Come i sentieri di montagna

“Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per servire alle mense…” (At 6,2).

Non è che gli apostoli fossero restii al servizio, ovviamente, ma avevano riconosciuto con precisione la loro vocazione, soprattutto in un momento delicato e di possibile disorientamento della comunità. Quindi, decidono con coraggio e consapevolezza di custodire il dono che avevano ricevuto.

Era la loro “parte migliore”.

Quella che – secondo le parole del Maestro (guarda caso riportate proprio nell’opera di Luca, lo stesso autore degli Atti) – non poteva essere tolta (Lc 10,42).

Gli uomini che vengono scelti come diaconi, erano ben conosciuti dalla comunità, apprezzati per il loro servizio e la loro fede, autorevoli. Non erano certo lontani dalla Parola di Dio. Semplicemente, l’ascoltavano in quella forma particolare e la mettevano in pratica così.

In questo modo, il racconto degli Atti ci mostra l’apertura delle vie della santità.

Sono i tanti fiori belli che sbocciano dai semi del Battesimo, e abbelliscono il prato della Chiesa e del mondo.

La via è Gesù, ma ben lungi dall’essere univoca, è poliedrica: si concretizza nelle tante forme di seguire, imitare e ascoltare Gesù.

La meta è unica: il Padre e l’esperienza commovente del suo amore.

C’è chi ama leggere, studiare, meditare e pregare la Parola di Dio scritta; c’è chi questa Parola la legge nei poveri e la impara nei poveri; c’è chi adora fare l’adorazione e chi, dopo cinque minuti che è in ginocchio davanti al SS.mo comincia a pensare a quale sugo preparare per la cena, ma in compenso è un fenomeno all’oratorio. C’è chi organizzerebbe mille incontri di formazione in parrocchia, e chi ha la pazienza di ascoltare fino all’eroismo chi ha bisogno anche solo di parlare o di compagnia…

È come salire sulla vetta di una montagna, raggiunta da molti sentieri, magari anche una via di scalata.

Qualcuno preferirà fare il sentiero più diretto e ripido; un altro sceglierà il percorso più panoramico; un gruppo si fermerà alla malga a rifiatare, gli altri non vedranno l’ora di mangiarsi il panino in cima. Qualche intrepido preferirà fare la scalata, ma ad alcuni farebbe venire le vertigini, e quindi percorreranno il lento percorso a zig-zag che si configura negli ultimi tratti di salita.

La cosa stupenda è che, a pensarci bene, man mano che si raggiunge la cima, i percorsi sono più vicini e, a un certo punto, magari proprio sotto la croce di vetta, convergono.

Così è la vocazione cristiana.

È importante che sia un saggio equilibrio: che chi ama la Parola di Dio dedichi spazio alla carità, e che chi farebbe centomila partite a biliardino in oratorio vada a dire i vespri in chiesa con la comunità.

Ma sia benedetta la passione che ciascuno mette per vivere il proprio Battesimo e percorrere una vita santa. E sia benedetto il momento meraviglioso, in cui ci si siede insieme dove il mondo sembra finire e rimane solo il cielo sopra di noi a rifiatare, ristorarsi, ricordare il cammino fatto e raccontarlo a chi ne ha percorso uno diverso.

Don Davide




Convertirsi

Dio si rivela a Mosè come “il Dio di tuo padre” (Es 3,6).

C’è una storia che attraversa le generazioni e una trasmissione della conoscenza di questo Dio presente e partecipe della vita degli uomini.

Senza fare il facile profeta di sventura, bisogna ammettere che questa riconsegna – questo rapporto tra le generazioni che potrebbe dare inizio a una storia completamente nuova e rivoluzionaria nel senso migliore del termine, come quella di Mosè – si è completamente interrotta.

È umile e difficilissimo allo stesso tempo, quindi, accogliere la parola di Gesù che di fronte a due situazioni: la guerra e una catastrofe, dice: “Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,5).

La guerra c’è; anzi, bisogna dire: le guerre ci sono, numerose, atroci e persistenti.

Le catastrofi ci sono, a partire dalla crisi ecologica che tocca tutti i versanti.

Cosa significa, allora, “convertirsi”? Ci fermiamo e meditiamo un istante su questo.

Convertirsi significa, prima di ogni altra cosa, riconoscere che la parola di Dio mette ordine nel caos e dona quella illuminazione che permette di avere chiarezza e di creare o ricreare il mondo (cf. Gn 1,1-3).

Convertirsi, poi, ha a che fare con se stessi: convertire sé. Significa lavorare di continuo a sradicare e correggere ciò che noi ci sentiamo in diritto di biasimare negli altri. È un impegno durissimo anche solo da accettare, ancora più faticoso da assumere costantemente, fino a che possiamo vedere qualche piccolo risultato. Eppure, quanto mai necessario.

Infine, convertirsi chiede di riconoscere il tempo che ci è dato come un tempo di misericordia. Esistiamo nel segno della misericordia e dell’amore di Dio. Anche se le parole di Gesù ci spronano con forza, ci è dato tempo non per sentirci nell’errore, ma per vedere le possibilità buone e per sapere che possiamo espanderci nell’amore.

Viviamo in questa benevolenza, ricevuta e data affettuosamente, e vedremo venire il bene (cf. Ger 17,6).

Don Davide




La Parola di Dio

In questa terza domenica del Tempo Ordinario, siamo stati invitati da Papa Francesco a porre un’attenzione particolare alla Parola di Dio, scritta, letta e proclamata, che rende presente il Signore Gesù, sia nella preghiera personale che – in maniera perfetta – nella liturgia.

La Parola di Dio ci ricorda che la nostra azione pastorale è un seme.

Ma perché cresca il seme, dobbiamo preoccuparci di avere il sacchettino giusto, la riserva appropriata. Dobbiamo prima di tutto sentirla rivolta a noi, la Parola.

Come anche le api che impollinano i fiori, è necessario che la trasportiamo noi. Sappiamo anche che la Parola di Dio ha una sua forza intrinseca, ma noi non possiamo sottrarci alla nostra responsabilità.

Tutta l’efficacia o la tiepidezza pastorale e la ricchezza spirituale o la poca fecondità della Chiesa dipendono dalla misura in cui accogliamo la Parola di Dio in noi.

Si può fare in molti modi e con diverse intensità, dall’ascoltare attentamente la liturgia della Parola e l’omelia e trasformarla in vita vissuta, alla meditazione quotidiana della Bibbia o la preghiera personale attraverso i Salmi e il Vangelo. L’importante è che non manchi.

Ci aiutiamo a custodire la chiarezza di quanto sia preziosa la Parola di Dio con due bei testi, presi uno dalla tradizione ebraica e uno da quella cristiana.

“Volgila e rivolgila perché in essa c’è tutto. Rimirala, invecchia e consumatici sopra. Non te ne allontanare mai, perché non vi è parte per te migliore di essa.” (Mishnà Avòt V,24)

“Non senti il Signore che dice: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro»? (Mt 18, 20). E non sarà presente là dove si trova un popolo così numeroso, unito dai vincoli della carità? Mi appoggio forse sulle mie forze? No, perché ho il suo pegno, ho con me la sua parola: questa è il mio bastone, la mia sicurezza, il mio porto tranquillo. Anche se tutto il mondo è sconvolto, ho tra le mani la sua Scrittura, leggo la sua parola. Essa è la mia sicurezza e la mia difesa. Egli dice: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).” (San Giovanni Crisostomo)

Don Davide




Segni e prodigi

In mezzo a pandemie e pestilenze

Il primo dei segni prodigiosi, che ci permettono di riconoscere il tempo e l’opera di Gesù, ha un punto di attivazione nella responsabilità di umili servi, davvero un gruppo non di grandi protagonisti: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela!” (Gv 2,5).

Quei servi possiamo essere noi. Magari non i protagonisti della Storia, ma al centro della storia, determinanti per fare accadere i fatti che contano, quelli indicati da Gesù.

Dal vangelo di questa domenica, raccolgo tre spunti.

“Qualsiasi cosa vi dica…”

È Maria che lo dice e sono le ultime parole che ascoltiamo di lei.

Si tratta dell’indicazione più autorevole che possiamo immaginare. Solo a riguardo di Gesù vale questo principio: “Qualsiasi cosa vi dica…”.

In questi tempi confusi, mi sembra che manchi nella vita dei cristiani questa chiarezza: la parola autorevole è quella di Gesù.

Insieme ad essa dobbiamo fare discernimento. Perciò, dovremmo dedicarci di più e più concretamente all’ascolto della parola di Gesù, alla sua assimilazione e a seguire le indicazioni dove ci porta. Ho invece impressione che siamo disorientati, perché se fossimo i servi di Cana, probabilmente andremmo in cantina a vedere se abbiamo qualche avanzo di un vinaccio qualunque per rimediare.

“Fatela!”

Necessita una grande fiducia mettere in atto questo comando perentorio di Maria. Tuttavia, è come ribadire il concetto: se è lui, Gesù, che ti parla, puoi avere fiducia, puoi farlo concretamente.

Come si fa ad avere fiducia? Avendo il desiderio di allargare il cuore all’esperienza del mondo, nella quale Gesù vuole introdurci.

Ci sono così tante cose belle da fare, così tanto da amare: si tratta di educare la nostra sensibilità a riconoscerlo quando questo “tanto” ci viene incontro.

“Tu hai tenuto…”

Questa frase la dice il maestro di tavola allo sposo, ma in realtà è rivolta a Gesù.

C’è qualcosa in serbo per noi. Che cosa?

Ci addentriamo nel percorso dell’anno, aggrappati alle indicazioni di Gesù, con il desiderio di scoprirlo e con la fiducia di rimanerne sorpresi e meravigliati.

Don Davide




Settenario

Ho notato che vanno di moda i discorsi motivazionali.

Ne ho ascoltati proprio di recente un paio interessanti di Matthew McConaughey e di Denzel Washington:

Ok. Loro sono due superstar, ma sette è considerato il numero perfetto, quindi ho deciso che anche se non sono proprio nessuno per fare un discorso motivazionale, voglio cogliere l’occasione di questo settenario.

Primo. La vita si intensifica

Quando facevo il cappellano avevo molta paura di diventare parroco. Stavo sempre con i giovani, facevo esperienze indimenticabili e non avevo nessuna preoccupazione amministrativa. Sono stati anni davvero indimenticabili, lo percepivo mentre li vivevo, perciò non ero incentivato a cambiare. Anzi, quando vedevo il numero della Curia (allora il vescovo non ti chiamava ancora personalmente), cercavo di non rispondere. Adesso ci sono tante questioni amministrative, riesco a stare meno con i ragazzi e il mio tempo è frammentato, tuttavia ho scoperto che è bello e che lo faccio con lo stesso entusiasmo.

La vita si intensifica

Si intensifica nella serietà delle cose che fai, nell’importanza dei rapporti che stabilisci, nella sensibilità che impari ad avere, nel modo in cui ami e in cui provi emozioni. Non è questione di confronti, ma non penso nella maniera più assoluta che la percezione dell’intensità dell’esistenza si logori col tempo; credo, piuttosto, che cresca e che diventi più percettiva.

Secondo. La parola di Dio rimane il fondamento

Cambia il mondo, cambia la Chiesa, cambiano i vescovi e il papa. Anzi, viviamo non in un’epoca di cambiamenti, ma in un cambiamento d’epoca. Arrivano il web 3.0, le pandemie e si pensa di andare su Marte, ma la parola di Dio resta salda. “Le mie parole non passeranno” (Lc 21,33), dice Gesù. Non passano le sue parole e la stupenda storia della salvezza, presa nel suo complesso narrativo, che è il racconto del modo in cui Dio agisce, entra nella storia, e ricuce i rapporti per avvolgerci del suo amore.

La parola di Dio rimane una luce

Non un faro che illumina tutto, ma una lanterna (Sal 119,105), che rischiara ogni passo.

Terzo. Amici

In sette anni possono nascere stupende amicizie e ci si può legare enormemente. Ci si può fare nuovi amici e si possono anche perdere. Ho imparato che ogni momento con una persona a cui vuoi veramente bene, è un regalo da godere. È un momento speciale. Non si deve pensare che basti fare qualcosa insieme, non è sufficiente.

Bisogna risplendere di quella presenza ed emanare il proprio bene

E ringraziare alla sera perché, anche quel giorno, c’è stata.

Quarto. Non lasciare le proprie passioni

C’è un tempo, inevitabile, in cui ci si dedica anima e corpo ad alcune chiamate particolari e necessarie. Due giovani che diventano genitori, un uomo che diventa prete, chi inizia a lavorare seriamente… Questo è bene.

È bene anche ricordarsi delle proprie passioni, recuperarle quando si può.

Aiuta ad essere interi e a dare continuità alla persona che sei. Devi essere tu, e non altri. Ed è bello che tu, chiunque tu sia, possa essere integro o integra, per il dono che puoi fare di te.

Cinque. Insieme

Nell’omelia del primo giorno in cui sono arrivato qui, avevo espresso il desiderio (che mi dava molta serenità) di fare le cose insieme; so di non essere stato bravo io a rispettare sempre tale proposito, ma riaffermo ancora la validità di questo principio. È un sentiero di montagna in mezzo a un panorama stupendo: tracciato, sicuro, senza pericoli gravi, bello ed emozionante.

Fare le cose insieme è un sentiero di montagna in mezzo a un panorama stupendo

Sei. Anno liturgico

Non riesco a esprimere quale suggestione sia potere ricominciare il tempo non solo con i cenoni e con auguri che, in realtà, non hanno il potere di cambiare il corso delle cose, ma in modo che il tempo non sia circolare, bensì nuovo, con una suggestione spirituale, con qualche messaggio da consegnare alla nostra esistenza. Ho sempre relativizzato il Capodanno civile, ho sempre amato tantissimo entrare nel nuovo anno liturgico.

Sentire la liturgia che cambia atmosfera e intonazione

e il dilatarsi il silenzio e la meraviglia, avvolge tutti di uno stupore che ci permette di rinascere spiritualmente.

Sette. Scrivere

Scrivere è come respirare la vita. Un modo per non permetterle di passare via troppo presto, troppo in fretta. È la magia per trattenere una stella cadente e la ricetta per prolungare un’emozione. Inoltre, è per me un modo di comunicare la gratitudine.

Le parole di per sé hanno un potere creativo: quando le dici, fanno accadere le cose.

Come tutti i poteri, vanno usate con prudenza: possono essere buone o cattive. Se scritte hanno ancora più peso. Io spero di scrivere, per voi, parole buone.

Don Davide




La sapienza evangelica

“Un tale corse incontro a Gesù”: aveva urgenza quell’uomo!
Vi leggo, simbolicamente, la stessa urgenza di cose buone che hanno gli uomini e le donne di oggi.
Non importa che le analisi ci dicano che nell’Occidente cristiano, semmai, si corra in direzione opposta a Gesù, e il fatto che alcuni, più in generale, non cerchino cose buone e pratichino quelle cattive non ci deve trarre in inganno; in quest’ultimo caso, spesso, si tratta di un’espressione molto disordinata del desiderio di una vita che valga la pena di essere vissuta.

Tuttavia, proprio in quell’incontro tanto desiderato (e probabilmente a lungo atteso) si consuma una crisi. L’uomo si trova disorientato. La sua motivazione inspiegabilmente crolla: rifiuta le possibilità aperte da Gesù, ma rimane tremendamente perplesso. È triste.

C’è una cosa che possiamo imparare, fondamentale e decisiva: la disponibilità di rimanere aperti a prospettive diverse dalle nostre, di imparare qualcosa che non sappiamo ancora, di essere condotti su territori nuovi. Abramo lo fece a novant’anni: non c’è vecchiaia che tenga!

Gesù ci indica la sapienza evangelica. È una via non omogenea al mondo. Si può apprendere solo se disponibili, si può apprezzare solo se la si pratica. Quello che accade nel nostro cuore è un’opera spirituale, non spiegabile con altre esperienze umane. La sapienza evangelica “è viva, efficacie, più tagliente di ogni spada a doppio taglio”: tocca la nostra esistenza, ci aiuta a fare le scelte, se non siamo anestetizzati ci fa sentire spesso un acuto bisogno di conversione.

Penetra in un luogo profondissimo “dentro” di noi, raggiunge nodi complessi che nemmeno siamo capaci di districare, e opera percorsi di guarigione e di consolazione.

Alla fine, o nel cammino, uno sperimenta un dono sovrabbondante (“cento volte tanto”, dice Gesù), non perché tutto vada alla perfezione, ma perché ci si può sentire completi e integri, anche in mezzo alle turbolenze del mondo.

Don Davide




Il potere delle parole (per gli Under 20)

Quanti sordi e muti ci sono nel nostro mondo! Non le persone che hanno difficoltà fisiologiche, che spesso comunicano addirittura meglio degli altri. A loro va tutto il rispetto dovuto.

Ci sono tanti muti di fronte alle ingiustizie, giovani che non difendono i loro amici e le loro amiche, responsabili che non parlano della crisi climatica o, peggio, ne distorcono la percezioni, presunte autorità le cui parole sono così insulse che anche il loro suono risulta vuoto oppure stonato.

E poi ci sono i sordi che non vogliono ascoltare, chi non fa lo sforzo di mettersi in relazione, i peggiori sono quelli che non si meravigliano più e che non vogliono imparare.

Ma voi no, ragazze e ragazzi! Cogliete oggi l’invito di Gesù che guarisce un sordomuto dicendo: “Apriti!”. Doveva avere risuonato con un tale carisma, quel comando, che i narratori lo riportano ancora nella lingua originale: “Effatá”, come quando una parola è talmente forte che ti rimane in mente per sempre.

Io vi dico: leggete libri, guardate film e serie tv, ascoltate la musica, non rinunciate mai a parlare dopo avere pensato con un po’ di saggezza cosa comunicare. E se la gente si stupirà, come accadeva con Gesù, meglio così! Scoprirà che siete recettivi e sarà costretta a riconoscere che avete qualcosa da dire.

Don Davide




Visioni di coraggio

Riprendono la pastorale più attiva, la scuola e l’università, il lavoro e gli impegni personali e la prima parola che risuona in questa domenica è: “Coraggio! Non temete!” (Isaia 35,4-7). I profeti hanno sempre la capacità di infondere speranza e di rigenerare la forza di guardare al futuro, e se pensiamo agli anni di pandemia da cui veniamo e alla crisi della pastorale, che sembra essersi ormai rassegnata a delle chiese semivuote e alla difficoltà di appassionare e coinvolgere i giovani, pare che ce ne sia proprio bisogno.

Accogliamo volentieri perciò lo sguardo dei profeti, che penetrano prospettive che è difficile persino intuire. Concretamente, nel contesto in cui risuona l’oracolo del profeta Isaia, il regno di Israele era sotto l’assedio delle truppe di Sennacherib, imperatore d’Assiria. Sembrava non ci fosse speranza alcuna. Invece il profeta – contro il parere di tutti e fronteggiando contrarietà e umiliazioni – non offre solo un oracolo di vittoria, ma la prospettiva di un mondo nuovo. L’esito della vicenda darà ragione al profeta.

Per vedere la realizzazione delle profezie, però, bisogna credere alla Parola di Dio. Da questa domenica, allora, cogliamo due suggerimenti a cui aderire con fede.

Per prima cosa dobbiamo riconoscere di essere sordi e muti proprio di fronte alla Parola di Dio. Sembra un’affermazione ripetuta banalmente, ma occorre prendere atto che non abbiamo una consuetudine significativa con la Parola di Dio, non l’ascoltiamo (siamo sordi) e ancora meno siamo capaci di testimoniarla in maniera affascinante (siamo muti): in verità, sembriamo sempre dei principianti nella vita spirituale, che invece è necessaria per orientare le nostre scelte di vita, per rafforzare la nostra personalità e le nostre relazioni, e per osservare un rigore morale che riguarda prima di tutto la nostra dignità.

In secondo luogo possiamo cercare di vivere una carità più limpida, non tanto nelle cose eclatanti, quanto negli atteggiamenti fraterni, nel vivere con più cordialità i rapporti in parrocchia e fuori, essere gentili, non discriminare, non dare giudizi affrettati, impegnarsi a volere bene, gioire di condividere la fede con la propria comunità.

C’è un grande desiderio, in fondo, in ciascuno dei credenti, di una fede viva e di una comunità così amorevole e propositiva, da rallegrare persino il deserto e la terra arida.

Don Davide




L’olio non finirà

“Il regno dei cieli è simile a dieci vergini…” è l’apertura del Vangelo di domenica (Mt 25 1-13). Cinque di esse sono stolte e cinque sapienti. Sembra la rappresentazione del mondo di oggi sotto gli occhi di tutti: abbiamo persone di tutti i tipi, pregi e difetti scorrono tra le righe quotidiane e sono esperienza di tutti. Queste vergini hanno tutte delle lampade ossia, partono tutte con la stessa dotazione per andare incontro allo sposo della parabola. Però, non tutte prendono l’olio, che è sempre a disposizione di tutte loro. Appare dunque evidente che la differenza tra le stolte e le sapienti non è su ciò che sono o ciò che hanno, ma su ciò che scelgono di fare, sulla propria volitività, sulla determinazioni delle azioni possibili. Possono essere del regno nuovo se agiscono e se lo fanno con sapienza. Non manca nulla a nessuno. La buona notizia è per tutti: recepire l’invito alle nozze significa essere pronti ad agire. Il vangelo non è un salotto, buono o cattivo che sia, è invece prendersi cura di sé per vivere pienamente le nozze con il Risorto.

L’evangelista Matteo in questo brano, ci dice non è sufficiente essere invitati e rispondere positivamente all’invito. A tutti è concesso sempre di essere vergini, riscrivere sempre la propria vita e in ogni momento, a tutti è concessa la lampada per le vie buie e sappiamo bene come la vita presenta sempre strade difficili. Ma ciò che rende il credente diverso, è l’essere recipiente della sapienza che agisce, che non si trascura, che non rimanda, che ama l’incontro con lo sposo.
La sapienza si fa trovare se la cerchi. Ti anticipa, se la desideri. Se ti svegli presto, la trovi alla porta. Essa stessa vuole inondarti con ogni benevolenza (Cfr Sap 6, 12-16), ma devi scomodarti, rompere gli schemi di convinzioni e credenze, renderti nuovo. In altre parole, lanciarti con fiducia verso le tue capacità nelle braccia amanti di Cristo.
Il regno dei cieli può essere qui, ora, in questo momento, puoi essere la sposa più felice e non autoescluderti senza rimanere fuori dalla porta, se provvedi tu a ciò che ti serve davvero per questo incontro. A che serve lamentarsi delle cose che non vanno bene se non mettiamo olio in abbondanza nelle nostre lampade.
La luce della Parola, dall’olio di un fare sapiente, illumina e riscalda il tuo cammino, anche in questo tempo di pandemia.

Anna Maria e Francesco Paolo




Come la pioggia e la neve

Siamo in piena estate e la liturgia della Parola, in questa domenica, inizia evocando la pioggia e la neve. Sembrano immagini lontane, ma proprio nei mesi più caldi e secchi dell’anno siamo aiutati a considerare la preziosità dell’acqua che disseta la terra e del ciclo delle stagioni.

La pioggia e la neve – dice il profeta Isaia – scendono dal cielo e irrigano e fecondano la terra, perché germogli, dia il seme e poi il raccolto. È una metafora stupenda e celebre, usata sempre per indicare l’efficacia della Parola di Dio, che non torna al cielo senza avere irrigato la vita di chi raggiunge.

Oggi, però, pensando all’estate, in questo paragone vorrei cogliere la dilazione del tempo. Tra l’autunno e l’inverno che preparano la terra irrigandola e la gioia del raccolto, passa un tempo lungo, di attesa, in cui l’agricoltore può curare un po’ il campo, ma non può operare più di tanto.

Mi sembra che nella pastorale delle nostre comunità, dovremmo riscoprire e coltivare il tempo lungo. La semina della parola – come ben manifesta la parabola evangelica, che pare esprimere un aspetto complementare a quello della prima lettura – è difficile. Nonostante l’abbondanza e la generosità del seminatore, che non è uno sprovveduto, c’è una difficoltà intrinseca in questa seminagione.

Lo dico in modo provocatorio, ma ho l’impressione che nel tempo che viviamo, invece, per evitare il rischio della dispersione dei semi e del periodo lungo per vedere il frutto, preferiamo fare come l’esperimento scientifico per eccellenza di tutti i bimbi, cioé mettere il semino in un bicchiere con un po’ di cotone, per vedere il germoglio e la piantina e dire: “Wow!”. I bimbi, giustamente, ne rimangono meravigliati, ma gli adulti sanno che non si raccoglierà nulla da quella piantina… ma è come se ci rassicurasse vedere qualcosa.

Lo si fa con il catechismo, in cui ci rassicura vedere i bimbi nei quattro anni del catechismo, ma sapendo che poi – sia per loro che per le loro famiglie – rimane ben poco di quella esperienza.

Lo si fa con i ragazzi e i giovani, con i quali usiamo quasi sempre il criterio del “così vengono”, ma alla fine non insegniamo loro a pregare, la vita spirituale, il valore dei sacramenti, di avere una guida. Fare queste cose “spirituali” è difficile: è impopolare, non interessano, ci vuole tempo… mi chiedo, però, se non siano proprio questi percorsi difficili a manifestare l’efficacia di cui parla il profeta Isaia. Quando questi ragazzi saranno diventati uomini e donne, che cosa li aiuterà?

Anche la carità corre lo stesso pericolo. Sembra che sia l’unica cosa che conti nella Chiesa, agli occhi del mondo: della fede cristiana non interessa più niente, anzi, non di rado si manifesta un certo fastidio, però la Chiesa che fa tanta carità piace a tutti: “Così dovrebbe essere!” si dice. Ma cosa sostiene la carità? Tutte le persone che animano in maniera non improvvisata, costante e con sapiente dedizione la carità, sono persone che sanno precisamente il motivo per cui lo fanno: per Gesù. Gli altri ci girano attorno, ma se non ci fossero i primi, l’immenso impianto della carità nella Chiesa semplicemente crollerebbe.

seminaAllora, cosa dobbiamo fare? La semina della Parola di Dio è difficile e, diciamolo senza mezzi termini, è fuori moda. Ma pare che Gesù non abbia escluso questa eventualità, citando il profeta Isaia.

“A chi ha sarà dato, e sarà nell’abbondanza, ma a colui che non ha sarà tolto anche quello che ha.” È una delle frasi più scandalose e irritanti del Vangelo, a fronte di un certo modo di pensare in termini di aurea mediocritas. Ma quello che vuole dire Gesù, parlando della Parola di Dio, è che la Parola è legata a un desiderio e la ricchezza cristiana a un’adesione. Chi rifiuta questo tesoro, si troverà sprovvisto e non ne rimarrà nulla. Chi invece lo cerca e vi si apre, a prezzo di fatica e pazientando nel tempo lungo, non avrà nemmeno bisogno di scoprirlo, ma sarà ricolmato di ricchezza.

Don Davide