A Maria

Iniziamo con questa domenica l’Ottavario di preghiera alla B.V. della Salute, immagine di Maria amatissima nella nostra parrocchia e tanto venerata.

Davvero, si rimane stupiti della fede e della devozione con cui si scorgono tante persone pregare in quella cappellina, accendere una candela e parlare a tu per tu con Maria.

Lì si elevano le suppliche più accorate e le preghiere più tenere.

Viste e toccate con mano alcune emergenze, quest’anno – insieme alla preghiera del Rosario e all’omaggio alla Madonna – ascolteremo ogni giorno uno spunto di riflessione molto concreto su parole importanti.

Ci fa bene starci sopra, aiutarci, condividere davanti a Maria la necessità di quelle grandi parole e come possiamo, in qualche modo, farle nostre.

È urgente, tra le altre cose, pregare per la pace.

Riconosciamo, in più, un’occasione preziosa, perché abbiamo l’opportunità di iniziare il mese di maggio con la preghiera dell’Ottavario e di concluderlo con la vista annuale della B.V. di S. Luca in città.

Così il mese di maggio è un tempo speciale che ci è donato per affidarci a Maria, per chiedere la sua intercessione, per dialogare a tu per tu con lei.

Perché è così importante pregare Maria?

Intanto, perché con lei possiamo trovare una confidenza che difficilmente ci è concessa con chiunque altro. Ma, soprattutto, perché da quando l’angelo le ha dato l’annuncio della sua gravidanza, sappiamo che è iniziato un tempo speciale nel lungo giorno della Creazione, sappiamo che con Gesù è iniziato il Tempo della Misericordia.

Don Davide




La via della pace

Oggi, il cammino di Gesù nel Vangelo di Luca taglia il suo traguardo, struggente e doloroso. Gesù alla vista di Gerusalemme, aveva avuto come un presagio – un momento in cui gli era apparso chiaro che cosa il rifiuto della pace nel cuore, nelle relazioni e fra i popoli avrebbe generato – e aveva esclamato: “Se avessi compreso anche tu quello che porta alla pace!” (Lc 19,42).

Gli interpreti sostengono che l’esclamazione sia riferita a Gerusalemme, ma non è detto. Il racconto dice solo che al vedere la città, Gesù pianse su di essa – sono pochissime nel vangelo, le volte in cui Gesù piange – e pronunciò questa frase. E se, al vedere la città, avesse pensato invece a ciascuno di noi?

Se avessi compreso anche tu la via della pace…

La via della pace: nella sua passione Gesù la percorre così radicalmente da rifiutare, per se stesso, ogni forma di violenza, fino ad accettare la morte.

La via della pace la gusta con gli amici, nel clima affettuoso del cenacolo; la cerca nel Getsemani, anche nel turbamento più estremo, finché non si sente di nuovo consolato da un angelo; la ottiene per tutti coloro che incontra con la croce sulle spalle, fino all’ultimo amico imprevisto. La chiede per tutti, anche per quelli che lo crocifiggono.

Seguendo il racconto della Passione, riconosco tre passi per percorrere la via della pace. Sicuramente ce ne sono molti altri e potremo arricchirci a vicenda, condividendo le celebrazioni di questi giorni.

1)L’amicizia. Il racconto della Passione secondo Luca inizia così: “Ho desiderato ardentemente mangiare questa pasqua con voi, prima della mia passione” (Lc 22,14). In queste parole, Gesù esprime il senso dell’esistenza: l’affetto per gli amici, il bisogno di significato e di momenti veri, la voglia di celebrare la vita e la festa, la consapevolezza di dovere morire. Tra l’amicizia e il pensiero della morte, sento uno struggimento che non si riesce a colmare e non trovo altre parole. Mi affido a Gesù. Lo seguo nella sua passione. Spero di potere arrivare a dire con lui: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46). Sì, nel momento della morte, con cui sentiamo di non riuscire mai a fare i conti, speriamo di potere sentire il Padre, e che stiamo consegnando a lui il nostro spirito.

2)Il disarmo. “Dobbiamo colpire con la spada?” chiedono i discepoli. Ma Gesù risponde: “Lasciate, basta così!” (Lc 22,49-51) e guarisce chi era stato ferito. Il disarmo nucleare. Radicale. Totale. Completo. Bisogna impedire in tutti i modi possibili che un governo e uno stato progettino di costruire un’arma capace di distruggere l’umanità. E chi le ha già deve smontarle, pezzo per pezzo. Ci vuole una commissione mondiale di uomini e donne dedicati a questo scopo. E bisogna introdurre nelle scuole, fin dal primo ciclo di studi una nuova materia: Storia della Pace. Il disarmo deve diventare cultura, come l’ovvia consapevolezza che non si fuma in posti chiusi. Di armi nucleari ne sono stimate 13.400 nel mondo. Se con quegli sforzi avessimo costruito ospedali, scuole e università, e progettato una rete di redistribuzione idrica e alimentare oggi non ci sarebbe nemmeno più bisogno di armi.

3)Il perdono. La vita di Gesù è la storia del Dio che scende dal trono del giudizio e sale su quello della misericordia. Delle ultime tre parole di Gesù, le prime due sono di perdono e la terza è di affidamento. Credo che Gesù sia morto sulla croce, perché era salito talmente “in alto” che non poteva semplicemente stare coi piedi sulla terra. Anche nel massimo della sua umanità, era un po’ più vicino al cielo, un po’ più in alto di tutti noi. Ma è bene che ci ricordiamo a vicenda che possiamo dire parole di misericordia e riconciliarci realmente. E che questo, per noi come per Gesù, è il traguardo più importante dell’esistenza: morire con il cuore occupato solo dal bene.

Don Davide

 




I passi del cammino

Essi lo sanno che lapidare una donna è un atto inconcepibile e sanno che il Maestro non potrebbe mai legittimarlo.

“È giusto?”.

Se dirà di sì: “Vedi, il Maestro legittima una cosa atroce”.

Se dirà di no: “Vedi, il Maestro tradisce Mosè”.

Lo sanno perfettamente anche loro che sarebbe atroce. Ma allora perché lo fanno?

Forse, hanno bisogno di essere liberati.

Sarebbero disposti ad uccidere per le loro prigioni. “Armiamoci di più! Ancora un’altra pietra!”. Non capiscono e non sono in grado di immaginare come fare diversamente.

Ma non c’è nessuna supplica in loro, se non l’ignoranza. “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno.” (Lc 23,34)

La mente è piccolina. La pietra che tengono in mano è il loro cuore.

Da una parte la religione, dall’altra le persone. In cielo Dio, in terra una donna. Come se non potessero stare insieme. Come se fossero dai lati opposti.

Gesù vede tutte le catene, colpevoli e incolpevoli, e scrive: “Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” (Ez 36,26-27).

Lentamente, si ode lo schianto secco della pietra su pietra e lo spirare del vento, perché si è sciolto il cerchio.

“Eppure vivo” pensa la donna.

“Sì, vivi tu, e adesso anche loro” dice Gesù.

Questo è ciò che accade nel Tempio, nel luogo santo.

Questo è ciò che deve accadere nella Chiesa.

Questi sono i passi del cammino.

Ora è possibile celebrare la Pasqua.

 




Portare bellezza (Under20 testo+video)

Ho riflettuto a lungo se scrivere ancora della guerra.

Ci sono varie cose terribili che mi hanno colpito: il distorcere la verità, il bombardamento di un ospedale pediatrico, l’uso di armi speciali. La cosa più terribile di tutte sono state le parole del patriarca ortodosso di Mosca, Kirill, che ha sovvertito il Vangelo asservendolo al potere omicida.

Ho pensato, però, che nella vita ci sono momenti in cui si vedono le cose come dovrebbero essere.

Desidero riconsegnarvi quel chiarore che trasfigura le cose: che le prende brutte e le fa diventare belle, che mette l’energia buona nel mondo per fare cessare le guerre e farne sbocciare la pace.

Lo faccio consegnandovi la canzone di Ultimo 7+3.  L’avevo già usata anche l’anno scorso nell’omelia, proprio nella domenica della Trasfigurazione, e continuo a pensare che il testo sia praticamente perfetto, un’intuizione spirituale.

Lo dedichiamo a ciascuno e a ciascuna di voi: “Tu porti bellezza dove prima non c’era… soltanto perché, semplicemente porti te.”

Se non cedi alla distorsione della verità, all’odio e all’orrore, e se porti bellezza dove prima non c’era…

…sei tu la vera risposta a questi giorni oscuri.




Ripudia la guerra (Under 20)

Fu un papa a definire la guerra “inutile strage”, nel 1917, quando c’erano uomini abietti come il Generale Cadorna, chiamato “Generalissimo”, che mandavano senza scrupolo i ragazzi in attacchi suicidi in prima linea, o li facevano fucilare accusandoli di essere pavidi e disertori.

Quel papa era stato vescovo di Bologna e ha insegnato che le parole buone hanno un peso; invece, la retorica della guerra è la più orribile e criminosa.

Quando sono nato io la nostra Costituzione aveva trent’anni. Le parole dell’articolo 11: “L’Italia ripudia la guerra” erano adulte, perfette per dare chiarezza.

In questi giorni, ho visto e sentito la paura di alcuni di voi, per una nuova guerra, l’ennesima, vicinissima. È evidente che le guerre non si studiano solo sui libri di scuola, e che avete tutte le ragioni di essere sorpresi e spaventati, anche se di guerre ce ne sono tante e tutte, anche le più lontane, ci devono fare orrore.

Oggi sento il bisogno di dirvi che mi dispiace.

Sembra che nessuno ci pensi, invece qualcuno deve pur dirvelo.

Sono addolorato che vi troviate ancora le guerre fra i piedi. Mi fa ribrezzo che dobbiate vedere uomini adulti che mandano a morire i giovani, perché loro – quelli che parlano ai giornali e in tv – non ci vanno mica sotto le bombe e di fronte alle mitragliatrici! Mi sento inquieto come voi che poche persone abbiano il potere di distruggere città fiorenti, uccidere popolazioni e violare i diritti.

Oggi il vangelo ci racconta le tentazioni di Gesù. La tentazione più grande è quella di pensare che non si possa rinunciare al potere che fa male a sé e agli altri. Invece Gesù l’ha fatto.

Sogno per voi, ragazzi e ragazze, la pace.

Che si possa fare di più per ripudiare la guerra. Che impariamo a trasformare le armi in scuole, i carri in parchi con i giochi per i bimbi e i missili nucleari in energia pulita e acqua potabile.

E che ci si possa trovare insieme su ogni terra, ad arricchirsi della diversità, senza confini.




“Mio padre era…”

“Mio padre era…” (Dt 26,5). Inizia così la memoria di Israele all’inizio di questa Quaresima.

Ci sono ancora generazioni che possono dire: “Mio padre era un soldato nella Grande Guerra” oppure: “Mio padre ha vissuto il nazismo e il fascismo” o ancora: “I miei se la ricordano la Guerra nel Vietnam…”

La memoria è fondante per dire chi siamo, eppure pare che ci si dimentichi del desiderio di pace, che – fortunatamente – almeno per noi è stato scolpito nell’Articolo 11 della Costituzione Italiana.

La tentazione demoniaca è una triplice tentazione bellicosa.

“Carpisci ciò che vuoi!” (Lc 4,3)

“Venditi al potere!” (Lc 4,6)

“Sii come Dio! Decidi su tutto: sulle vite delle persone e sulle leggi del mondo, senza riguardo ad alcuno!” (Lc 4,9)

È difficile fare come Gesù, spogliarsi del potere, ancorarsi a ciò che è buono e non farsi intimorire.

Ma dobbiamo e possiamo farlo.

Abbiamo questo tempo speciale della Quaresima a disposizione, che non è da vivere come un impegno religioso, ma come una bellissima opportunità, piena di stimoli e di ispirazione.

Possiamo dilatare la ricerca della pace, fare cose costruttive, piccole correzioni alle nostre vie, passare più tempo con le persone che amiamo, rassicurare i nostri bimbi, incoraggiare i ragazzi, dare prospettive belle e reali allo stesso tempo ai giovani.

È entusiasmante sapere di potere stare su un sentiero luminoso, quando c’è una nube come la guerra che vorrebbe oscurarlo.

Abbiamo il nome di Gesù dalla nostra parte (Rm 10,9). Si può anche bestemmiarlo associandolo alle guerre, come è stato fatto in passato, ma se lo pronunciamo umilmente, prima di tutto a noi stessi, nella mente e nel cuore, sentiremo il desiderio di essere uomini e donne semplici, impegnati ad accogliere la grazia di correggere sé stessi, prima di tutto, e di fare ogni sforzo per lasciare a chi viene dopo di noi uno spazio libero e incantevole per coltivare la pace.

Don Davide




Il setaccio

“Cos’è successo?” continuava a ripetere Frey.
Siv non era certa di saperlo. Un semplice diverbio era sfociato in un viaggio folle e in un ancora più incredibile genocidio. Come poteva dire alla bambina che tutte le persone che conosceva erano morte perché Phasma e Keldo avevano fallito come leader? Non poteva.

(Delilah S. Dawson, Phasma, Mondadori 2018, pp. 299-300)

Quando la realtà è folle, l’unica cosa a cui si può ricorrere per descriverla è la fantascienza o il fantasy. Sono andato, perciò, a ripescare il ricordo di una storia di Star Wars, perché la guerra che ancora macchia il nostro continente mostra un clamoroso fallimento della leadership, che si manifesta tra chi fa il duro, chi ostenta i muscoli e chi spreca l’opportunità di aggregare l’Europa come grande soggetto politico e comunitario.

Già da tempo noi europei avremmo dovuto imparare la lezione delle altre guerre; al contrario, abbiamo dato spettacolo ignobile nella non accoglienza dei migranti e su scaramucce economiche, invece di sfruttare un immenso potenziale per un’utopia di bene.

Mentre papa Francesco da anni parla di Terza Guerra mondiale combattuta a pezzi (che prima o poi, se si continua così, si ricomporranno), proliferano le chiese nazionaliste, che sono cosa ben diversa dalla realtà teologica e spirituale della Chiesa locale definita dal Concilio Vaticano II, e si fatica ad assumere la sfida di una testimonianza veramente evangelica, non esaurita nell’inseguimento della visibilità o nello svuotamento dei segni e del loro significato.

“Quando si scuote un setaccio restano i rifiuti; così quando un uomo discute, ne appaiono i difetti” (Sir 27,5-8) ci ammonisce il Siracide. E Gesù: “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?” (Lc 6,39).

Chi porta i popoli dentro la guerra è un setaccio pieno di rifiuti e un pretenzioso che conduce nella fossa della morte.

Chi vuole seguire Gesù può assumersi la responsabilità di non essere un cieco che accetta di lasciarsi guidare da ciechi.

Abbiamo davanti a noi l’opportunità della Quaresima.

Significa, prima di tutto, riconoscere la trave pesante che è nel mio occhio, quella che non solo non mi fa vedere e discernere, ma che mi porta anche a scontrarmi con gli altri.

Posso percorrere questo tempo di conversione come una supplica di illuminazione interiore e una disponibilità a farmi rischiarare i pensieri, le azioni pastorali e il modo di comportarmi con gli altri, con carità e lasciandoli liberi. Vorrei tornare a parlare seriamente di disarmo, anche nelle parole, nelle metafore che uso e nei gesti che compio.

Infine, devo fare i conti con il potere – con tutti i poteri di cui disponiamo – e rifiutarne le seduzioni e le affiliazioni.

Sento che è una responsabilità innanzitutto mia, qui nel mio contesto, compiendo il mio dovere e disponendomi a entrare con onestà nel digiuno quaresimale.

Don Davide




Re di un mondo diverso

“Il mio regno non è di questo mondo;

se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto…” (Gv 18,36).

Ho letto di recente una riflessione di Anita Prati:

http://www.settimananews.it/societa/mysterium-iniquitatis/

che consiglio come meditazione proprio in questa Solennità di Cristo Re.

In relazione al problema dell’economia che ruota attorno alla produzione di armi, e che vede l’Italia “che ripudia la guerra” (Costituzione della Repubblica Italiana, Art. 11) in un primato assai problematico, l’autrice cita la celeberrima testimonianza dei martiri dei primi secoli cristiani, che rifiutavano di fare i soldati, per non dovere uccidere.

Lo spunto evidenzia la forza profetica dello spirito evangelico e permette di cogliere qualcosa del mistero di questo Messia Re, così diverso da tutto.

È re di un regno che evidentemente non si è ancora insediato, ma i cui fedeli sono presenti fra gli uomini e le donne di tutti i tempi. È un re che “conquista” non il potere, ma il servizio come il trono più bello in cui collocarsi.

I suoi servitori non “combattono” nel senso bellicoso del termine: non vogliono apparire come altri competitori, ma come coloro che aprono nuove strade a una fraternità praticabile.

Quel Regno di Pace (nel senso assoluto della parola) non c’è ancora, ma il suo mondo si fa strada inesorabilmente nei regni mondani.

Questa solennità conclude l’anno liturgico in modo da permetterci di ricordare i tanti segni di questa presenza, nascosta ma efficace, quando si è palesata al nostro spirito, e di continuare il percorso della nostra vita personale e comunitaria con il desiderio di mostrare che c’è tanta energia buona e inedita del Vangelo ancora da sprigionare.

Don Davide




Lettera ai Magi

Carissimi Magi,

siete personaggi così affascinanti che vi rivolgo la parola come ad amici, col desiderio di accompagnare il vostro viaggio, di partecipare al vostro incontro e di seguire il vostro ritorno, come quando da bambino partivo insieme a voi dall’altra parte della casa, verso la capanna del presepe.

Vedo nel vostro seguire la stella, tre caratteristiche che ispirano anche il nostro itinerario.

La prima: il viaggio della pace. Dalle vostre terre, avete attraversato moltissime regioni del mondo, le più “calde” in termini di povertà e tensioni religiose e sociali. Se ancora oggi ripeteste il vostro itinerario, vedreste ogni forma di guerra e di violenza. Eppure, in qualità di adoratori di Dio e esperti della saggezza e delle scienze, avete solcato quei territori come costruttori di pace. Ci dite che è possibile, nella diversità di culture, razze, religioni e forme di governo, vivere ed edificare la pace.

La seconda: avete fatto il vostro percorso insieme. La tradizione ci obbliga a ritenere che non siate partiti tutti nello stesso momento e dallo stesso luogo, ma a un certo punto le vostre strade si sono unite, per tantissimi chilometri, fino all’incontro con Gesù bambino. Non deve essere stato facile sincronizzarsi con i ritmi dell’altro, aggiustare il passo, accettare le usanze, condividere il tempo. Mi piace immaginarvi a commentare le tradizioni culinarie, gareggiando e prendendovi in giro, come si fa tra emiliani e romagnoli. Voglio credere che siate un esempio e un modello per noi, che abbiamo iniziato quest’anno il cammino delle zone pastorali: abbiamo punti di partenza molto diversi, ma ad un certo momento siamo stati chiamati a fare la nostra strada insieme e a scoprire che questo lungo cammino, ci porterà con doni diversi ad adorare Gesù.

La terza: lo sguardo durante il vostro ritorno. Siete tornati indietro per un’altra strada: penso significhi che avete avuto altri occhi, il cuore trasformato e categorie nuove per interpretare le cose. Mi auguro che la stessa cosa possa succedere per noi, per la nostra pastorale. Che dopo un incontro vissuto intensamente con Gesù, e proprio grazie a quell’incontro, sappiamo avere una saggezza pastorale più adeguata alle sfide che i tempi ci pongono.

Don Davide




La Giornata Mondiale della Pace dell’AC

(I ragazzi del catechismo e dell’ACR vivono oggi la Giornata diocesana della Pace. Noi li accompagniamo con questa riflessione)

«Sono un fotografo di guerra che spera di essere disoccupato»: è una delle amare considerazioni che ricorrevano spesso nelle interviste rilasciate da Robert Capa, il più famoso fotografo di guerra del Novecento, testimone, suo malgrado di una serie interminabile di episodi tragici, di morti ingiuste, di dolori incommensurabili. Eppure la carriera di Capa è costellata da una miriade di presenze sui campi di battaglia: dalla guerra civile spagnola alla seconda guerra mondiale, dalla guerra arabo-israeliana alla prima guerra in Indocina, il fotografo ungherese non ha smesso mai di gettare il suo sguardo su una delle più brutali manifestazioni dell’umanità che ancora oggi continua a segnare il presente della nostra Terra. L’esperienza di Capa, testimonia come nel cuore del noto fotoreporter fosse vivo il desiderio di raccontare al mondo l’assurdità della guerra perché appunto presto ci si rendesse conto della sua inutilità ed egli potesse restare a tutti gli effetti senza occupazione. […] È lo stesso desiderio di pace che renda ancora necessario oggi celebrare e vivere un mese dedicato alla pace nei nostri contesti civili ed ecclesiali. […] Anche quest’anno l’AC vuole farsi portavoce di un messaggio di pace che proclami l’inutilità della guerra, che racconti della bellezza di un mondo senza guerre, che aiuti l’umanità a guardare a se stessa per scorgere quei barlumi di bellezza che nemmeno il più orribile dei mali potrà mettere a tacere, e che hanno il nome di solidarietà, voglia di vivere, aiuto umanitario, progetto di solidarietà.

Sguardo attento e cuore aperto In questi mesi ci stiamo confrontando con la pagina del Vangelo di Marco nella quale, dentro il Tempio, Gesù offre ai suoi discepoli un insegnamento a partire dagli atteggiamenti delle persone sulle quali si posa il suo sguardo. Nel Mese della Pace anche lo sguardo dei ragazzi, dell’Azione Cattolica vuole, per quanto possibile, farsi ancora più attento alla realtà. Anche questo possiamo imparare da questo Vangelo: è a partire dalla realtà che Gesù fa emergere tanto le contraddizioni (gli scribi) quanto i semi di Vangelo sparsi nella vita degli uomini e delle donne di buona volontà (la vedova). Davvero noi siamo invitati ad invocare dal Signore questa capacità permanente (che cioè sa andare ben al di là di un tempo circoscritto come il “Mese della Pace”) di saper osservare la realtà come il luogo attraverso il quale Dio si manifesta; come il luogo nel quale siamo chiamati ad essere segni della sua presenza; come il luogo nel quale siamo impegnati ad arginare il male, diversamente dilagante. […] Sì: uno sguardo attento è il segno di un cuore aperto!

L’invito del Vangelo ad avere “sguardo attento e cuore aperto” si traduce, durante il Mese della Pace, nell’impegno da parte di tutti a guardare alla realtà che li circonda e, in una prospettiva allargata, a quella mondiale con l’occhio di chi si fa attento ai bisogni – soprattutto il bisogno di pace – e, nel contempo, riesce a scorgere il bene, il bello laddove esso si manifesta. Per i ragazzi, quest’anno l’invito è quello di assumere uno sguardo “fotografico” per individuare l’impegno di uomini e donne che costantemente si adoperano per la pace, raccogliere le loro azioni di gratuità, di dono spontaneo di sé, di condivisione fraterna e tensione alla carità.

È proprio questo richiamo alla fotografia che genera lo slogan dell’impegno di Pace 2018: SCATTI DI PACE, uno slogan che racconta una realtà missionaria articolata e rappresenta il dinamismo del cristiano che vuole portare la causa del Vangelo fino agli estremi confini della Terra. “Scatti di pace” perché in un’era dominata dalle immagini, dai ritratti naturali o artefatti della realtà per mezzo di fotocamere e smartphone, diviene sempre più importante allenare il proprio occhio per gettare lo sguardo “oltre” (sulla scorta dell’esempio di Gesù con la vedova) e cogliere l’esigenza di pace di uomini e donne, bambini e anziani, in ogni parte del mondo. […] Ma “scatti di pace” vuol dire anche altro: il dizionario definisce lo scatto come «il liberarsi rapido e improvviso di un congegno tenuto in stato di tensione da una molla o da un’altra forza»; nel Mese della Pace, quest’anno, siamo chiamati a liberarci rapidamente da quelle situazioni che ci imprigionano nei nostri dubbi, nelle nostre insicurezze, che frenano il nostro andare incontro agli altri e scattare, muoverci, correre verso chi oggi cerca la pace per offrire il nostro impegno appassionato e generoso.

Dall’iniziativa annuale per la Pace dell’Azione Cattolica