Predicatelo sui tetti

Così scriveva papa Giovanni Paolo II nel 2001:

“Il tema che ho scelto per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2001 riprende le parole di Gesù stesso. Non potrebbe essere altrimenti perché noi predichiamo Cristo soltanto. Ricordiamo le parole che rivolse ai suoi primi discepoli: «Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti» (Mt 10, 27). Nel segreto del nostro cuore, abbiamo ascoltato la verità di Gesù. Ora dobbiamo proclamare quella verità dai tetti.

Nel mondo attuale i tetti sono quasi sempre caratterizzati da una foresta di trasmettitori e di antenne che inviano e ricevono messaggi di ogni tipo verso e da i quattro angoli della terra. È di importanza vitale garantire che fra questi numerosi messaggi vi sia la Parola di Dio. Oggi proclamare la fede dai tetti significa proclamare la Parola di Gesù nel mondo dinamico delle comunicazioni sociali e attraverso di esso.”

Quel messaggio fu profetico. Era iniziata l’era di internet, ma non ancora quella degli smartphone e di YouTube, eppure il papa aveva già intuito che la Chiesa avrebbe dovuto confrontarsi col mondo sul grande areopago digitale.

Oggi, più che mai, raccogliere questa sfida è imprescindibile.

È per questo che la nostra parrocchia si è impegnata nell’ultimo anno a preparare un sito web adeguato. Non una cosa improvvisata, ma studiata e sottoposta al vaglio attento di un professionista, per produrre un risultato moderno e accattivante.

Questi i numeri: 68 pagine web, un logo, un anno di lavoro, cinque collaborazioni e molte molte ore di rifinitura e revisione. In questa stagione estiva che inizia, esorto perciò tutti a fare una “navigata” nel nostro sito: www.parrocchiasamac.it

SAMAC, come potete immaginare, sta per Santa Maria della Carità. È un acronimo che permette di avere un indirizzo più breve, facile da ricordare e impattante. Nel logo, come avete visto, trovate il volto stilizzato di Maria e la M fatta a forma di cuore, a simboleggiare e richiamare la Carità, l’amore di Cristo che ci spinge (cf. 2Cor 5,14). Il logo sta in alto, in tutte le pagine del sito.

Cos’altro troverete nel sito?

Nella Home, c’è una sequenza di cinque foto. A ciascuna è connessa una riflessione, che indica l’ispirazione spirituale della nostra parrocchia. Sotto, troverete un piccolo “manifesto della vita parrocchiale”, le schede dei preti della comunità, l’agenda, alcune foto e un blog che raccoglie tutti gli interventi che mettiamo sull’Agenda domenicale e altri testi… Chi vuole potrà trovarli tutti!

Nel resto del menù, diviso in categorie, trovate una spiegazione della storia della parrocchia, delle attività, dei gruppi e infine dei sacramenti, che sono la cosa essenziale per la vita della chiesa.

Il sito beneficia di tutti i suggerimenti possibili, al fine di renderlo vivo e perfezionarlo.

Infine… se per caso salta fuori un riquadro di PayPal… non spaventatevi! È messo apposta per dare a tutti la possibilità di fare un’offerta. Sapete com’è… di questi tempi…

www.parrocchiasamac.it

Il sito web della parrocchia.

Don Davide




Papa Francesco a Bologna, 21/04/2018

Cari fratelli e sorelle,
vi saluto tutti con affetto. Grazie per la vostra presenza festosa! Con questa visita presso la tomba di Pietro voi ricambiate quella da me compiuta alle vostre Comunità diocesane il 1° ottobre dello scorso anno. Ve ne sono molto grato. […]
Conservo viva la memoria degli incontri che ho vissuto nelle vostre città. Non dimentico l’accoglienza che mi avete riservato e i momenti di fede e di preghiera che abbiamo condiviso, ai quali hanno preso parte fedeli provenienti da ogni parte delle vostre rispettive Diocesi. È stato un dono della Provvidenza per confermare e rafforzare il senso della fede e dell’appartenenza alla Chiesa, che chiede necessariamente di tradursi in atteggiamenti e gesti di carità, specialmente verso le persone più fragili. […]
L’occasione della visita a Bologna fu offerta, come voi ben sapete, dalla conclusione del Congresso Eucaristico Diocesano. Il fervore suscitato da quell’evento ecclesiale, che ha raccolto numerose persone intorno a Gesù eucaristico, possa prolungarsi nel tempo, non affievolirsi ma accrescersi e portare frutti, lasciando un’impronta indelebile nel cammino di fede della vostra Comunità cristiana. Come ho ricordato nella recente Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, «condividere la Parola e celebrare insieme l’Eucaristia ci rende più fratelli e ci trasforma via via in comunità santa e missionaria» (n. 142). L’Eucaristia, infatti, fa la Chiesa, la aggrega e la unisce nel vincolo dell’amore e della speranza. Il Signore Gesù l’ha istituita perché rimaniamo in Lui e formiamo un solo corpo, da estranei e indifferenti gli uni agli altri diventiamo uniti e fratelli.
L’Eucaristia ci riconcilia e ci unisce, perché alimenta il rapporto comunitario e incoraggia atteggiamenti di generosità, di perdono, di fiducia nel prossimo, di gratitudine. L’Eucaristia, che significa “rendimento di grazie”, ci fa percepire l’esigenza del ringraziamento: ci fa capire che «si è più beati nel dare che nel ricevere» (At 20,35), ci educa a dare il primato all’amore e a praticare la giustizia nella sua forma compiuta che è la misericordia; a saper ringraziare sempre, anche quando riceviamo ciò che ci è dovuto. Il culto eucaristico ci insegna anche la giusta scala dei valori: a non mettere al primo posto le realtà terrene, ma i beni celesti; ad avere fame non solamente del cibo materiale, ma anche di quello «che dura per la vita eterna» (Gv 6,27). Cari fratelli e sorelle, gli uomini e le donne del nostro tempo hanno bisogno di incontrare Gesù Cristo: è Lui la strada che conduce al Padre; è Lui il Vangelo della speranza e dell’amore che rende capaci di spingersi fino al dono di sé. Ecco la nostra missione, che è ad un tempo responsabilità e gioia, eredità di salvezza e dono da condividere. Essa richiede generosa disponibilità, rinuncia di sé e abbandono fiducioso alla volontà divina. Si tratta di compiere un itinerario di santità per rispondere con coraggio all’appello di Gesù, ciascuno secondo il proprio peculiare carisma. «Per un cristiano non è possibile pensare alla propria missione sulla terra senza concepirla come un cammino di santità, perché “questa infatti è volontà di Dio, la vostra santificazione” (1Ts 4,3). Ogni santo è una missione; è un progetto del Padre per riflettere e incarnare, in un momento determinato della storia, un aspetto del Vangelo» (Gaudete et exsultate, 19). Vi incoraggio a far risuonare nelle vostre comunità la chiamata alla santità che riguarda ogni battezzato e ogni condizione di vita. Nella santità consiste la piena realizzazione di ogni aspirazione del cuore umano. È un cammino che parte dal fonte battesimale e porta fino al Cielo, e si attua giorno per giorno accogliendo il Vangelo nella vita concreta. […]
Vi ringrazio ancora per questo incontro. Vi chiedo per favore di continuare a pregare per me, e di cuore vi imparto la Benedizione Apostolica, che estendo a tutti coloro che compongono le vostre Comunità diocesane.




L’Avvento e le tre parole

Papa Francesco, al termine della messa allo stadio di Bologna, ci ha lasciato tre consegne: il Pane, la Parola e i Poveri. Tutti e tre scritti con l’iniziale maiuscola, perché sono i modi in cui il Cristo si rende presente tra noi.

Il cammino della chiesa di Bologna, dopo avere dedicato l’anno del Congresso alla riflessione sul Pane condiviso, si concentra ora sull’ascolto della Parola di Gesù. È una continuazione del percorso precedente, non solo per la successione che ci ha proposto papa Francesco, ma soprattutto perché la parola che continua a suscitare echi, nel nostro cuore, è quella che abbiamo fatto risuonare tante volte nell’anno passato: “Date loro voi stessi, da mangiare!” (Mt 6,37). Dai te stesso! Non fare mancare il tuo contributo. Sei tu, chiamato a essere discepolo. Scopri che nel consumarti c’è la bellezza della risposta alla chiamata all’amore.

I poveri, fortunatamente, sono sempre al centro dell’attenzione e dell’opera del papa e del vescovo, che così danno una testimonianza luminosa alla chiesa e al mondo, e incoraggiano ogni comunità cristiana a fare altrettanto.

Sarebbe bello se fossimo capaci di fare di questo ascolto che ci è chiesto, una vora occasione di rinnovamento, a partire dalla condivisione di quello che la parola di Dio ci ispira. Se fossimo attenti nel sentire cosa Gesù ci dice, avremmo sempre una spinta rivoluzionaria, anche se fossero piccolissime cose, perché avrebbero la potenza di quella trasformazione evangelica che ha scatenato lo Spirito dopo la Pentecoste.

Alla fine di questo anno liturgico, poi, si celebrerà il Sinodo dei Giovani. O meglio: sinodo dei vescovi (che giovani non sono) per pensare ai giovani e dire loro qualcosa di vicino. Ma il papa, nel meraviglioso discorso che ha fatto per indire il Sinodo [cercatelo digitando su Google “Papa sinodo giovani”, ne vale la pena!], dice che invece vuole che si ascoltino i giovani, e tutti i giovani, anche quelli non cattolici e atei… perché sia veramente un Sinodo dei giovani.

Dovendo fare un discernimento del percorso che il papa e il nostro vescovo ci hanno fatto fare fin qui, direi che sono quattro le domande a cui dobbiamo rispondere:

  1. Come dobbiamo trasformare la nostra pastorale per essere chiesa in uscita, e noi stessi discepolimissionari?
  2. Quali scelte dobbiamo fare per essere in aiuto dei poveri operativamente e più di prima?
  3. Come dobbiamo cambiare l’assetto delle nostre parrocchie nel Centro storico?
  4. Quali rivoluzioni dobbiamo accettare perché i giovani tornino a sentire la chiesa vicina e ad esserne parte?

Il tempo di Avvento inizia con un grido: “Oh, se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63,17). È un grido pieno di nostalgia e di bisogno: un bisogno di speranza quasi disperato per la situazione compromessa del popolo del Signore.

Non ce lo vogliamo nascondere: alcune volte abbiamo la sensazione che anche la nostra esistenza di chiesa sia gravemente compromessa. Contro la tentazione di pensare così, il vescovo ci esorta a credere nella trasformazione del cuore che l’ascolto della parola di Dio può operare, e noi raccogliamo questo invito, con atteggiamento umile e spirito rinnovato, a partire dal dono della parola che il Signore ci fa ogni anno, ogni domenica e ogni giorno, nella liturgia.

Don Davide




Non ci ardeva forse il cuore?

Non ci ardeva forse il cuore, sabato scorso, quando tutta la città era in fermento e si sentiva l’aria frizzante per l’arrivo del papa? Non ci ardeva di carità quando, al centro per i rifugiati, papa Francesco ha ricordato quelli che non ce l’hanno fatta e che non ci sono più? Non ci ha fatto ardere di buoni propositi quando, all’Angelus, ha chiesto alla città di Bologna di rimanere un esempio nella testimonianza del Vangelo o quando ha raccomandato ai preti e ai religiosi di essere con il popolo, semplici e poveri, per condividere il Vangelo?

E non ha fatto come Gesù, riattualizzando d’un colpo le parole dei profeti, sedendo a mensa con i poveri e tutti coloro che avevano bisogno di riscatto?

E non ha letteralmente infiammato i nostri cuori con il suo discorso all’Università, parlando di cultura, di speranza e di pace, nell’orizzonte di un’Europa unita, contro tutti i populismi e le retoriche, come non si sentiva fare da anni?!

Sì, l’abbiamo riconosciuto nello spezzare il pane… ma non lui, cioè papa Francesco. Grazie al papa, e soprattutto grazie al suo rapporto così schietto e sulle stesse corde con il vescovo Matteo, nel catino suggestivo e trepidante dello stadio, trasformato in una cattedrale contemporanea, abbiamo riconosciuto Gesù risorto! Sì, Gesù risorto, vivo, presente in mezzo e insieme alla sua Chiesa, che ci ha confortato, ha fatto risuonare la sua parola con mille sfumature e ci ha dato la direzione.

Una Chiesa non clericale, fatta di pastori davanti, in mezzo e dietro al popolo; una Chiesa richiamata ai tratti (non ai valori) inconfondibili del Vangelo: i poveri, l’annuncio del Regno agli ultimi, la misericordia data e ricevuta. Una Chiesa tesa a raggiungere tutti e ad aprire una via per ciascuno.

Il vescovo Matteo, il giorno di San Petronio, ha ringraziato la città, per la preparazione della visita del papa, lo svolgimento della giornata e l’accoglienza profonda che Bologna gli ha riservato. Era da tempo che il giorno del patrono non si sentivano parole gentili nei confronti della città, piuttosto che rimproveri, provenienti da una supposta posizione di superiorità. È uno stile che, inequivocabilmente, i nostri pastori ci consegnano. Non perché non ci siano i problemi o perché la Chiesa debba abdicare al suo compito critico e di vigilanza, ma per costruire rapporti di vera amicizia, aiutarsi e camminare insieme.

Così, oggi, giorno della conclusione del Congresso Eucaristico nelle nostre parrocchie, il vescovo ci consegna la sua nota pastorale, per confermarci nella direzione di questo cammino, dal titolo: Non ci ardeva forse il cuore?

Incoraggiati da questa consegna, iniziamo il nuovo anno pastorale con l’immagine bellissima di Gesù che, dopo avere spiegato il significato profondo delle Scritture, essere stato ospitato a tavola e avere spezzato il pane con i segni dell’Eucaristia, ci fa percepire nitidamente che cosa fa ardere il cuore e brillare il volto.

L’egoismo ci spegne, il Vangelo ci infiamma. La divisione perde, la comunione vince. L’odio ci fa morire, l’amore ci fa vivere.

Don Davide




La felicità è un’impronta

L’orma del sedere sul divano, o l’impronta del piede sulla strada?

Sembra questa la posta in gioco del papa nella sua partita con i giovani. L’anno scorso, durante la GMG a Cracovia, aveva già parlato della “divano-felicità”: “la tentazione di pensare che la felicità dipenda da un buon divano”. L’aveva definita “la paralisi silenziosa che può rovinare di più la gioventù” e si era lamentato di quei giovani che vanno in pensione dalla vita a vent’anni.

Come un abile giocatore di poker aveva detto: “Ci sto, gioco!”. Aveva messo sul piatto un bel centone e aveva provocato i giovani a raccogliere la sfida. E loro, i giovani, l’hanno fatto. In mille modi, da Cracovia al recentissimo incontro a Milano, hanno risposto all’appello, trascinando il papa a tirare fuori le sue migliori energie, e raccogliendo parole e suggestioni che in più di un’occasione sono parse indimenticabili.

Ma ora che è finito il primo giro, il papa si prepara a vedere le carte. Anzi, rilancia sullo stesso tema: “Maria non era una giovane-divano!” dice nel suo videomessaggio per la Giornata mondiale della Gioventù di quest’anno. Implicitamente, chiede: e voi? Sembra quasi di sentirlo, con la sua tipica inflessione spagnoleggiante: Non siatelo anche voi, dai!

Il montepremi che papa Francesco, come i migliori e più temibili giocatori di poker ha fatto accumulare, è niente di meno che la felicità. Dando come tema il grido di esultanza di Maria che apre il Magnificat: “Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente” (Lc 1,49), ha ricordato ancora una volta ai giovani che non c’è esperienza della felicità possibile, se non restituendo ciò che Dio ha fatto per noi. Non seduti sul divano, ma mossi dall’entusiasmo e dalla gratitudine! Viene in mente la terribile immagine di Nietzsche dell’Ultimo Uomo, “il più spregevole”, quello che siede in poltrona, strizza l’occhiolino e dice: “Noi abbiamo inventato la felicità!” (Così parlò Zarathustra, Prefazione, par. 5). Ci possiamo illudere che la felicità sia lasciare la nostra bella orma calda sul divano, ma non è invece la nostra vita un desiderio quasi inconfessato di lasciare un’impronta? Il papa dice: c’è un modo di farlo bene, con onestà, non schiacciati da inutili ambizioni.

La felicità non è già data una volta per tutte, è itinerante, si scopre nel cammino, cambia di forme, si accompagna all’inedito. La tradizione della Chiesa ci consegna l’Eucaristia come cibo dei pellegrini: nutriti da questo cibo, che ci fa rendere lode e trasformare in salvezza ogni giorno il vissuto quotidiano, siamo invitati a saltare giù dal divano e lasciare la nostra impronta nel mondo.

Don Davide




La felicità è un’impronta

L’orma del sedere sul divano, o l’impronta del piede sulla strada?

Sembra questa la posta in gioco del papa nella sua partita con i giovani. L’anno scorso, durante la GMG a Cracovia, aveva già parlato della “divano-felicità”: “la tentazione di pensare che la felicità dipenda da un buon divano”. L’aveva definita “la paralisi silenziosa che può rovinare di più la gioventù” e si era lamentato di quei giovani che vanno in pensione dalla vita a vent’anni.

Come un abile giocatore di poker aveva detto: “Ci sto, gioco!”. Aveva messo sul piatto un bel centone e aveva provocato i giovani a raccogliere la sfida. E loro, i giovani, l’hanno fatto. In mille modi, da Cracovia al recentissimo incontro a Milano, hanno risposto all’appello, trascinando il papa a tirare fuori le sue migliori energie, e raccogliendo parole e suggestioni che in più di un’occasione sono parse indimenticabili.

Ma ora che è finito il primo giro, il papa si prepara a vedere le carte. Anzi, rilancia sullo stesso tema: “Maria non era una giovane-divano!” dice nel suo videomessaggio per la Giornata mondiale della Gioventù di quest’anno. Implicitamente, chiede: e voi? Sembra quasi di sentirlo, con la sua tipica inflessione spagnoleggiante: Non siatelo anche voi, dai!

Il montepremi che papa Francesco, come i migliori e più temibili giocatori di poker ha fatto accumulare, è niente di meno che la felicità. Dando come tema il grido di esultanza di Maria che apre il Magnificat: “Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente” (Lc 1,49), ha ricordato ancora una volta ai giovani che non c’è esperienza della felicità possibile, se non restituendo ciò che Dio ha fatto per noi. Non seduti sul divano, ma mossi dall’entusiasmo e dalla gratitudine! Viene in mente la terribile immagine di Nietzsche dell’Ultimo Uomo, “il più spregevole”, quello che siede in poltrona, strizza l’occhiolino e dice: “Noi abbiamo inventato la felicità!” (Così parlò Zarathustra, Prefazione, par. 5). Ci possiamo illudere che la felicità sia lasciare la nostra bella orma calda sul divano, ma non è invece la nostra vita un desiderio quasi inconfessato di lasciare un’impronta? Il papa dice: c’è un modo di farlo bene, con onestà, non schiacciati da inutili ambizioni.

La felicità non è già data una volta per tutte, è itinerante, si scopre nel cammino, cambia di forme, si accompagna all’inedito. La tradizione della Chiesa ci consegna l’Eucaristia come cibo dei pellegrini: nutriti da questo cibo, che ci fa rendere lode e trasformare in salvezza ogni giorno il vissuto quotidiano, siamo invitati a saltare giù dal divano e lasciare la nostra impronta nel mondo.

Don Davide