Stare in ciò che è bello

È da alcuni anni, sicuramente dall’inizio della pandemia, che desideriamo più consapevolmente “stare in ciò che è bello”. Prendiamo atto che ci sono dei popoli, tantissime persone, uomini, donne e bambini veri, che vivono in condizioni di stenti, tra un’epidemia e una guerra la maggior parte della loro vita.

Questa considerazione ci spinge alla solidarietà, ad essere compassionevoli e anche più umili e meno lamentosi quando le cose che ci riguardano non vanno come vorremmo.

Ma abbiamo più che mai la possibilità di rispondere a questa domanda: Che cosa significa: “Stare in ciò che è bello”? Intendo starci stabilmente, non solo come un residuo nelle nostre giornate, quando finalmente abbiamo smaltito tutte le incombenze e ci possiamo ritagliare un momento per fare ciò che ci piace, o per stare con chi amiamo.

La vita non può essere un residuo.

Ci sono due movimenti nel Vangelo di questa domenica, che mi fanno pensare a una risposta.

Riguardo a Gesù si parla del suo “esodo” che si stava per compiere a Gerusalemme. Del suo esodo, cioè della sua strada verso la libertà. Forse che Gesù non era un uomo libero? Lo era certamente, ma qui si parla di una libertà più radicale: della libertà di interpretare la propria vita come un atto d’amore.

Riguardo ai discepoli si dice che, pur avendo paura, entrarono nella nube, cioè nel mistero in cui si può udire la voce di Dio.

Dunque, che cosa significa “stare in ciò che è bello” sempre?

Per me significa vivere la propria vita come un unico grande gesto d’amore libero e comunque grato, riconoscendo che il mistero e le nubi in questa vita ci sono e possono farci anche tanta paura, ma può capitare che attraverso di esse o dentro di esse udiamo chiaramente la voce di Dio.

Don Davide




Wrinkle

Under 20, testo+video

Il 21 febbraio ricorre il secondo anniversario dal primo focolaio della pandemia registrato in Italia.

Di Gesù il Nuovo Testamento dice che divenne “spirito datore di vita”. Spirito nelle lingue classiche è anche respiro.

Dopo due anni di pandemia Gesù ci “ispira” – guarda caso – su due modi di stare nel mondo: vivere e basta, oppure essere respiro che dà la vita.

Abbiamo imparato che possiamo essere respiro per chi fa fatica, proprio nel tempo di una malattia che colpisce i polmoni.

Per non rendere il discorso troppo solenne o serioso, vi propongo un esempio buffo. È la storia di Wrinkle, un’anatra da supporto emotivo (certificata!) che nel 2021 ha corso la maratona di New York, con delle scarpette palmate create apposta, rimanendo accanto al suo padrone fino al traguardo, per sostenerlo in tutti i 42 km del tragitto.

QUI il video di Wrinkle.

Se non è ispirazione questa!




Due anni

Il 21 febbraio 2020 si è registrato il primo focolaio di Covid-19 in Italia, a Codogno, con 16 persone colpite. Nei giorni seguenti sono scattate le misure d’emergenza, sempre più restrittive.

Sono due anni che conviviamo col Covid.

Dobbiamo fare memoria di questi anni, senza dimenticarci delle strade vuote e delle città mute, della paura, delle case diventate un bosco da cui era difficile uscire. Sento un calore riconoscente per chi ha lavorato in condizioni di pericolo: non solo il personale sanitario, ma tutti coloro che hanno garantito i servizi che sono sempre continuati.

Due anni, per i nostri “Under 20” sono minimo un decimo delle loro giovani vite. Per molti, di più. Penso a chi ha iniziato ad essere adolescente, in questi due anni; a chi si era appena innamorato, magari per la prima volta, all’inizio della pandemia, nei mesi in cui veniva la paura persino ad avvicinarsi. Penso a chi ha festeggiato i 18 anni in lockdown o con il coprifuoco e a chi – quella domenica 23 febbraio in cui fu decisa la chiusura delle scuole – si trovava in quinta superiore e ha iniziato l’università a casa, davanti al suo computer.

Do un cinque (a mano aperta, con un bel contatto) a chi ha attraversato tutto col sorriso, ma sono anche sinceramente vicino a chi ha sofferto, a chi ha subito, a chi ha accusato il colpo.

Voglio ricordare, però, che in questi due anni c’è stata anche luce.

Tanta luce. Penso ai bimbi che hanno meno di due anni, che loro sono dei supereroi che il Covid se lo sono bevuti nel biberon, così piccolini, torri e alfieri nella partita a scacchi della Vita. Vedo i sorrisi: anche nascosti dalle mascherine, nessuno è sfuggito allo sguardo di Dio. Percepisco cuori pulsanti, e sappiamo che baci sono stati dati, a dispetto delle distanze, e carezze e abbracci. Mi rallegro con chi si è sposato, facendo slalom tra assembramenti e divieti. Omaggio i nostri amici che a febbraio 2020 si trovavano al primo anno di specializzazione nei pronto soccorso, a medicina d’urgenza, nelle terapie intensive, in pneumologia e infettivologia. Ringrazio, infine, chi ha tenuto la barra dritta, aiutando sé e gli altri.

Da questo ricordo impariamo che si può essere uomini e donne in due modi: si può essere “viventi” o si può essere “spirito datore di vita”, come Gesù (1Cor 15,45).

Spirito nelle lingue antiche è respiro. In altre parole si può “vivere e basta”, o si può essere “respiro che dà la vita”, proprio nel tempo di una malattia che colpisce i polmoni.

Si può essere respiro per chi fa fatica.

In questa scelta c’è la possibilità di sconfiggere la pandemia, sia negli ospedali che a partire dalle nostre vite.

Don Davide

 

*Elisa Biagini, Nel bosco, Einaudi, Torino 2007, p. 118.




Tre saluti

Il saluto

Le preghiere a Maria iniziano con un “saluto”: in latino ave, salve, gaude, laetare… Questi giorni di preghiera alla B.V. della Salute mi fanno pensare al desiderio e al bisogno di salutarsi, non solo come gesto di buona educazione, ma soprattutto come segno di incontro. Da una parte c’è voglia di incontrarsi, dall’altra sperimentiamo tutti la fatica di riattivare dinamiche che in questi mesi avevamo dovuto necessariamente abbandonare, come quelle di venire agli appuntamenti e partecipare ai momenti di riflessione e di formazione insieme. La fatica è data dal fatto di osservare che le cose possono iniziare, ma non ancora liberamente, che l’ombra della pandemia si è allungata sulla nostra vita e sembra non togliere quel fastidio e quella percezione di minaccia che ci hanno afflitto in questi mesi.

A Maria, così graziosamente esperta di saluti, affidiamo questi momenti di incontro, soprattutto il primo attimo, quello in cui ci si rivede, ci si avvicina, ci si sorride in modo che il sorriso possa essere percepito dagli occhi, perché la ricca espressione del volto è nascosta dalla mascherina, e così ci si accoglie. È un piccolo ricominciamento quanto mai prezioso, che ci deve fare percepire l’opportunità del momento, la grazia offerta in ogni incontro.

Altre due “saluti”

Giocando con le parole (consapevole di forzare la lingua italiana) ci sono almeno altre due “saluti” che vorrei considerare, in questa festa della B.V. della Salute.

 

La salute spirituale

Abbiamo pregato tantissimo, in questa pandemia, per la salute del corpo, ed è stato quanto mai necessario. Vorremmo affidare a Maria anche la salute dell’anima: ossia la possibilità di avere cura non solo del corpo biologico, ma anche del nostro corpo spirituale, del nostro essere persona.

Consegno due piccole regole, per coltivare quest’altra “salute”:

1)Praticare la gratitudine consapevolmente. Prendersi qualche momento, nella settimana, per ringraziare: concretamente, suggerisco di (I) venire a fare una preghiera in chiesa, (II) di ringraziare una persona che se lo è meritato, (III) di scrivere su un quaderno quattro o cinque motivi molto concreti per cui io posso essere grato, in questo periodo. Queste tre cose, una volta alla settimana, richiedono meno di cinque minuti e operano benefici per una vita intera.

2)Avere una piccola lettura spirituale. Può essere l’appuntamento con questa rubrica settimanale, oppure il commento alle letture del giorno con uno dei tanti sussidi che esistono, oppure un bel libretto… che potrebbe farvi compagnia in estate, accanto al vostro romanzo preferito!

 

Lo stato di salute della Chiesa

C’è, infine, una cosa ben più preoccupante, una pandemia molto più difficile da sconfiggere. È il virus che colpisce la fede, rende difficile credere, fa sentire la vita ecclesiale come asfittica e, soprattutto, le nuove generazioni dalla vita cristiana, quasi come se fosse inconciliabile con la loro giovane e bella età. Ma non dobbiamo crederci! È la distorsione del virus che provoca queste cose! Come i polmoni sono fatti per respirare, così la vita cristiana è fatta per i giovani… perché la fede rinnova il mondo e lo Spirito lo ringiovanisce, quindi se non si trova questa corrispondenza è perché noi non siamo abbastanza coerenti. Ricordiamo che il Risorto, nelle catacombe dei primi cristiani, è rappresentato come un giovane!

Chiediamo a Maria, quindi, anche la salute della Chiesa e della pastorale. Invito tutti voi, in modo particolare i responsabili, a pensare con coraggio, quest’estate, a come vivere la pastorale in modo ancora più evangelico e bello, perché la nostra comunità cresca, sia piena di giovani e sia un luogo dove si condivide la fede volentieri.

Don Davide




San Valentino e la pandemia

La ricorrenza di San Valentino segna un anniversario importante, per la nostra comunità. Un anno fa, subito dopo gli incontri festosi e le celebrazioni solenni, iniziavano a diffondersi le prime notizie sulla presenza del Coronavirus, che avrebbero portato il 23 febbraio alla decisione di chiudere le scuole, inizio ufficiale della pandemia in Italia.

Il doloroso anniversario di tutto il nostro paese risuona con echi specifici per noi: di fatto, la Festa di San Valentino dell’anno scorso è stata l’ultimo momento di grande partecipazione comunitaria – insieme all’Assemblea della Zona Pastorale del 23-02-2020 – con le chiese piene e gli incontri amichevoli fitti. Dopo, tutto è stato fatto a singhiozzo e con mille limitazioni.

In questo anniversario io voglio leggere un nitido segno di fiducia e desidero infondere in tutti un grande incoraggiamento.

A distanza di un anno, magari bassa sull’orizzonte, brilla la speranza.

Dobbiamo affrontare ancora tutto quello che manca e sostenerci vicendevolmente per costruire. Non è solo il tema di “non abbassare la guardia”, per me è molto di più: fare crescere la solidarietà e l’amicizia; guardare a quanto di buono possiamo e potremo fare insieme; continuare ad essere esemplari e ad aiutarci tutti, finché non racconteremo di questi anni nei libri di storia. Poi ci saranno altre difficoltà e cercheremo di essere pronti.

Mi sembra bello ascoltare proprio in questo giorno di San Valentino la liturgia domenicale, in cui si staglia la parola di Gesù: “Lo voglio, sii purificato!”. Nessun cedimento al fideismo o a un’interpretazione magica come se Gesù – improvvisamente – da domani facesse andare bene tutte le cose. Quello che ascoltiamo nella fede, invece, è la conferma che la volontà buona di Dio è che l’uomo viva in un modo sano; Gesù non dice: “Sii guarito”, ma: “Sii purificato”.

Guariti nel corpo, quindi, ma soprattutto sanati e purificati da tutte quelle cose che potrebbero avere fatto male all’anima, allo spirito e alle relazioni.

Gesù, con la sua parola ci fa questo regalo e lascia alla nostra fraternità e alla nostra capacità di comunione il compito di saperlo accogliere e farne tesoro.

Don Davide