Betlemme, Bologna

C’è un tesoro quasi insondabile nel riconoscere che, tra gli eventi altisonanti del mondo, Gesù nasce nella casa di persone di cui non viene ricordato nemmeno il nome, in un ambiente affollato. 

Nessuno può sapere se quella famiglia, che si è stretta per fare spazio a due persone e a un nascituro, abbia mai realizzato di avere offerto ospitalità al Messia. Ci avranno pensato quando, nella vicina Gerusalemme, crocifissero un uomo di nome Gesù di Nazareth? Avranno ricordato di avere ospitato circa trent’anni prima una famiglia di Nazareth, che chiamò il figlio Gesù? E dopo, qualcuno di loro è diventato cristiano? Avranno scoperto che il Salvatore del mondo, il Cristo di cui ora professavano la fede, il Dio incarnato era quel bimbo che una notte ormai perduta nel tempo era nato nella loro casa, da una giovanissima mamma e da un papà premuroso? 

Ci piace pensarlo, ma non possiamo saperlo. 

Il Vangelo non ce lo dice non per un’imperdonabile trascuratezza riguardo a questa famiglia che avrebbe dovuto essere considerata enormemente per il suo gesto; né perché Giuseppe e Maria si siano scordati di chiedere i loro nomi, di ringraziarli e di tramandare questo gesto di ospitalità insperato; ma perché così, in questo non avere un volto, un cognome e un indirizzo, quella casa lascia una casella vuota che può essere occupata, in futuro e per tutte le generazioni dei secoli, dalla nostra famiglia e dalla nostra casa. 

Via Ugo Lenzi, Piazza della Resistenza, via dell’Abbadia come Betlemme. “Venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). Potremmo parafrasare così: “Venne [in quel tempo a Betlemme] ad abitare in mezzo a noi [oggi, qui nelle nostre case]. 

Non vorrei pensare solo all’immagine di qualcuno di noi che dà un letto di fortuna a Gesù, perché tutti i bed ‘n breakfast e tutti gli hotel sono occupati. Si potrebbero fare molte associazioni, ma non voglio limitarmi a questo.  

Voglio che pensiamo agli infiniti modi in cui nelle nostre case diamo ospitalità a Gesù, spesso in maniera che ci appare insignificante o totalmente irrilevante rispetto al corso della storia, ma che possono essere un gesto decisivo e un momento di redenzione del mondo. 

La grazia del Natale non è tanto sapere quello che possiamo fare noi, o essere contenti per come siamo “capaci”, ma riconoscere che nel suo venire in mezzo a noi, in quel modo discreto e nascosto, misterioso e semplice allo stesso tempo, Gesù ci trasforma e ci fa il dono di essere quello spazio accogliente e così decisivo, ancorché pieno di limiti – perché uno spazio residuale, che si porta dietro sempre tutte le nostre fatiche – per la salvezza più grande che sia entrata nella storia.  

Potremmo osare di riscrivere il Vangelo di Luca così: Quando non c’erano più gli imperatori, ma molti potenti che dominavano le nazioni; al tempo in cui non c’erano i governatori delle regioni, ma pochi ricchi che si spartivano le risorse del pianeta; quando Francesco era papa e Matteo vescovo, Gesù continuava ad entrare in molti modi nelle nostre case e a renderci protagonisti, senza che alcuno se ne potesse accorgere, della salvezza del mondo. 

A ciascuno di noi il compito di continuare la storia. 

Tanti auguri di buon Natale, vissuto santamente e con gioia! 

Don Davide




Natale 2018

Natale 2018

L’attesa è finita: tempo di incontro 

È Natale, Gesù è nato, l’attesa è finita: “Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore!” (Lc 2,11). 

Si è avverato l’annuncio dell’angelo Gabriele a Maria: una giovane donna che pur senza aver compreso tutto pienamente, si fida e accetta di fare della sua vita un dono e con il suo “sì” cambia il corso della storia. 

L’attesa è finita: il grande evento si è realizzato, oggi è Natale! 

Natale indica una rinnovata esperienza di Gesù in mezzo a noi: siamo autorizzati a sentirlo vicino nelle cose liete come nelle difficoltà; nei momenti in cui siamo “bravi” e in quelli in cui lo siamo meno. Gesù sceglie di entrare in contatto concretamente nelle nostre vite. 

Il Figlio di Dio si è fatto carne, Egli è l’Emmanuele, il Dio con noi. 

Il mistero del Natale è luce, gioia, amore, pace, interpella ognuno e lo chiama alla riflessione. È vero che adesso la vita procede, a volte, in modo ansioso, sfrenato, convulso, ma ci sono anche momenti di serenità, di fiducia, commozione, apertura alla speranza perché i buoni sentimenti non possono durare solo il giorno di Natale. 

Certamente i pensieri restano e a volte ci assillano, non siamo immuni dal dolore e dalle preoccupazioni, per questo Gesù ha detto “Venite a me voi tutti che siete affranti e oppressi e io vi darò ristoro” (Mt 11,28). 

San Francesco d’Assisi diceva che l’amore chiede di essere amato, così il Verbo della vita che è nato in una grotta di Betlemme vuole trovare la sua casa in ognuno di noi, per essere amato e protetto. 

Amare Gesù significa amare le persone che ci sono accanto, a cominciare dalla famiglia, agli amici, alle persone che incontriamo in modo particolare se bisognose perché povere o perché sole. 

Una poesia di Madre Teresa di Calcutta inizia dicendo: “È Natale ogni volta che sorridi a un fratello e gli tendi la mano”. 

L’augurio di Buon Natale che ci scambiamo sia allora l’augurio di vivere pienamente l’incontro con Dio che in Gesù è venuto in mezzo a noi e ci è vicino. 

Don Davide




Avvento

Candele dell'Avvento 2018Tra i tempi liturgici che celebriamo lungo l’anno, l’Avvento è quello che ha iniziato ad esistere per ultimo.

I cristiani, all’inizio, cominciarono a riunirsi alla domenica per celebrare e condividere la fede in Gesù morto e risorto attraverso l’Eucaristia. Poi, iniziarono a celebrare una volta all’anno l’anniversario della morte e risurrezione con la festa della Pasqua.

Organizzarono, successivamente, la Settimana Santa e un tempo per celebrare con maggior ampiezza, la vita nuova di Cristo risorto: il tempo pasquale e un tempo di preparazione: la Quaresima.

Nell’anno 354 appare indicata per la prima volta come festa il 25 dicembre, che coincideva con la festa romana del “giorno del Sole” (la festa dei giorni che iniziano ad allungarsi), una festa che commemorava la nascita di Gesù e da qui nacque l’Avvento per il desiderio di prepararne la celebrazione.

L’Avvento è quindi il tempo liturgico di preparazione al Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini e contemporaneamente è il tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato all’attesa della seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi.

Il tempo di Avvento comprende quattro domeniche: nella prima si contempla la gloriosa manifestazione del Salvatore alla fine dei tempi; nella seconda la persona e la predicazione di Giovanni Battista; nella terza, chiamata anche “domenica della gioia”, l’attenzione è ancora sul ministero del Battista. La quarta domenica di Avvento, ripropone gli eventi che precedettero immediatamente la Nascita di Cristo: contempliamo Maria, la Madre di Dio che porta al mondo il figlio suo, come anche Giuseppe, suo sposo.

La comunità parrocchiale è invitata a scandire queste quattro settimane meditando una parola ispirata all’Enciclica Laudato si’ di papa Francesco, mentre i ragazzi del catechismo faranno un percorso su altrettante parole, analoghe, che evocano l’ambientazione giocosa della cucina e lo slogan di prenderci gusto, secondo questo schema:

  ADULTI CATECHISMO
1 sett. SOLIDARIETA’ EUFORIA
2 sett. URGENZA MANI IN PASTA
3 sett. UGUAGLIANZA ATTESA
4 sett. PROFUMO SOBRIETA’

L’euforia del clima natalizio riverbera o dovrebbe riverberare la solidarietà di cui parla papa Francesco come via di fraternità e di nuova amicizia, che dovrebbe essere vissuta più facilmente proprio nel tempo di Natale.

L’urgenza ci richiama al bisogno di mettere le mani in pasta, di fare la nostra parte, di impegnarci nella storia di questo mondo, di non tirarci fuori.

L’attesa, tipica dell’avvicinamento alla festa di Natale, si esprime soprattutto come desiderio di uguaglianza. Attendiamo che tutti gli uomini siano uguali, che ci sia giustizia, diritti e pace per tutti e che tutti possano avere le stesse condizioni di bene per vivere la festa con le persone amate.

Infine, la nuova sobrietà che auspica papa Francesco ha esattamente il profumo di ciò che è buono, ed esprime la vita del mondo e di ogni uomo, come dovrebbe essere: qualcosa che non puzza, ma anzi, che profuma di buono!

Luciano e Isabella Bocchi

I catechisti e don Davide




Natale: il giorno della grazia

Cos’hanno a che fare un venditore di teste di pollo e un venditore di trippa con la Natività, splendente sotto una corona di gloria?

E un povero calzolaio che vende scarpe spaiate, un vasaio, un mercante di sedie?

Gesù viene in un’umanità concretissima, rappresentata nel modo più essenziale possibile in un contesto volutamente spoglio di qualsiasi ambientazione, per enfatizzare questo segno: Gesù in mezzo all’esistenza operosa delle persone.

C’è una bellezza inesprimibile in questa scelta di Gesù, che non attira a sé i capi e i nobili del tempo, i sacerdoti o i soldati romani, ma il un popolo normale, ordinario. Questo ha permesso, nei secoli, di rappresentare il presepe in ogni modo e che ciascuno potesse sentire raccontata e accolta la propria storia in quella scena magica.

Gesù bambino non disdegna nemmeno quella parte della nostra umanità più meschina e ingannatrice, quella che tira a campare come meglio può. Nel nostro presepe, infatti, c’è anche un venditore fraudolento. Lo riconoscete? Gesù non vuole che si producano scarti; dunque, che tutti si avvicinino a lui! Che nessuno rimanga indietro, perché quale errore mai potrebbe essere guarito, se non davanti all’innocenza di Gesù bambino? Quale orgoglio si potrebbe sanare, se non di fronte all’umiltà della mangiatoia? Come potremmo sentirci accolti, giustificati, riscattati e in pace, se non in ginocchio davanti al presepe? Che si possa comprare senza spesa ogni bene prezioso, perché oggi è il giorno della grazia!

A ben vedere, però, leggendo “tra le statuine”, possiamo scoprire che il nostro presepe, in realtà, non è senza contesto. Annibale Carracci raccolse nella seconda metà del ‘500 in un’opera dal titolo: Le arti di Bologna, i disegni di un centinaio di mestieri di strada. L’opera andò quasi completamente perduta, ma è conosciuta grazie alle incisioni di Giuseppe Maria Mitelli, che un secolo dopo ricodificò questi mestieri, che hanno ispirato la creazione di queste statue.

C’è un filo rosso che ci rimanda alla storia della nostra città di Bologna e alle opere più importanti della nostra chiesa.

Guardando il presepe, quindi, in un momento di silenzio interiore, noi possiamo ascoltare il racconto dell’esistenza degli uomini e delle donne che ci hanno portato fino a qui, ad essere quelli che siamo, e sentire le loro voci che ci istruiscono ancora. La nostra parrocchia ha secoli di storia e noi ne siamo grati.

Desideriamo continuare questo percorso con la testimonianza della nostra fede e immergendoci nell’esistenza concreta di chi vive, lavora e spera nella nostra città. Vogliamo immaginarci come di camminare in mezzo al presepe e di comprare un cesto da mettere in chiesa per la raccolta alimentare, la verdura per il pinzimonio nel pranzo di Natale e l’uva, magari, per l’ultimo dell’anno. Ad ognuno rivolgere una parola. Con ciascuno un gesto di amicizia.

Sono le nostre strade e noi le abitiamo.

Sono le storie che ci hanno fatto; cerchiamo di restituire quanto abbiamo ricevuto.

Don Davide




Natale: gli inizi

“E così, sei tu!” pensa Maria, sognante, mentre avvolge di panni Gesù. Come ogni mamma finalmente si gode il momento in cui conosce suo figlio. Dopo averlo sentito e portato dentro per tanti mesi, ora lo vede, lo tocca. Non fosse per quell’aura luminosa, non ha davvero i segni di un infante diverso da tutti gli altri.

E anche Giuseppe lo osserva. Lo scruta, diremmo quasi. Inizialmente incredulo, poi rassicurato in sogno, aveva visto crescere la pancia di sua moglie. Eppure, come tutti i papà, aveva fatto fatica a rendersi conto davvero di avere un bambino. Ed eccolo lì. Vero, in carne e ossa. “Nostro figlio”, pensa.

Qualcosa di nuovo inizia per questa famiglia. I gesti di accudimento, l’apprendistato dei genitori, i primi passi nell’educazione, che incomincia dall’amore. E una trasformazione di vita radicale: il tempo speso, praticamente tutto, per un altro.

In questo gesto di sradicamento da loro stessi, Dio plasma un’alleanza ancora più amorosa di quella precedente, una storia della salvezza ancora inedita. Maria e Giuseppe, senza che se ne rendano conto, vengono trasformati. La loro trasfigurazione è già iniziata, ma sotto il cielo di Betlemme tutto viene ricreato, come un presepe che si fa nuovo ogni anno.

Anche per le persone coinvolte in questo evento, inizia qualcosa di nuovo. Prima di tutto lo stupore, la meraviglia che muove passi lenti e incerti, ma senza deviazioni, verso l’umanità di Gesù. Poi, forse, il senso di essere benedetti, di essere resi parte di qualcosa di inaspettato, una pace che scende nel cuore e va a riconciliare i nostri errori, a guarire le nostre ferite e i sensi di colpa. Infine, una promessa di pace per il mondo, che in quel cielo e in quella terra sembra tutto rappresentato.

Gesù mi invita, a compiere questo viaggio interiore verso lo stupore e la meraviglia. Guarda quello che accade, cogli i segni, i gesti di amore, la gratuità, i sorrisi delle persone! Esci da stesso, molto concretamente: spendi il tuo tempo per gli altri e l’Altro, non risparmiarti e non fare calcoli. Lascia perdere i tuoi sensi di colpa e il pensiero di non potere essere degno di quell’appuntamento e di quell’incontro! Non tutto è già fatto, ma Gesù inizia con te e insieme a te qualcosa di nuovo. La trasformazione del tuo cuore è in atto. Stai dando la tua vita e nemmeno te ne accorgi, mentre il Signore raccoglie ogni goccia di questo tuo dono.

Neanche vedi dove cadono le grazie che il Signore ricava da te, ma accade! Il cuore di quella tua amica è stato confortato; quel papà si è messo in gioco; quella ragazza ha incominciato a pregare; un giovane si educa alla pace.

La sorpresa ci coglie impreparati. Abbiamo desiderato tanto conoscerti, Gesù, vederti, toccarti, sapere che sei vero. Improvvisamente ti palesi a noi in ogni modo.

Così sei tu, Gesù: il tempo in cui, senza che ce ne accorgiamo, iniziano le cose buone che sono nel mondo e la nostra trasformazione.

Don Davide




L’Avvento e le tre parole

Papa Francesco, al termine della messa allo stadio di Bologna, ci ha lasciato tre consegne: il Pane, la Parola e i Poveri. Tutti e tre scritti con l’iniziale maiuscola, perché sono i modi in cui il Cristo si rende presente tra noi.

Il cammino della chiesa di Bologna, dopo avere dedicato l’anno del Congresso alla riflessione sul Pane condiviso, si concentra ora sull’ascolto della Parola di Gesù. È una continuazione del percorso precedente, non solo per la successione che ci ha proposto papa Francesco, ma soprattutto perché la parola che continua a suscitare echi, nel nostro cuore, è quella che abbiamo fatto risuonare tante volte nell’anno passato: “Date loro voi stessi, da mangiare!” (Mt 6,37). Dai te stesso! Non fare mancare il tuo contributo. Sei tu, chiamato a essere discepolo. Scopri che nel consumarti c’è la bellezza della risposta alla chiamata all’amore.

I poveri, fortunatamente, sono sempre al centro dell’attenzione e dell’opera del papa e del vescovo, che così danno una testimonianza luminosa alla chiesa e al mondo, e incoraggiano ogni comunità cristiana a fare altrettanto.

Sarebbe bello se fossimo capaci di fare di questo ascolto che ci è chiesto, una vora occasione di rinnovamento, a partire dalla condivisione di quello che la parola di Dio ci ispira. Se fossimo attenti nel sentire cosa Gesù ci dice, avremmo sempre una spinta rivoluzionaria, anche se fossero piccolissime cose, perché avrebbero la potenza di quella trasformazione evangelica che ha scatenato lo Spirito dopo la Pentecoste.

Alla fine di questo anno liturgico, poi, si celebrerà il Sinodo dei Giovani. O meglio: sinodo dei vescovi (che giovani non sono) per pensare ai giovani e dire loro qualcosa di vicino. Ma il papa, nel meraviglioso discorso che ha fatto per indire il Sinodo [cercatelo digitando su Google “Papa sinodo giovani”, ne vale la pena!], dice che invece vuole che si ascoltino i giovani, e tutti i giovani, anche quelli non cattolici e atei… perché sia veramente un Sinodo dei giovani.

Dovendo fare un discernimento del percorso che il papa e il nostro vescovo ci hanno fatto fare fin qui, direi che sono quattro le domande a cui dobbiamo rispondere:

  1. Come dobbiamo trasformare la nostra pastorale per essere chiesa in uscita, e noi stessi discepolimissionari?
  2. Quali scelte dobbiamo fare per essere in aiuto dei poveri operativamente e più di prima?
  3. Come dobbiamo cambiare l’assetto delle nostre parrocchie nel Centro storico?
  4. Quali rivoluzioni dobbiamo accettare perché i giovani tornino a sentire la chiesa vicina e ad esserne parte?

Il tempo di Avvento inizia con un grido: “Oh, se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63,17). È un grido pieno di nostalgia e di bisogno: un bisogno di speranza quasi disperato per la situazione compromessa del popolo del Signore.

Non ce lo vogliamo nascondere: alcune volte abbiamo la sensazione che anche la nostra esistenza di chiesa sia gravemente compromessa. Contro la tentazione di pensare così, il vescovo ci esorta a credere nella trasformazione del cuore che l’ascolto della parola di Dio può operare, e noi raccogliamo questo invito, con atteggiamento umile e spirito rinnovato, a partire dal dono della parola che il Signore ci fa ogni anno, ogni domenica e ogni giorno, nella liturgia.

Don Davide




Natale 2016. Il presepe e la carità

Lui non vorrebbe mai che io lo dicessi, ma il presepe che vedete sotto l’altare l’ha disegnato don Valeriano.
A sinistra vediamo il bue, che guarda verso di noi quasi per incoraggiarci. Nonostante la sua mole maestosa, non fa paura a nessuno, nemmeno a un piccolo uccellino che si posa sulla sua schiena. Se ne sta lì acquattato con l’occhio languido a svolgere placidamente il suo compito, non di scaldare il bambino, ma di indicarlo: «Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone» (Is 1,3).
Così anche l’asino sembra accorrere come se fosse in ritardo, affaticato dopo l’ultimo carico e quasi in procinto di inchinarsi con lo sguardo umile al piccolo bimbo.
Appena sullo sfondo, Giuseppe. Sta sempre un passo indietro lui, non ruberebbe mai la scena a Maria e al bambino. Da dietro, veglia su tutti: sulla sua famiglia, ma anche sugli animali. Ha troppa cura della creazione, lui che ha imparato l’arte creativa del falegname. Alle sue spalle, un germoglio, a ricordarci la stirpe regale. E la casa del re, in questa forma semplice, non è dismessa, ma al suo massimo splendore.
Infine, al centro, Maria. Il suo viso emerge dall’oscurità, è definito dalla trasparenza, dalla luce che l’attraversa (questo, a mio parere, è il piccolo grande capolavoro di don Valeriano). È come se tutto il suo essere prendesse sostanza da un’altra sorgente. Mentre ti fissi su lei cerchi il bambino e lo trovi – se guardi bene – fra le sue braccia.

Mi fermo qui, e passo a un altro presepe, diverso, molto meno “tradizionale” ed evidente.

Ci sono le scorte del Banco Alimentare, le sportine ricevute alla Conad per la generosità di tanti, le offerte del cesto della Caritas, i biscotti dei bimbi, i cioccolatini del mercatino; e poi ci sono i pandori e i panettoni e le bottiglie di vino “perché anche le persone che ne hanno bisogno devono fare festa”, e le offerte nelle buste “che mi raccomando, padre, devono andare per la carità e per i poveri…”.
Non è che si voglia ostentare. «Non sappia la tua sinistra quello che fa la tua destra, dice il Signore» (Mt 6,3), ma non è questo il punto.
Non mi ero mai soffermato su questa enorme corrente tesa ad invertire la percezione di un diffuso senso di disinteresse. Non so per quale “oscuro” (è proprio il caso di dirlo) motivo, qualcuno ci vuole convincere che sia così: che la gentilezza sia persa, la gratuità smarrita, e che l’interesse e la solidarietà non stiano più di casa fra noi. Ma non è così.
Forse tutto il bene che circola grazie al Natale è molto perfettibile. Forse non è ancora tantissimo. Forse è ancora poco costante e troppo saltuario. Ma mi sono chiesto: e se non ci fosse? Se non ci fosse tutto questo concreto bene che accade, e non quello ideale, come starebbero le cose?

Sopra tutte queste braccia generose e attraversate in maniera onesta da una sorgente di luce, trovi Gesù. Basta solo cercarlo. Come nel presepe di don Valeriano.

Un affettuoso augurio di buon Natale.

Don Davide




Natale 2016 – messa della notte

LA SIRIA

Secondo la geografia del tempo, Betlemme si trovava in quella regione dell’Impero Romano chiamata Provincia di Siria, anche se non corrispondeva esattamente alla Siria di oggi.

In questo viaggio ideale nella regione di Siria, ci mettiamo in cammino insieme a Giuseppe, quasi chiedendo il permesso di unirci alla sua piccola carovana, composta di una donna incinta e, presumibilmente, di un asinello. Mentre ci avviciniamo le insegne militari si moltiplicano

GIUSEPPE

Io me lo immagino, Giuseppe, concentrato in un profondo raccoglimento. In tutto il Vangelo non dice una parola, eppure è attivo e attentissimo a tutto quello che gli succede intorno.

Credo che ripetesse le parole di Isaia: «Ogni calzatura di soldato e ogni mantello intriso di sangue saranno bruciati… Ci è dato un bambino… la pace non avrà fine» (cfr. Is 9,1-6).

Voglio fare spazio anch’io, in questa notte, a tutte le guerre. A tutti i bimbi che soffocano nella polvere delle macerie. A tutti i soldati che muoiono e uccidono. A tutte le donne e gli uomini che devono lasciare le loro case e migrare in un altro posto.

Voglio che si levi dal mio cuore un immenso desiderio di pace. Non posso andare in Siria o all’ONU a chiedere la pace, ma posso essere costruttore di pace. A partire da me, dal mio carattere, dal modo in cui mi relaziono, da come mi interesso della politica, dalle scelte che faccio, dallo stile che scelgo. Voglio porre i segni della pace nel dialogo e con le mie azioni.

Non voglio serbare rancore.

MARIA

Di Maria sappiamo invece che serbava le cose meditandole nel cuore.

Penso che alla prima vista dell’Aquila Imperiale abbia cominciato a comporre le tessere del mosaico. Lei, sposata a un uomo della famiglia di Davide; suo figlio, un discendente del re. La promessa dell’angelo e quella preghiera spontanea che le era diventata cara: «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili» (Lc 1,52).

Il Magnificat: un inno ribelle di pace. Contro gli stupidi che incrementano le armi nucleari, le vie della pace passano dove le persone più umili svelano una dignità regale.

È più forte un bambino che nasce di una bomba che esplode. Un bambino è vita. Una bomba è solo morte.

Loro si divertono a distruggere, io no. Vigilerò, agirò, ma non permetterò che mi turbino neanche un attimo. Io voglio solo fare crescere. Non trovo nessuna gioia più grande di questa.

GLI OSPITI

Siamo convinti che Maria e Giuseppe non abbiano trovato ospitalità. Ma proviamo a immaginare le cose diversamente: proviamo a rimanere fedeli al testo.

Il racconto ci consegna una sequenza pacata di fatti, senza alcun elemento polemico:

«Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. / Diede alla luce il suo figlio primogenito, / lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, / perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,7).

Proviamo a pensare che un uomo dorma sulla soglia della propria abitazione, si accorga di una donna, appoggiata al braccio del marito, il volto preoccupato, piegata dal parto imminente. “Venite, siamo in tanti… la casa è strapiena ma…”. Lui si scansa, i piccoletti occupano il suo giaciglio e si fa posto a Maria. Le donne di casa l’aiutano. Quando nasce Gesù e tutto il trambusto si calma, non c’è davvero un centimetro in più in quello spazio. Il bimbo è quieto, la mamma deve riposare, e anche gli altri. Domani si lavora! C’è lì la mangiatoia degli animali; Giuseppe, con l’occhio capace di trasfigurare le cose, la guarda e gli sembra una culla, quasi come quelle che fa lui. Ecco. Pone il bimbo lì sopra. Non ci pensa neanche che sia una cosa grandiosa. I bimbi lo vedono, gli adulti anche. In seguito ai prodigi di quella notte, lo racconteranno.

NOI

La Siria e il desiderio di pace come contesto. Giuseppe, Maria e gli ospiti come esempi di responsabilità sullo scenario del mondo.

A questo punto è come se il racconto, improvvisamente, voltasse pagina.

I messaggeri di Dio fanno capolino per dire che siamo noi a dover continuare la storia. Abbiamo la responsabilità di guidare da davanti e di vigilare da dietro questo mondo, come i pastori, certi che possiamo assolvere al nostro compito lavorando in pace.

Don Davide




La vita visibile

Il bagliore tenue e caldo di un presepe nella notte – non di quelli spettacolari e grandiosi, uno di quelli semplici, fatti in casa da noi: con un po’ di muschio, le lucine, qualche statuina senza troppe pretese e quel tocco originale che ci rende tanto orgogliosi (sia esso la capanna particolare che ci siamo inventati, il posto dove abbiamo collocato il dormiglione, oppure il nostro laghetto o infine quella magnifica fontanella vera che finalmente siamo riusciti a piazzare proprio al centro) – e poi le tracce di qualcuno che è passato, lasciando il nostro albero congestionato di regali; due sposi che si abbracciano – negli occhi il riflesso della loro casa – e il sorriso meravigliato del bimbo che si chiede come abbia fatto Babbo Natale a non farsi scoprire neanche questa volta… Mi chiedo se ci sia un’immagine più dolce e famigliare di questa, e probabilmente è proprio così l’atmosfera che abbiamo lasciato nelle nostre case in questi giorni di festa.

Fa un po’ contrasto che di fronte a un tale clima natalizio, questa domenica veniamo catapultati invece che nel racconto commovente della nascita di Gesù, nelle profondità vertiginose dell’inizio del vangelo di Giovanni. La solennità del Verbo ci sembra rubare la scena all’umiltà del Bambino.

Non è forse vero che nel mistero del Natale noi percepiamo la vita come dovrebbe essere e la tocchiamo quasi con mano? L’esperienza del Dio della vita è legata a quel bimbo che è stato possibile vedere, toccare e sentire piangere, il bambino nel quale abbiamo riconosciuto la Vita stessa condensata, concentrata, fatta carne… proprio come quando nasce un bimbo a noi vicino e tutti fanno a gara per prenderlo in braccio, coccolarlo, sbaciucchiarlo e “spupazzarlo”

Che cosa accade allora, quando il Verbo che sprigiona la Vita diventa uomo? Che cosa succede quando la Parola della Vita si fa carne? Accade improvvisamente di scoprire che in realtà non c’è un altro mondo che offra la possibilità della vita. La Vita si è fatta visibile in questo mondo.

«È venuto ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Letteralmente: «ha posto la sua tenda in mezzo al nostro accampamento». Se il vangelo fosse stato scritto oggi, avrebbe detto: “ha preso casa nel nostro condominio. Ha aperto un mutuo. Viene alle riunioni. Fa fatica ad arrivare alla fine del mese come tutti coloro che fra di noi la fanno”. Ma in realtà, nell’evocare la sua tenda in mezzo alle nostre, c’è di più. La sua non è una bella tenda come qualunque altra, come quelle degli scout, ad esempio. La tenda di cui si parla, nel libro dell’Esodo (cfr. Es 25,8), è la Tenda del Convegno: il luogo dove abita Dio, mentre si sposta con il suo popolo durante il cammino nel deserto. Ma è anche il luogo dove tutti sono convocati per incontrare Dio insieme.

Così l’augurio di Dio si rivolge oggi prima di tutto a te, che provi con impegno ad accogliere il Signore. Perché la sua vicinanza accompagni la tua ricerca, e tu possa essere come questo bimbo appena nato che prende il dito di una persona grande.

L’augurio di Dio si rivolge a te, che ogni tanto indugi e fai fatica. Non aver paura che Dio vìoli la tua libertà. Non pensare neppure che sia arrabbiato. Lui è garbato e ha sopportato con amorevolezza molteplici rifiuti. «A quanti però l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12). Se vuoi sentire Dio come Padre, lasciati rapire dalla sua promessa.

L’augurio di Dio infine è anche per te, che in queste feste non hai voluto mancare: il Signore ti invita alla comunione, perché tu possa riscoprire la messa domenicale come luogo dell’incontro. Sarà per te come la sinagoga di Nazaret, dove ascolteremo la voce di Gesù che ci parla. Sarà il monte delle beatitudini, gremito di gente e di speranza. Sarà la riva del lago di Tiberiade, dove c’è pane da condividere per tutti o la casa di Betania, popolata di amici. Sarà infine il Golgota affollato dove da ogni disperazione e difficoltà la parola della vita continuerà ad imprimere il suo sigillo sulla storia.

 Don Davide




La gratitudine della vita

La prima domenica dopo Natale è dedicata alla famiglia di Gesù, la Santa Famiglia di Nazareth. È un riconoscimento per Maria e Giuseppe, che pur disorientati dalla grandezza dell’opera di Dio, hanno accettato di accoglierla e compierla, e di custodire il loro bambino.

Il vangelo di oggi evoca le molte preoccupazioni che dovettero affrontare nel prendersi cura di Gesù, come ogni famiglia nell’educazione dei propri figli. In modo particolare la paura di perderlo, la preoccupazione che la sua vita potesse essere in pericolo o minacciata. Giuseppe e Maria avevano già vissuto una terribile prova, all’inizio della vita di Gesù, quando Erode volle uccidere tutti i bambini di Betlemme. Cosa avranno potuto pensare, loro, una povera famiglia di semplici sconosciuti, di fronte alla persecuzione del re in persona. Quanti perché, quante domande, quanta paura? Quale angoscia di essere braccati, di non poter sfuggire di fronte a una cosa talmente più grande di loro?

In questi giorni di festa si ricordano molti di questi momenti difficili che accompagnano l’infanzia di Gesù, e che mettono in luce anche il terribile paradosso tra un Dio che non vuole costringere i suoi figli e vuole essere amato liberamente, e la violenza degli uomini.

Ma nella scena di Gesù al tempio tra i dottori della Legge, c’è un altro particolare importante per tutte le famiglie. I dodici anni, nella cultura di allora, erano una prima tappa verso la maturità. Le ragazze potevano essere promesse in sposa, i maschi iniziavano lo studio della Legge. In questa scena di Gesù che rimane al tempio, quindi, è simboleggiata anche la fatica di ogni genitore nei confronti dei passaggi di crescita dei propri figli, soprattutto quelli decisivi. C’è una grande gioia nel vedere questi passaggi avvenire in maniera riuscita, ma c’è sempre anche una preoccupazione data dal legame viscerale dei genitori, dall’incognito che i figli si trovano ad affrontare.

Le parole di Maria riflettono questo stato d’animo: “Tuo padre e io angosciati ti cercavamo”. La risposta di Gesù, d’altra parte, incoraggia ogni genitore: “Non sapete che devo occuparmi delle cose del Padre?”.

Ogni figlio e ogni figlia deve aprirsi a questo “destino” che noi chiamiamo l’amore del Padre, e la grande sfida di ogni genitore è quello di accompagnarli e custodirli finché questo amore non si riveli e, allora, lasciarli liberi.

Mi sembra che la festa della Santa Famiglia sia così un inno di grazie a tutti coloro che custodiscono e curano le giovani vite dei bimbi, ai genitori che fanno le notti per mesi e mesi per accudire i propri figli piccoli, che lavorano con fatica per una vita intera per promettere futuro, che si impegnano per offrire possibilità, risorse ed educazione finché ad ognuno non si riveli il proprio “destino”, la chiamata dell’amore del Padre.

La gratitudine nei confronti di chi origina, ama e custodisce una giovane vita, non sarà mai troppa. Celebriamo la festa della Santa Famiglia, proprio dopo Natale, per questo.

 Don Davide