a noi dal cielo
un raggio della tua luce.

Vieni, padre dei poveri,
vieni, datore dei doni,
vieni luce dei cuori.

Consolatore perfetto,
ospite dolce dell’anima,
dolcissimo sollievo.

Nella fatica, riposo,
nella calura, riparo
nel pianto, conforto.

O luce beatissima,
invadi nell’intimo
il cuore dei tuoi fedeli.

Senza la tua forza,
nulla è nell’uomo,
nulla senza colpa.

Lava ciò che è sordido,
bagna ciò che è arido,
sana ciò che sanguina.

Piega ciò che è rigido,
scalda ciò che è gelidio,
drizza ciò che è sviato.

Dona ai tuoi fedeli
che solo in te confidano
i tuoi santi doni.

Dona virtù e premio,
dona morte santa,
dona gioia eterna. Amen.




La vera Luce

Colmare, ridurre, raddrizzare le strade

L’Avvento è un tempo STRAordinario, nell’ordinarietà dei nostri giorni, in cui decidiamo di metterci in cammino verso il Natale.

Nelle letture di questa seconda domenica di Avvento, Isaia ci invita alla preparazione della strada per il ritorno verso Gerusalemme, dopo il periodo d’esilio in Babilonia.

Marco, all’inizio del suo vangelo (il più antico tra i quattro) riporta la predicazione di Giovanni il battista che gridava nel deserto: “preparate la via del Signore“. L’invito è quello di andare da Gerusalemme verso il Giordano, il luogo in cui immergersi nel battesimo con acqua, segno del futuro battesimo nello Spirito.

Nei due brani c’è l’idea di una strada da sistemare: essa ci potrà condurre verso un ‘nuovo vertice’ della vita, ovvero verso una vera e propria con-versione.

Colmare, ridurre, raddrizzare, sono alcune delle operazioni necessarie per lasciare le nostre ‘Babilonie’ e rigenerarsi nello Spirito. Ad esempio, potremmo utilizzare le numerose luci e lucine che troviamo per strada o quelle che utilizziamo per l’addobbo casalingo, come luci evocatrici di una pista di atterraggio o di un faro per orientarsi alla Luce.

 

Aprire spazi, creare luoghi perché il vero Natale trovi posto nelle nostre vite

L’Avvento è per noi la strada spirituale verso un Natale diverso, come un grido nel deserto di una pandemia, di una distrazione di massa verso consumi più o meno sobri, di un deserto interiore magari con una via stanca piena di buche o di grandi sassi, una strada fatta di una fede convenzionale di abitudini e/o di sole regole senza un’anima.

In questo Avvento ecco per noi una strada nuova: colma, riduci, raddrizza le tue giornate, vivi il tuo ‘deserto’ come una risorsa per preparare un Natale nuovo. Rifare i nostri spazi con presepe ad albero e creare luoghi interiori come una culla, una mangiatoia, per accogliere vita nuova, come accade in ogni grembo materno che si espande e in alcune parti si ritrae, per far posto alla nuova vita che verrà.

 

Un invito per ciascuno di noi

Puoi far coincidere la nascita di Gesù con la tua rinascita, con-vertendo il tuo battesimo sulla strada della riscoperta della sorgente di vita, bontà, verità e bellezza.

Il Signore viene e traccia la strada con i suoi profeti, ha segnato con i suoi testimoni il percorso da seguire e, noi, siamo invitati e inviati tra di essi perché il mondo possa intravedere la vera Luce che viene ogni giorno, tra le tante piccole stelle di Natale.

Anna Maria e Francesco Paolo




La forza della Parola

Il seme che sradica le pietre

Il secondo terreno su cui cade la semina della parola è quello sassoso, che ha come caratteristica di permettere al seme di germogliare, ma lo fa seccare alla prima calura per la mancanza di radici.

È fin troppo facile identificarlo con la nostra superficialità, le distrazioni, la pigrizia e – viceversa – la convinzione di potere fare mille cose, che ci impediscono di scendere in profondità, di assimilare e trattenere le esperienze vissute e le cose buone che abbiamo imparato e che ci potrebbero fare bene.

Ci sono come dei sassi che ci fanno inciampare e che rendono meno fertile il terreno.

Su queste tendenze, che in misura diversa sono di tutti, risuonano le parole dell’Avvento: Spianate nella steppa la strada per il nostro Dio! Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata. Allora si rivelerà la gloria del Signore! (Is 40,3-5)

È un comando, ma è anche un “vangelo”, una buona notizia!

Possiamo trasformare questo terreno sassoso, e renderlo fertile. Possiamo trasformare quella parte della nostra esistenza più superficiale e farla diventare uno spazio accogliente.

Paradossalmente, è la stessa Parola di Dio che ha il potere di farlo. È come se il seme del Seminatore, avesse la proprietà di fare dei germogli così forti e robusti da rimuovere le pietre del terreno.

Infatti, il profeta Isaia afferma ancora: Secca l’erba e appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio rimane per sempre. (Is 40,8)

Così, in questa tappa, siamo invitati a dare spazio alla Parola di Dio letta, meditata, pregata e amata, perché ci dia quell’energia dinamica capace di bonificare il terreno. È l’impegno di questa seconda settimana d’Avvento: dopo avere provato a trasformare la strada in terreno fertile, chi vuole potrà trovare nella parte successiva l’esercizio spirituale per rimuovere i massi.

 

Metodo

1) Scegliere in anticipo un giorno e un momento preciso nella settimana per vivere questo momento di preghiera. Fissarlo in agenda e difenderlo con tenacia da qualsiasi altro impegno. 

2) Decidere in anticipo dove lo vivrò: se in chiesa, in quale chiesa? Se a casa, in quale stanza, su quale tavolo? Se in ufficio o all’aperto, dove precisamente? 

3) Tenere un taccuino di appunti e una biro. Tutti i passaggi della meditazione, ma anche le preghiere, sono facilitati se scrivo i miei pensieri. Basta anche solo un appunto, non importa che la forma sia perfetta. Lo faccio solo per me. Non lo deve né leggere né vedere nessun altro. 

 

Ingresso nella preghiera

Tempo previsto 3′

Prima di tutto, faccio lentamente il Segno della Croce, poi dispongo il mio cuore alla preghiera, chiedendo la grazia di cui ho bisogno.

Aiutami, Gesù, a preparare il mio cuore, perché la grazia del Natale sia significativa per me. Ti chiedo che questo momento di preghiera sia come un bagno, e che ne esca purificato/a dalle distrazioni, dalle frenesie e dalle preoccupazioni. Fa’ che lo Spirito mi guidi a celebrare con gioia la festa di Natale.

 

Meditazione

Tempo previsto 20′

Ora, meditiamo il testo.

PRIMO. Stiamo leggendo l’inizio del Vangelo. Marco è stato il primo vangelo ad essere scritto, quindi stiamo leggendo l’inizio di tutti i vangeli, anche se poi sono stati sistemati con un ordine diverso. Siamo riportati adunque al primo incontro con questo grande dono del Vangelo.

Medito: che emozione mi suscita la consapevolezza di essere riportati a questo incontro decisivo con l’annuncio della buona notizia di Gesù? Quando l’ho ascoltata per la prima volta, e da chi? Quando invece ho sentito che diventava importante, decisivo nella mia vita?

SECONDO. Giovanni Battista viene presentato come la voce del profeta Isaia che annunciava la consolazione per la fine dell’Esilio di Babilonia. Ora, il motivo della consolazione testimoniata da Giovanni è l’incontro imminente con Gesù. Dobbiamo pensare a un incontro molto concreto, fisico. Nella sequenza iniziale del Vangelo secondo Marco, Gesù entra in scena e si rivela pubblicamente per la prima volta.

Medito: quali motivi di consolazione ci sono nella mia vita? Li elenco tutti, preferibilmente su un quaderno o un foglio di carta.

TERZO. L’annuncio di Giovanni, però passa attraverso la richiesta di un impegno di conversione. Un “battesimo”, nel senso che uno/a ci si deve impegnare completamente.

Medito: che cosa significa per me, concretamente e pensando solo a queste tre settimane che rimangono prima del Natale, impegnarmi davvero a preparare l’incontro con Gesù? Provo a individuare una cosa, solo una, che desidero migliorare, in cui provare a mettere più attenzione, cura e impegno.

QUARTO. Giovanni dice che dopo di lui viene qualcuno di molto più importante, così sollecita la nostra attesa. Lui si riferisce alla presenza di Gesù che inizia il suo ministero pubblico, per noi in questo tempo significa prepararci al memoriale della nascita di Gesù, nella celebrazione del Natale.

Medito: chi è Gesù per me? Che sentimenti ho nei suoi confronti?

 

Preghiera

Tempo previsto 3′

Ora provo a raccogliere gli spunti che ho meditato e a trasformarli in preghiera. Dev’essere una preghiera semplice, con le mie parole, rivolta a Gesù. Potrebbe essere (ma solo come esempio):

Gesù, mi ha emozionato ritornare all’inizio del Vangelo. È come ripercorrere l’inizio di una storia d’amore. Ti ringrazio perché anche in mezzo alle preoccupazioni di questi giorni ho tanti motivi di consolazione… […]. Mi propongo di impegnarmi di più… […], per essere attento a vivere la festa con consapevolezza e intensità spirituale. Non vedo l’ora che sia Natale: sostare davanti alla tua natività suscita in me il desiderio di amare di più.

 

Contemplazione

Tempo previsto 2′

Infine, contemplo.

Scelgo una parola, una sola, che riassuma il contenuto della mia preghiera; potrebbe essere: speranza, o consolazione, o Vangelo, o Gesù. Prima di uscire dalla preghiera, mi siedo comodo, metto la schiena dritta, chiudo gli occhi e respiro lentamente. Mentre respiro, ripeto lentamente, al ritmo del mio respiro la parola che ho scelto. Faccio questo per 2 minuti o finché me lo sento. Non devo fare altro.

Al termine mi faccio lentamente il Segno della Croce ed esco dalla preghiera.




Aprirò anche nel deserto una strada

Irrigare l’aridità

Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. […] Il seminatore semina la Parola. Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la Parola, ma quando l’ascoltano, subito viene Satana e porta via la Parola seminata in loro. (4,3.15)

Una delle prime promesse di Dio, che risuonano nel Tempo d’Avvento, è quella di ricondurre gli esiliati, di aprire percorsi necessari e nuovi.

Così dice il Signore, che aprì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti. […] Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. (Is 43,16.19)

In tutti noi c’è una parte più esposta a farci strappare il buon seme. Vuol dire, prima di tutto, che c’è molto di buono in ciascuno di noi. Il seme cade in uguale quantità sulla strada, come sul terreno buono. Abbiamo la possibilità di esserne consapevoli e di non lasciarcelo portare via dal Nemico. Non dobbiamo spaventarci. La partita non è fra noi e il Nemico e basta. Nella nostra squadra gioca un fuoriclasse, Dio, che fa la differenza.

Come ha aperto nel Mar Rosso la strada a Israele, per strapparlo dalla schiavitù, così anche oggi apre nel deserto una strada. Non è, però, una strada arida come quella della parabola. “Aprire una strada nel deserto” come dice il seguito del versetto di Isaia, significa in realtà irrigare quel terreno, renderlo fertile e attraversabile, tale da offrire il sostentamento e refrigerio durante il percorso.

In questa prima settimana d’Avvento, dunque, lasciamo che il Signore irrighi la nostra strada per trasformarla in terreno fertile. Possiamo fare concretamente questo esercizio:

1) Vado in chiesa 5 minuti per fare questo esercizio.

2) Lo posso fare una volta nella settimana o una volta al giorno o secondo il ritmo che preferisco.

3) Individuo due o tre peccati, debolezze o aridità che sento in questo periodo.

4) Ripeto questa frase: Padre buono, sento in me questo peccato/questa debolezza/questa aridità: me ne dispiaccio, ma non voglio intristirmi. Lascio che la bagni la tua misericordia.

5) La ripeto qualche volta, con calma, identica, finché non è scesa profondamente nel mio animo.

6) Concludo l’esercizio con questa semplice preghiera: Rendimi terreno fertile, Signore Gesù.




L’Avvento e il seminatore

Quattro terreni e quattro settimane 

Ci accostiamo all’Avvento, nell’anno in cui meditiamo sulla parabola del seminatore (Mc 4,1-20) e in questo periodo della pandemia che sembra volere erodere il senso delle feste natalizie. 

Abbiamo più che mai bisogno di una parola che venga seminata nei nostri cuori, per infondere in essi chiarezza e speranza, la virtù regina del Tempo di Avvento. 

Quattro sono le settimane dell’Avvento, come i terreni in cui viene seminata la parola. Percorriamo, allora, un itinerario spirituale per arrivare al frutto pieno: la Parola incarnata nella vita del mondo e pienamente accolta nel terreno del nostro cuore.  

Nel prossimo mese, tutte le settimane che precedono ogni domenica d’Avvento, troverete sul sito un’indicazione e un piccolo esercizio spirituale per trasformare ciascuno dei terreni della parabola del seminatore, terreni che sono, in realtà, nel nostro cuore. Ognuno potrà scegliere di fare questo esercizio spirituale nella settimana prima o dopo la domenica di riferimento, a seconda se preferisce prepararsi alla domenica, o avere un aiuto per vivere il cammino dell’Avvento in corso. 

La notte di Natale, così, potremo forse raccogliere un frutto tanto desiderato, eppure sorprendente e davvero inaspettato.




Natale è vicino…

Natale è vicinissimo.

Raccogliamo qualche breve indicazione per vivere bene e spiritualmente la festa.

UNA BUONA CONFESSIONE

Fate una buona Confessione. Raccoglietevi qualche minuto in preghiera silenziosa e pensate all’arco di tempo che volete considerare, poi rispondetevi a queste domande:

  • Per quali cose/motivi voglio ringraziare il Signore in questo tempo? (Attenzione, valgono le piccole cose, come le grandi!).
  • Tenendo in mente queste cose belle, a che cosa il Signore mi chiama? (Forse a migliorare in un atteggiamento? Forse a radicarmi in qualche virtù? Forse a vivere la carità?)
  • Dov’è che non ho risposto con amore a queste chiamate? Quello che individuo, può essere oggetto della mia confessione.

SPERIMENTATE L’AMORE DI GESÙ

Sentitevi amati dalla Parola di Dio. In che senso “amati dalla Parola di Dio”, non si dovrebbe dire piuttosto “amate la Parola di Dio”? No no, vuole dire proprio così: amati dalla Parola di Dio! Prendetevi cioè, un piccolo momento di sosta prima della grande festa e… (lo so, lo so… bisogna preparare i tortellini, e l’arrosto… e il centro tavola….), dicevo: prendetevi un momento di sosta (stabilite con precisione quanto: 5 minuti, 10 o quello che volete. L’importante è che siate precisi nelle intenzioni!) e pregate su una pagina del vangelo che vi è cara. Il racconto della nascita di Gesù è perfetto per l’occasione, se volete. Non sforzatevi di capire di più, di studiare il testo, di fare una particolare meditazione. Cercate solo di soffermarvi su qualche punto in cui la parola risuona con la vostra vita, attraverso cui molto semplicemente vi sentite confortati, amati e incoraggiati ai sentimenti migliori. Lasciate che questa consolazione spirituale vi penetri e riempia tutto il vostro essere. Quando concluderete questa preghiera, scoprirete che tutto sembra avere una nuova armonia.

UN GESTO DI CARITÀ

Scegliete un gesto di carità. Quando andate a fare la spesa per le feste, potreste scegliere di fare un po’ di spesa anche per chi è povero; oppure fermarvi da una persona che chiede l’elemosina e chiedergli come si chiama, scambiare due parole e magari offrirgli la colazione condividendola con lui, oppure un buon toast caldo. Oppure potreste andare a trovare quella persona sola del vostro condominio, o fare un gesto generoso e inatteso per qualcuno. È un modo per rendere di più il nostro cuore di carne e per fare risuonare quel bellissimo consiglio che, fin dalla prima riunione degli apostoli, è rimasto come un criterio assoluto e imprescindibile: “Solo li pregammo di non dimenticarsi dei poveri.”

Buon Natale!

Don Davide




La festa “giusta”

C’è qualcosa di profondamente giusto nel celebrare il Natale.  

Giuseppe riconosce che accogliere la gravidanza di Maria era la cosa giusta da fare. I pastori capiscono quanto fosse giusto rispondere all’invito degli angeli e quel segno loro dato. I Magi, infine, imparano senza ombra di dubbio che è Betlemme la città giusta. 

L’unica cosa sbagliata sembra il momento: lontano da casa, in condizioni precarie. Eppure, nel racconto non abbiamo davvero la percezione che sia così… 

A ben vedere, non poteva che essere a Betlemme, secondo i profeti. E anche quella tanto bistrattata mangiatoia – “perché non c’era posto per loro nell’alloggio” (Lc 2,7) – sembra piuttosto un tentativo di dare a tutti i costi un riparo, e un aiuto, a quella coppia. 

Infatti, il racconto descrive la scena senza tensione: “Diede alla luce il suo figlio primogenito” (Lc 2,6). 

Quando il Natale sboccia per noi possiamo abbandonarci fiduciosi alla provvidenza che porta; abbiamo sempre la convinzione di non esserci preparati abbastanza, che sia arrivato troppo in fretta, senza che ce ne rendessimo conto, ma in realtà… non importa. 

Ciò che conta è che possiamo percepire che la festa del Natale è una cosa giusta e buona che il Signore compie per noi: che ci regala un momento di intimità, un sussulto di sensibilità, un attimo di pace con noi stessi, una gioia in famiglia, uno scambio d’amore, un accenno di speranza. 

Non importa se e quanto piccoli siano queste esperienze. Se siano assediate da avversità o da tristezze, se appaiano inopportune. Gesù si rende presente e ritiene che sia giusto che tutta la gioia possibile di questo momento ti sia donata.  

Lo sai che non sei escluso dalla festaMa prova anche a capire cosa significa profondamente: la bontà di Dio ti riguarda. Il Signore ha acceso questa luce per te e non verrà offuscata dal buio. 




Un figlio e un bambino – Omelia Natale 2018

Il dono di uscire da noi stessi

“Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio.” (Is 9,5).

Dio si rende presente in mezzo a noi nei panni di un bambino, in modo che si compia il miracolo di spossessarci di noi stessi, perché quando nasce un figlio, o ti viene dato un bambino, è così: il tuo tempo non è più riservato, ti dedichi completamente e diventi responsabile di lui.

Ho visto mio fratello quando è nato il mio primo nipote – immaginatevi un uomo grande e grosso, fintamente burbero e che mai avrei pensato che si potesse calare in questo ruolo – tenere in braccio suo figlio come un papà navigato. Si dice che quando nasce un figlio si impara subito a fare la mamma e il papà; magari c’è qualche impaccio all’inizio, però sei subito attenta e ci tieni ad accudirlo. Spesso le giovani mamme e i giovani papà accettano i consigli, ma sono anche gelosi del loro modo di prendersi cura dei bimbi.

Sottolineo: è una cosa che in parte si impara, ma che soprattutto è frutto quasi immediato di questo evento dirompente che sconvolge la vita per sempre, da un momento all’altro. Prima si era autonomi e si faceva quel che si voleva. Dopo c’è un altro e ci sarà per sempre.

Allo stesso modo Dio vuole realizzare in noi la vita adulta, l’uscita dal nostro egoismo, l’arte di non preoccuparci più di noi stessi e quella sorta di gelosia per la cura di un altro.

Una mia amica qualche giorno fa mi scriveva che la vita riserva sempre dei momenti stupendi, ma la leggerezza, quella è riservata all’età giovanile. Anche se sembra una riflessione un po’ amara, in fondo è vera: perché quando diventi responsabile di una persona non puoi più essere tanto leggero. Ci sono una gioia e un lusso legati a una perdita: hai sempre quel pensiero fisso, sei completamente portato fuori da te stesso.

Dio ci fa questo regalo: aprire il cuore e vincere la preoccupazione costante di salvaguardarci e proteggerci.

E se sei responsabile di qualcuno, vuole dire che sei prezioso, vuol dire che hai un ruolo ben preciso nella storia del mondo, vuole dire che senza di te quella creatura sarà un pochino più sola, e quindi è quanto mai importante che tu ci sia, che te ne prenda cura.

(Sento già l’obiezione: quindi chi non ha nessuno, chi non ha figli o ruoli, o è solo vuol dire che non vale? Vuol dire che non conta nulla? Ovviamente non è così, ma vi chiedo di pazientare ancora un attimo. Per ora voglio insistere su un altro aspetto.)

Il dono di Dio non si realizza solo quando nasce un figlio, ma ogni volta che qualcuno ti viene dato, perché tu possa essere fratello e sorella, padre e madre, qualunque sia il rapporto di età.

Ricordo le prime volte che, da giovane educatore, portavamo i bimbi a campi estivi. La sera gli preparavamo la camomilla e gli leggevamo i libri della buona notte. Fino al giorno prima a fare gli spacconi fra amici e a considerare dei poveretti quelli che perdevano il sabato pomeriggio dietro a dei cinni o una settimana d’estate a fare i campi, e il giorno dopo sei lì, seduto sulle scale di una casa vecchia e fredda, a raccontare le storie.

Una volta sgridai due ragazze del primo anno del liceo perché le avevo trovate ancora sveglie a tarda notte, con la torcia accesa sotto le lenzuola. Avevano dovuto scegliere se venire alla due giorni o studiare latino: avevano deciso di venire al ritiro, e stavano traducendo una versione di latino con la torcia, sotto le coperte per non farsi beccare. Alla fine mi sono messo a fare la versione con loro.

Dopo otto giorni di un campo itinerante, l’ultima sera, all’una di notte una ragazza mi confida di essere anoressica. Tu vuoi solo andare a letto, hai gli occhi che ti si chiudono, ma capisci che in quel momento devi essere lì, ascoltarla tutto il tempo che serve.

Nei nomi che vengono dati a questo “bambino” riconosciamo che il suo potere è di rendere chiaro il discernimento, di strapparci fuori da noi stessi, di insegnarci una maternità e una paternità sempre più dilatate, che vanno in entrambe le direzioni… dal più vecchio al più giovane, ma anche, notatelo bene, dal più giovane al più vecchio. Sì, anche voi giovani siete padri e madri, fratelli e sorelle per chi ha più anni di voi!

L’ultimo nome è “Principe della pace”. Quando sei strappato fuori da te stesso si compie il grande miracolo: è questa la via per la pace del cuore. Quel frastuono di calzature di soldato che cessa improvvisamente e quei mantelli intrisi di sangue che vengono bruciati nel fuoco, sono il segno di una guerra che finisce soprattutto dentro noi stessi.

Due volontarie della Caritas mi hanno raccontato di un imprenditore che, candidamente, si dichiarava razzista. Aveva una posizione di lavoro aperta e loro sono andate a parlargli per un ragazzo africano. Non si sa bene come abbiano fatto a convincerlo e ora… guai a chi glielo tocca! Gli ha dato la promozione e pure l’aumento!

Anche Maria e Giuseppe – soprattutto loro! – hanno vissuto concretamente questo segno: un figlio dato, un bambino nato. Le luce che improvvisamente spezza le tenebre. Una gioia moltiplicata.

Adesso mi chiedo che cosa significhi questo evento anche per chi non sente di potere dire: “Ho avuto una gioia moltiplicata…”

Ho davanti il volto dei tanti amici e amiche che soffrono perché non hanno l’amore; le donne che desidererebbero essere madri e non lo sono perché non possono o perché è passato il tempo, e che non sopportano le feste in cui si parla di pannolini e pappine; ho in mente uomini afflitti perché non hanno le risorse per corrispondere ai bisogni della famiglia; penso agli stranieri rifiutati e ai poveri non aiutati; infine le persone tristi, che non hanno motivo di gioia, e quelli che vengono scartati, non appartengono ad alcuno e non hanno nessuno per cui sentirsi utili.

Deve essere Natale per tutti.

Ho davanti il volto di ciascuna di queste persone e non ho risposte.

Vedo però che in questa semplice famiglia di Betlemme non c’è alcuna manifestazione di superiorità, o rivendicazione, o pretesa di essere un modello. Tutte queste cose gliele abbiamo aggiunte noi, dopo. Vedo più che altro la potenza di accogliere la vita così come si manifesta. Sono andati via da casa, hanno fatto un viaggio non corto, mentre erano in quel luogo Maria dovette partorire. E poi la descrizione di un gesto semplice, immediato, quello che era possibile: hanno avvolto in fasce Gesù e lo hanno messo in un lettino di fortuna.

In questa scena, non c’è nessuna pretesa di dire: “Fate come noi!” e allo stesso tempo nessuna rivendicazione del tipo: “Mannaggia, che momento per partorire!”. C’è solo una potentissima consuetudine ad accogliere la vita come si manifesta. Senza ombra di paragone, né pretesa, né giudizio o condanna per chiunque altro.

È proprio questo stesso segno che viene indicato ai pastori. “Troverete un bimbo così” (Lc 2,12): in esso si esprime l’incredibile benevolenza di Gesù e basta.

Che cosa significa sperimentare la benevolenza?

Ho pensato a una notte di Natale di tantissimi anni fa, non so dire di preciso se a San Vigilio di Marebbe o a San Cassiano in Val Badia, ma ricordo perfettamente il momento. Eravamo a messa e il coro cantò Stille Nacht in una maniera incredibile. Avevano i corni e quei vocioni da alpini cresciuti con la grappa nel biberon. C’era un’atmosfera unica: le luci soffuse, i corni, la musica, il freddo. Aveva appena nevicato. Io ero ancora un bambino e non capivo niente, ma c’era la mia famiglia, ed era tutto così bello che mi sentii rassicurato.

Non a tutti, purtroppo, capita di sentirsi così profondamente rassicurati. Molti combattono tutta la vita contro una fiducia di fondo che è loro mancata, perché ne sono stati privati.

Ma Dio, con la nascita di Gesù bambino, vuole che ciascuno di noi si senta così intimamente rassicurato. Questa è la benevolenza di Dio.

Forse, allora, il primo passo per tutti è affidarsi a questa benevolenza che ci ristora, poi ci aiuta a fare altri passi. Insieme, ci vogliono fratelli e sorelle, amiche e amici, padri e madri che non facciano mancare la propria presenza. E spero che, come per Maria e Giuseppe, dopo alcuni rifiuti si potrà aprire una porta dove trovare pace.

Don Davide