Due luci

Il Rosario e la Parola di Dio

Nella nostra parrocchia veneriamo un’immagine di Maria con il titolo di Madonna della Salute. È una presenza tanto amata da tutti i fedeli, che il proposito di restauro è stato accolto da grandissimo favore e che, anche in questi mesi in cui l’icona era appunto in laboratorio, le persone non hanno mai smesso di accendere le candele nella cappellina a lei dedicata.

Al termine del mese di maggio, l’immagine tornerà in chiesa, in fase di restauro molto avanzato ma ancora non ultimato. Nonostante lo sconvolgimento dei programmi dell’anno pastorale, si è voluto infatti mantenere la preghiera del tradizionale Ottavario alla B.V. della Salute. In realtà sarà un “Cinquenario”, una devozione di cinque giorni, ma ci è sembrato quanto mai opportuno pregare per la salute, non solo nostra, ma in senso assoluto, in questo periodo di emergenza sanitaria.

Da lunedì 25 a venerdì 29 maggio, alle ore 18.30 pregheremo il Rosario seguito dal canto delle litanie. Poi celebreremo la messa secondo le intenzioni mariane e concluderemo con un breve momento di silenzio davanti a Gesù Eucaristia, per ricevere la sua benedizione.

Sarà l’occasione per ritrovarci di nuovo in famiglia, come nelle vecchie case di campagna, quando tutti i membri, dai nonni ai nipotini, si radunavano per recitare il Rosario. Era come uno scudo, semplice ma sicuro, contro tutte le difficoltà della vita. Vorremmo che fosse caratterizzata allo stesso modo: una preghiera semplice, vissuta nella gioia di stare insieme affidandoci alla Madonna, sentendoci di nuovo in famiglia.

Alla ricerca di una rinascita spirituale e in un atteggiamento di discernimento, nel mese di giugno vorremmo provare a vivere alcuni momenti di ascolto condiviso della Parola di Dio: un breve itinerario di lettura, per capire cosa abbiamo vissuto in questi tempi difficili.

Ci sarà un appuntamento serale, metteremo qualche tavolo nel campetto con una candela al centro e, a piccoli gruppi, distanziati e all’aperto, al riparo da fastidiosi contagi, leggeremo, pregheremo, mediteremo e condivideremo con la massima semplicità un testo della Bibbia e una riflessione a partire da esso. Al termine, con chi vuole, sempre nella modalità in sicurezza, potremo mangiare un gelato e bere qualcosa di fresco, mentre recuperiamo il gusto di fare due chiacchiere con gli amici.

Sono due piccole luci, per essere rigenerati dallo Spirito e mettere le basi per una vita nuova.

Don Davide




Due tesori

Benedire

Veniamo dalle celebrazioni di S. Valentino – nella settimana appena conclusa – che sono state un’occasione particolarmente ricca di incontri e di preghiera. Mi ha fatto riflettere la risposta sentita e molto partecipata alle varie celebrazioni, secondo le intenzioni di preghiera. In fondo – pensavo all’inizio – è “solo” un ricordo, una preghiera, una benedizione.

Poi la partecipazione accorata, piena di fede e di affidamento in questi momenti, mi ha fatto riscoprire e mi ha convinto una volta di più che la benedizione e la preghiera di intercessione sono dei gesti potentissimi, perché significano riconoscere la parola buona di Dio sulla vita di ognuno. Benedire significa affermare con piena convinzione davanti a ciascuno che la sua esistenza è una realtà sommamente buona, prima di tutto agli occhi di Dio, poi anche per i fratelli e sorelle che accettano di fare parte di questa benedizione e intercessione. Solo a partire da questa considerazione dell’esistenza di ciascuno, voluta e amata da Dio, anche la vita concreta potrà edificarsi nel bene e, eventualmente, correggersi.

È una verità non scontata, che abbiamo bisogno di recuperare e di sentire confermata anche in una dimensione ecclesiale.

Benedire significa ripristinare un punto di partenza essenziale, quell’origine da cui sola può scaturire la conversione e ogni cammino spirituale: la certezza che la nostra vita è nel grembo fecondo dell’amore di Dio. Quanti uomini e donne, in questa settimana, hanno avuto bisogno di affidarsi a questa certezza! E che bello che sentissero il bisogno che fosse proprio la preghiera della Chiesa a dichiararlo!

Forse dovremmo riscoprire pastoralmente il tesoro di questa autorevolezza della Chiesa, che si può fare dono per chi ha più bisogno: per tutti i “beati” del Vangelo di oggi, che si riconoscono bisognosi e si affidano a Dio. Da qui potrà scaturire la catechesi, che corregge le forme più superstiziose, o la proposta di qualche cammino ecclesiale, per mettersi al servizio, ma non si può prescindere dal considerare una ricchezza l’atto di fede schietto con cui un fedele si accosta a Dio, per chiedere un’intercessione, per sentirsi benedetto.

La Parola di Dio

A partire da questo primo tesoro, oggi – questa domenica – viviamo la seconda tappa del Cammino pastorale dell’anno chiestoci dal vescovo: un momento di ascolto della Parola di Dio condiviso, in cui l’obiettivo primo è quello di generare la comunione e illuminare i nostri pensieri in forma ecclesiale. Dalla frequentazione della Parola di Dio, che speriamo sempre più abituale, scaturirà un sentire comune, un pensare in sintonia e il discernimento pastorale.

Il tema di oggi è: “L’ascolto della parola genera la conversione”, a partire dal primo annuncio del Vangelo che ha varcato i confini di Israele; quel magnifico primo semino, cioè, che ha segnato l’inizio della missione della Chiesa a tutti i popoli, la scintilla di quel processo che vede oggi la buona notizia diffusa nel mondo intero.

In questo, personalmente, mi sento in profonda sintonia con la sensibilità del vescovo, e spero che possiamo esserlo tutti. E cioè, che solo l’ascolto della Parola di Dio condiviso in modo semplice, ma pieno di fede, ci aiuterà ad uscire dai nostri modelli e dai nostri pensieri e progetti pastorali triti e ritriti, e ci aiuterà a convertirci personalmente e a discernere le forme e i modi della pastorale che lo Spirito ci chiama ad attuare, affinché anche oggi e per mezzo nostro possa essere accesa quella scintilla che fa arrivare il Vangelo proprio a tutti.

Non mancate!

Don Davide




Il whatsapp di Dio

Rilanciamo, in questa domenica, l’impegno comunitario di ascolto della parola di Dio. La liturgia odierna ci favorisce enormemente in questo intento, così come la sospensione delle attività pastorali ordinarie (eccezion fatta per l’Estate Ragazzi) ci permette di concentrarci tutti insieme su questo progetto.

Come sappiamo, il Vescovo ci ha chiesto di mettere al centro la riflessione sull’ascolto della parola di Dio: un ascolto personale e pregato, non tecnico e non riservato agli esperti, ma condiviso e capace di coinvolgere tutti.

In Quaresima avevamo proposto e offerto a tutti un foglio blu, in cui si trovava un invito, un suggerimento per la riflessione e alcune indicazioni di metodo. Vogliamo continuare nello stesso stile, ma in forma più articolata e moderna.

Viene riproposto un foglio, sulla copertina del quale troverete un evidente richiamo agli strumenti della tecnologia. Tale foglio, come già quello precedente, serve per riprendere il proprio confronto con la parola di Dio insieme alla comunità e può essere usato così com’è. Oltre a questo, però, chi vuole può lasciare la sua mail o il suo numero di cellulare e ricevere quotidianamente una frase del Vangelo del giorno su Whatsapp o l’intero brano sulla propria mail. La frase viene selezionata da una persona della commissione parrocchiale che ha preparato questa iniziativa e verrebbe spedita tutti i giorni circa alla stessa ora, in modo che ci sia un appuntamento comunitario attorno alla stessa Parola, per offrire uno spunto di meditazione condiviso nel trambusto frenetico delle nostre vite.

La parola di Dio come faro, dunque, secondo la grande tradizione della Chiesa, ma anche come messaggio di Whatsapp… perché no? Ai nostri giorni, forse, la voce di Dio ci raggiunge anche meglio così, con discrezione e con l’autorizzazione a violare la nostra privacy, piuttosto che con una luce accecante.

Questa proposta è un test iniziale. Vorremmo provarla, con chi ci sta, per il tempo dell’estate, poi a settembre aggiornarla e adeguarla se necessario. Quindi i suggerimenti o i riscontri di tutti sono necessari e preziosi.

L’obiettivo è segnatamente coinvolgere anche i più giovani nell’ascolto della parola di Dio e in un’esperienza comunitaria che possa essere meglio vissuta nei loro linguaggi, ma al Consiglio Pastorale questa idea ha riscosso l’entusiasmo dei più, anche fra i meno giovani.

La liturgia di oggi, dicevo, è un saggio perfetto di quanto possa essere ricca la parola di Dio per la nostra vita. La prima lettura ci propone la vicenda del peccato di Adamo ed Eva: ben oltre le banalizzazioni ignoranti della profondità di questi testi, in poche righe si descrive con precisione e dovizia di particolari la condizione umana segnata da un rapporto corrotto con l’esistenza. Una parola che, senza usare tante parole, ci legge nel modo più profondo possibile.

Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo afferma: “Ho creduto, perciò ho parlato” (2Cor 4,13). Se vogliamo nutrire la nostra fede ed esserne testimoni, se vogliamo essere discepoli missionari come ci chiede Papa Francesco, non possiamo che ascoltare assiduamente la parola di Dio e lasciare che essa generi in noi la fede e la testimonianza.

Infine, nel vangelo, di fronte all’apparente potere del Male, Gesù ribadisce che solo l’ascolto che si traduce con pratica della parola di Dio ha il potere di sconfiggere le dinamiche maligne che si annidano nell’esistenza e che ci fanno allontanare dalla famiglia di Dio; mentre chi fa la volontà del Padre e mette in pratica i suoi inviti all’amore, al servizio e alla gioia, riacquista la dignità di fratello, sorella e madre per Dio, attraverso Gesù.

 Don Davide

 

Gli interventi di don Davide riprenderanno dopo la pausa estiva.




Spirito e Pasqua

“Vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto e vi insegnerà le cose future” (Cf. Gv 14,26 e Gv 16,13).

L’effusione dello Spirito, a Pentecoste, ravviva la memoria di ciò che è accaduto, guardandolo nella nuova luce pasquale: una luce che illumina di vita le cose e ne fa percepire il senso, tante volte nascosto nel momento in cui accadono. In questo processo, lo Spirito insegna anche il futuro, permette il discernimento, orienta verso ciò che deve venire in modo sapiente e fattivo.

Mi sembra, allora, quella di Pentecoste, l’occasione per fare una verifica e per chiederci cosa possa essere importante per il futuro.

Abbiamo iniziato questo anno pastorale confermati nelle fede di Pietro, dalla visita del Papa. È stata una giornata caratterizzata da una gioia frizzante, nonostante il clima uggioso, in cui si è capito che la Chiesa, i cristiani e forse ogni uomo hanno bisogno di persone autentiche, semplici e di grande carisma evangelico come papa Francesco. Questo insegnamento vale anche per il futuro. Non abbiamo bisogno di cose strane o grandi, ma di essere attaccati al Vangelo come un neonato al seno della mamma.

È stato l’anno della Parola e dei giovani. Abbiamo provato ad impegnarci su questi fronti, anche come parrocchia e come singoli, ma la percezione è che siano stati appuntamenti largamente disattesi. Nella luce del Risorto, incoraggiati dallo Spirito a fare verità, interpretiamo anche questa consapevolezza. Godiamo del grande amore di Dio, siamo consapevoli del dono della fede, abbiamo a cuore che la Chiesa viva anche nel futuro, tuttavia ci scontriamo quotidianamente con la nostra infedeltà o tiepidezza di fronte alla Parola di Dio, e con la fatica di fare spazio e di immaginare pratiche e modelli perché la Chiesa sia veramente giovane. All’ultimo consiglio pastorale, una ragazza ha detto un’affermazione tanto laconica quanto vera: “Nella chiesa di oggi, non sono gli anziani che mancano, sono i giovani.” Chiediamo allo Spirito di insegnarci queste vie, consapevoli che lui è come un allenatore tenace e bravo, che non si rassegna alla sconfitta della sua squadra.

Abbiamo vissuto un piccolo rinnovamento della Caritas, con un aggiustamento dell’organizzazione e l’ingresso di qualche figura nuova. Fare memoria nella luce della Pasqua, in questo caso, significa riconoscere la grandezza umana e spirituale delle persone che in tutti questi anni non solo non ci hanno fatto vergognare, ma ci hanno fatto essere orgogliosi del nome della nostra parrocchia: Santa Maria della Carità. Grazie a loro la carità è stata splendente e c’è solo da ringraziarli, infinitamente, per questa qualità che hanno immesso con sobrietà, spirito di servizio e nascondimento a tutta la nostra pastorale. Ci dà speranza e ci fa guardare alle cose future la continuità che hanno saputo generare.

Poi c’è la vita dei gruppi: bimbi, ragazzi, giovani e adulti. Un’ambiente vivace, in cui si può sicuramente fare meglio, ma anche segnato da esperienze genuine e liete. La luce pasquale ci dice che il Signore continua a chiamare alla fede, a generare nello Spirito, ben al di là delle nostre capacità, ma che questa consapevolezza rassicurante non è una scusa per tirare i remi in barca o per dire: “Ci pensa lo Spirito Santo”, bensì uno stimolo per mettersi ancora di più in ascolto della sua guida, docili alle sue intuizioni e strumenti energici della sua potenza di vita.

Infine, vorrei ricordare le celebrazioni di Pasqua. Soprattutto tre gesti, che forse sono passati quasi inosservati. Il fatto di essere due preti a fare la Lavanda dei piedi, segno di una dimensione di comunione al servizio. Il fatto di essere tutti giù dal presbiterio in ascolto della Parola di Dio nella celebrazione del Venerdì Santo, davanti all’altare spoglio, segno del Cristo morto. Una chiesa tutta “sotto” la Parola come discepola e raccolta – ministri e popolo – nella custodia tenera e cara del corpo di Gesù. Da ultimo, il gesto della Veglia Pasquale: quel sentire confessare la fede nella resurrezione e l’augurio per la vita della Chiesa da parte dei giovani, quel vedere accendere dalle loro mani il Cero pasquale. Nel bellissimo Messaggio ai giovani al termine del Concilio Vaticano II è scritto: “È soprattutto per voi, giovani, che la Chiesa – con il Concilio – ha acceso una luce.” Oggi, forse, si potrebbe dire il contrario: “È soprattutto per te, Chiesa, che i giovani hanno acceso una luce.”

Don Davide




L’Ascensione

L’ASCENSIONE

Di: Don Tonino Lasconi

 Gesù, lasciando la terra, ha consegnato a noi il compito non soltanto di vivere il suo Vangelo, ma di predicarlo e farlo conoscere con i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre azioni.

“Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto”.

È la chiusura del vangelo di Marco che ci viene proclamata nella Solennità dell’Ascensione. Gesù, prima di lasciare la terra, saluta gli Undici (non c’è Giuda e non c’è ancora il suo sostituto: Mattia), che ci rappresentano tutti e nei quali tutti dobbiamo ritrovarci. Bellissima questa immagine! Gesù chiude la sua esperienza terrena salendo al cielo, cioè rientrando nella sua dimensione divina, e i suoi discepoli partono a portare il vangelo dappertutto. Accadde proprio così e in pochissimo tempo – cosa che gli storici non riescono a spiegare – l’annuncio del Vangelo giunse oltre i confini dell’impero romano.

Quello che accadde “in quel tempo” è ciò che dovrebbe accadere “nel nostro tempo”.

«Ma come può accadere? Noi non stiamo sul monte dell’Ascensione!».
Ogni volta che lasciamo l’incontro con il Signore Gesù, prima di tutto nella Messa dove l’incontro è “reale e fisico”, ma anche negli altri sacramenti, nella preghiera, nonché nelle opere di carità, dovremmo partire e predicare dappertutto, cioè dovunque ci troviamo a vivere e a operare: la famiglia, il lavoro, gli amici… Partire significa passare dall’incontro con il Signore all’incontro con i fratelli. Predicare non vuol dire andare in giro a fare prediche, ma far conoscere attraverso i nostri pensieri, le parole, le azioni il messaggio e la logica del vangelo.

Accade questo?

Certamente! Non mancano mai persone di ogni età e condizione che, mosse dallo Spirito, vivono la fede in modo “missionario”. Però succede troppo poco, perché la fede non viene vissuta come un “mandato missionario”, come una consegna per far conoscere Gesù, ma come un dovere personale da assolvere, offrendo al Signore la Messa, la preghiera, l’opera di carità. In questo modo, la fede viene concepita e vissuta come “spazio ricavato”, spesso frettolosamente e senza gioia, tra attività per le quali il vangelo non è luce ed energia per i pensieri, le parole, le azioni. È praticamente un debito da saldare, non un compito da svolgere. Così dall’incontro con il Signore torniamo a fare quello che abbiamo fatto sempre, e come lo abbiamo sempre fatto.

È necessario tornare al monte dell’Ascensione.

Questa è la grande conversione riscoperta e rilanciata dal Concilio Vaticano II e da numerosi documenti dei Vescovi di tutto il mondo, in primis italiani, che però fa una grande fatica a realizzarsi e ad affermarsi. La Chiesa Italiana, le Diocesi, le Parrocchie devono trasformarsi da luoghi in cui si va a “regolare i propri debiti” con il Signore a “luoghi di incontro” con il Signore, che possano rifornire di nuova energia i doni che lo Spirito ha dato a ciascuno, come ci ricorda San Paolo: «… egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo».

«Ma in quel tempo il Signore “agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano”, nel nostro tempo invece…»
Oggi agisce allo stesso modo anche con noi se andiamo predicare, come conferma la testimonianza di tanti cristiani che, vivendo la fede così, realizzano cose che a noi sembrano impossibili. Gesù, infatti, “seduto alla destra di Dio”, asceso al cielo e tornato nella sua dimensione divina, può essere accanto a noi dovunque e sempre, mantenendo fede alla sua promessa: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).




Suoni di guerra e fondamenta preziose

Ripetutamente, in quest’anno dedicato al Sinodo dei Vescovi sui giovani, il Papa ha chiesto alle chiese di dare parola ai giovani e che tutti si mettano in ascolto. Lo ha fatto anche di recente, nella fase preliminare del Sinodo, chiedendo ai giovani di parlare con coraggio e di dire quello che pensano davvero.

Seguendo l’itinerario della Veglia Pasquale (attraverso le tre letture su sette che sono state scelte) abbiamo un paradigma, anche per chi celebra ad altri orari, del nostro itinerario spirituale in queste feste.

La celebrazione di questa Pasqua inizia per la nostra comunità cedendo la parola ai giovani. All’inizio della Veglia, il primo annuncio della Resurrezione e anche l’accensione del Cero Pasquale sono affidati alla testimonianza di due giovani donne, unendo così entrambi i dati del Vangelo di Marco: la presenza di un giovane ri-vestito di bianco (ricordarsi il giovane che è fuggito via nudo all’arresto di Gesù!) e delle donne.

Il lungo ascolto della Parola di Dio incomincia poi da una domanda rivolta da Dio a ciascuno di noi (3° lettura): “Perché gridi? Smettila di gridare – sembra dire – e attraversa i flutti. La fede non è forse affrontare cammini apparentemente impossibili, chiamati dalla Parola?”. Seguiamo così il racconto del passaggio del Mar Rosso, dallo stile militare e dai toni epici, imprescindibile per la sua forza di prefigurare un’altra vittoria, in un’altra guerra ben più radicale: quella contro la morte. Dobbiamo ascoltare questo racconto non ponendoci i problemi morali di oggi, ma lasciandoci trascinare nella narrazione e nel suo ritmo incalzante, sentendo lo sgomento di Israele e il terrore dei nemici. Solo così potremo intuire la verità delle parole di San Paolo: “O morte, dov’è la tua vittoria?”.

Si prosegue con una delle letture più belle di tutta la Bibbia (4°) che descrive l’inarrestabile forza d’amore di Dio per il suo popolo, personificato nella figura della Gerusalemme sposa. “Afflitta, percossa dal turbine, sconsolata, ecco io pongo sullo stibio le tue pietre e sugli zaffiri le tue fondamenta…” (Is 54,11). Basterebbe la lancinante bellezza di questo versetto per innamorarsi di tutta la Sacra Scrittura.

La terza e ultima tappa nel percorso dentro l’Antico Testamento è la lettura del profeta Baruc (6°). Essa contempla la Sapienza di Dio. È l’esito che possiamo augurarci, quando usciremo dalla celebrazione della Pasqua: di essere innamorati della Sapienza, di desiderare, di cercarla, di iniziare a meditare la Parola di Dio ogni giorno, di sapere che abbiamo un tesoro imparagonabile che aspetta solo di essere trovato.

Il passaggio al canto dell’Alleluia, trattenuto fino a questo punto della celebrazione, viene accompagnato da San Paolo, che ci ricorda che l’uomo vecchio è morto e vive il nuovo. Siamo uomini nuovi quando siamo orgogliosi del nostro Battesimo, non timorosi quasi che fossimo i pochi ad avere mantenuto un retaggio religioso/spirituale. Noi siamo orgogliosi di essere cristiani, perché con Gesù partecipiamo di una responsabilità mozzafiato per la vita del mondo. Lo facciamo con gli orizzonti più ampi possibili, ma sapendo di dovere partire dai noi stessi. I suoni di guerra contro la morte e le fondamenta preziose dell’amore di Dio, per noi e per tutti, sono l’essenza di questo cammino.

Lo facciamo lasciandoci rinnovare il cuore e cercando di aprirlo, di spalancarlo il più possibile. Siamo uomini nuovi.

Don Davide




La parola di Dio e la II tappa del cammino diocesano

Siamo invitati a vivere la seconda tappa del cammino diocesano annuale, proposto dal vescovo a tutti i credenti. Si tratta di interrogarsi sul proprio rapporto con la Parola di Dio, inteso come Parola di Dio scritta, quella raccolta nelle Sacre Scritture, letta e pregata personalmente o proclamata e ascoltata in modo comunitario nella liturgia.

Per vivere questa tappa, siamo aiutati in modo creativo e originale da un’idea innovativa del Consiglio Pastorale Parrocchiale, il quale (grazie al prezioso contributo di due giovanissimi) ha prodotto un grazioso sussidietto per aiutarci a porre le domande essenziali.

  • Come è il tuo rapporto con la Parola di Dio?
  • Leggi la Parola di Dio?
  • Perché la leggi?
  • Quando la leggi, cosa accade?
  • La Parola di Dio ti aiuta nel cammino della tua vita?

Seguendo questo piccolo strumento, poi, viene proposto un momento di lettura-preghiera personale accessibile a tutti. Pochi minuti e semplici, perché tutti si sentano coinvolti e tutti possano provare a viverlo.

L’esito è un’esperienza aperta. Non si vuole concludere in qualche modo, ma lasciare il sapore di una cosa bella che potrebbe continuare. Come si dice nel proverbio, che ci si deve alzare da tavola con un po’ di appetito…

Quando la Chiesa ha celebrato il grande Concilio Vaticano II, con tutti i vescovi del mondo, dal 1962 al 1965, uno degli intenti principali di quell’assemblea è stato di rimettere al centro la Parola di Dio. Lo hanno fatto con un celebre documento: la costituzione dogmatica Dei Verbum; lo hanno fatto rimettendo una lettura pressoché completa della Bibbia nel ciclo dell’anno liturgico e lo hanno fatto, infine, proponendo a tutti i cristiani di leggere personalmente e a lungo la Sacra Scrittura, con un fiorire di corsi e di sussidi per sostenere questo proposito.

In quegli anni c’è stato un grande fermento: come per chi riscopre un tesoro, che era stato a lungo nascosto. Il Concilio fece quella scelta con la profonda convinzione che il rapporto intenso con la Parola di Dio potesse cambiare la vita della Chiesa e di ogni cristiano, ma oggi, purtroppo, pare che non sia più così. Sembra quasi che ci si sia abituati a richiamarsi alla Parola di Dio, al punto che nessuno più la legge veramente, perché si dà quasi per scontata, senza percepirne l’incredibile ricchezza.

I giovani non leggono più la Bibbia da soli. Gli adulti la Bibbia ce l’hanno più che altro come abbellimento del comodino da letto.  Prima della messa pochissimi si prendono la briga di arrivare in anticipo, per leggere le letture e prepararsi alla celebrazione.

L’obiettivo di questo piccolo esercizio comunitario, che avrà una coda nelle possibilità offerte durante la Settimana Santa (Lectio divina, celebrazione penitenziale e vespri in famiglia) è proprio quello di riscoprire che la Parola di Dio davvero può trasformare la tua vita e di ringraziarti, perché questa trasformazione fa bene alla Chiesa e al mondo.

Sogno che i giovani inizino a dedicare dieci minuti a questi testi dalla sapienza meravigliosa e insondabile; che gli adulti tengano la Bibbia e i Salmi nelle loro borse di lavoro e prima della pausa pranzo, dedichino dieci minuti a meditarne qualche passaggio. Sogno che gli anziani si consumino gli occhi e il cuore e rileggere le pagine della Scrittura, dove raccogliere il senso della vita e attingere alla sapienza di Dio, che ce l’ha donata.

Don Davide




Quaresima, il tempo della parola

La Quaresima si caratterizza come un tempo in cui disporsi all’ascolto della Parola di Dio, e nel quale la liturgia è particolarmente curata.

Vorrei proporre, perciò, due semplici attenzioni, molto pratiche, per correggere un difetto che è diventato comune nella nostra celebrazione.

I lettori della Parola di Dio

Al termine dei Riti di Introduzione, nella messa, dopo il canto del Gloria si dice la Colletta. La Colletta è una preghiera importantissima, perché dopo un breve momento di silenzio introdotto dall’invito “Preghiamo” raccoglie (dal latino “collatio”) tutte le intenzioni di preghiera dell’assemblea, in una preghiera comune, che intona tutta la celebrazione con l’ascolto della Parola di Dio che verrà proclamata subito dopo. La Colletta è come il diapason per prendere la nota, per intonare la grande sinfonia di ascolto, preghiera e offerta seguenti. La Colletta è come il riscaldamento di un atleta prima della gara. Sappiamo bene che un’orchestra non può iniziare su tonalità differenti e che un’atleta non può saltare il riscaldamento prima della gara. Durante la Colletta, quindi, ci deve essere il massimo raccoglimento e la massima concentrazione di tutti.

Invece, ho notato che ultimamente i lettori tendono ad alzarsi per recarsi all’ambone durante la Colletta. Quest’uso è assolutamente sbagliato, per due motivi principali. Il primo è che, appunto, durante la Colletta tutti devono essere concentrati e in ascolto di quella preghiera, senza nessuna distrazione. Il secondo è che non c’è nessun bisogno, in quel momento, di anticipare i tempi: l’assemblea risponde “Amen” alla Colletta; a quel punto, mentre l’assemblea si siede e c’è un po’ di inevitabile confusione, i lettori si muovono per andare all’ambone, fanno riverenza insieme all’altare e si preparano a leggere. La breve pausa che ne deriva è perfettamente funzionale a permettere all’assemblea di concentrarsi e di disporsi attentamente all’ascolto della Parola di Dio che viene ora proclamata.

I lettori delle preghiere dei fedeli

Al contrario, per quanto riguarda le preghiere dei fedeli, dopo il Credo, l’introduzione alla preghiera dei fedeli non è così importante, è solo uno strumento di passaggio e un invito alla preghiera. Quindi, mentre il celebrante introduce il momento della preghiera dei fedeli, le persone incaricate di leggerle ad alta voce, si possono già muovere, senza aspettare che lui abbia finito. In questo caso, infatti, quel tempo di silenzio sarebbe inutile. È importante, invece, proclamare le preghiere dei fedeli in modo chiaro, comprendendo il senso della preghiera che, a nome della comunità, si sta elevando al cielo e trasmetterlo all’assemblea nel migliore dei modi possibili. I lettori della preghiera dei fedeli, infatti, esprimono la partecipazione attiva di tutti alla liturgia, perciò il loro compito è molto importante.

Sono piccole note che potrebbero apparire solo stilistiche, o inutili formalismi. Nella celebrazione, invece, è fondamentale sia comprendere bene ed esprimere il significato dei gesti che facciamo, sia seguire il ritmo dell’azione liturgica. Con queste attenzioni, quindi, mi auguro che possiamo vivere bene la liturgia e aiutarci nella dimensione spirituale e sempre più consapevole del cammino di Quaresima.

Don Davide




L’anno della Parola

Quest’anno, l’arcivescovo ha consegnato alla Chiesa di Bologna “l’Anno della Parola” come cammino pastorale.

Leggiamo le sue indicazioni.

 Dalla Lettera pastorale dell’Arcivescovo:

Non ci ardeva forse il cuore?

“L’incontro con la Parola non è una lezione, un programma. È tutto il programma, da cui comprenderemo i nostri passi. È il Verbum Domini che ci è rivolto, perché ci accorgiamo finalmente della sua presenza in mezzo a noi, ci liberiamo dalla paura, affrontiamo il male che ci vuole isolati, che ci fa sentire abbandonati, che fa credere che dobbiamo fare da soli, confidare solo nel nostro orgoglio per stare bene e conservare quello che abbiamo per non perderlo.

Esattamente il contrario dell’amore che Dio ci annuncia. Nella Babele delle nostre parole si presenta quella del pellegrino, la Parola, che cammina con noi e ci vuole scaldare il cuore e fare sentire la sua speranza oggi. È la verità che cerchiamo per capire la nostra vita e quella di un mondo così complicato e difficile da comprendere. Non è chiesto al discepolo di capire tutto, ma di aprire il cuore e la mente…

Iniziare la riflessione sulla Parola di Dio ci aiuterà a rivedere anche gli aspetti concreti della nostra vita personale e di comunità. Penso alla liturgia, alla carità, alla catechesi (per l’iniziazione cristiana, per la preparazione ai sacramenti, per i fidanzati) e all’intero campo della pastorale (familiare, giovanile, anziani, e così oltre), perché siano sempre più sostenuti e illuminati dal semplice e decisivo incontro con la Sacra Scrittura. Sarà il cammino dei prossimi anni.

I gruppi della Parola, che si riuniscono già in molte parrocchie e che potrebbero iniziare ovunque e con modalità diverse e adatte agli interlocutori, sono proprio come i due discepoli di Emmaus che parlano di sé, si lasciano interrogare da Gesù e ascoltano tutto quello che lo riguarda. Così si genera e si rigenera la comunità dei fratelli” (pp. 71ss).

Dal Sussidio per l’anno pastorale della Chiesa di Bologna

Indicazioni per vivere le tappe dell’anno pastorale

La prima giornata della Parola celebrata da Papa Francesco a Bologna il 1 ottobre scorso apre il nuovo anno pastorale che la nostra Chiesa di Bologna sta iniziando.

È stata per noi una grazia non solo gradita ma provvidenziale, perché ci sollecita a ritrovare la centralità della Parola di Dio nella vita della Chiesa: Dio dialoga e parla con gli uomini per costruire una vera e duratura comunione. Questo dono è stato raccolto dalla Lettera pastorale dell’Arcivescovo, Non ci ardeva forse il cuore?, che costituisce un solido orientamento per la pastorale in senso missionario e che ci accompagna in questo anno.

L’esperienza dei due discepoli di Emmaus, icona biblica scelta dall’Arcivescovo, ci insegna che la Parola di Dio riscalda il cuore e lo rende plasmabile dallo Spirito e capace di comunicare l’amore scaturito dall’incontro con il Crocifisso risorto.

Rimettere al centro della nostra vita e della pastorale la Parola di Dio è il tema generale dell’anno, che si esprimerà in tre momenti per far crescere la nostra consapevolezza di essere discepoli-missionari e vivere fino in fondo la conversione pastorale in senso missionario.

Il metodo per vivere le tappe

Siamo tutti impegnati a vivere le tre tappe, cioè i tre momenti durante l’anno in cui ascoltare, riflettere in maniera comunitaria sulla Parola di Dio, sulle nostre prassi pastorali per orientarci al futuro con una visione coraggiosa, creativa e piena di speranza.

Il metodo con cui svolgere gli incontri proposti, sia la lectio divina sia i successivi due incontri, è quello sperimentato lo scorso anno e cosiddetto “metodo di Firenze”, che favorisce la partecipazione sinodale di tutto il gruppo creando un clima di accoglienza e di arricchimento comune.