Desiderio

Alla presenza di Maria Maddalena fuori dal sepolcro il mattino di Pasqua sono associate spesso, nella tradizione cristiana, le parole del Cantico dei Cantici: Il mio amato! L’ho cercato e non l’ho trovato! Dov’è l’amato mio? (cf. Ct 3,1-2)

È un desiderio struggente, che Maria Maddalena – inizialmente – esprime semplicemente come bisogno di rivedere Gesù nella morte, di onorare almeno la sua sepoltura. Sarà poi la voce del Maestro a invitarla a sperimentare qualcosa di più grande, un traguardo inimmaginabile del suo desiderio: riabbracciarlo, saperlo vivo, continuare a vivere l’esistenza con lui.

La Pasqua è caratterizzata da questo desiderio; così, anche il traguardo della resurrezione per ciascuno di noi.

San Paolo, nell’Epistola che si legge durante la Veglia Pasquale, afferma che noi siamo realmente risorti non perché abbiamo già attraversato la morte biologica (“l’ultimo nemico che sarà sconfitto” cf. 1Cor 15,26), ma perché viviamo una vita nuova (cf. Rm 6,4).

Noi possiamo realmente vivere da risorti, e questa possibilità è resa concreta dal desiderio che ci sta davanti.

Il desiderio è una “distanza” non del tutto colmata, ma che ci fa sentire che possiamo vivere qualcosa di buono. Se un desiderio è bello rinforza l’amore, come due innamorati che si corteggiano e si cercano.

La Pasqua si celebra dopo la prima luna piena di Primavera. È legata alla rinascita del tempo e delle stagioni (ricordiamoci che per gli ebrei era il primo mese dell’anno!), al desiderio di uscire dall’Inverno, ma non ancora in un sole pieno di mezzogiorno d’estate. In quel desiderio e primo germoglio di rinascita c’è già tutta la forza della resurrezione.

Associamo a questo desiderio di rinascita, ad esempio, la speranza che la pandemia sia definitivamente superata. Pensiamo: “Chissà se sarà la volta buona?!”. Non è sbagliato. Sappiamo che la Pasqua ha a che fare con questo rinnovamento di tutto il creato, (come si canta nei salmi della Veglia: “Mandi il tuo Spirito Signore e rinnovi la faccia della terra”), e il desiderio che ciò avvenga è esso stesso scritto nei nostri cuori con l’inchiostro della resurrezione.

Ogni anno ci prepariamo alla Pasqua impegnandoci per un incontro più vivo con Gesù, con la speranza che il Vangelo plasmi più significativamente la nostra vita. Ogni anno, se siamo un minimo accoglienti, questa trasformazione accade realmente, per la grazia che scaturisce da questi giorni. La nostra vita si rinnova; il nostro desiderio ci sta ancora davanti, ma celebriamo la Pasqua.

Preghiamo nei giorni santi per tante situazioni che ci stanno a cuore, quelle difficili o speranze belle. È la fiducia nella resurrezione che ci spinge: che qualcosa si sistemi, che una condizione cambi e migliori. Non sono velleità e non siamo smentiti. In questo desiderio, che non è mai completamente realizzato, c’è l’alba della resurrezione.

Il Signore Gesù ci chiamerà oltre. Ci farà vivere, ci farà sentire il suo abbraccio. Con enorme sorpresa ci farà superare soglie che pensavamo mortali.

Lo sentiremo vicino. Anche quando (di nuovo) si sottrarrà ai nostri occhi, non ci sentiremo soli. Seguirà i nostri passi, permettendoci di onorare il dono della vita, fino a che l’ultimo nemico ad essere sconfitto sia la morte.

Don Davide




«Lo mangerete in fretta» (Es 12,11)

Testimonianza di don Davide

Sono cresciuto imparando che preparare e celebrare la Pasqua era realmente la cosa più importante dell’anno. Abitavo a due minuti dalla chiesa, uscivo di casa, svoltavo una strada e mi trovavo di fronte al campo da calcio della parrocchia: il tempo di attraversarlo ed ero arrivato.

Il mio parroco dava il meglio di sé in occasione della Settimana Santa. Come un buon pastore guidava la comunità e noi ragazzi a organizzare, capire e gustare i riti del Triduo. Facevamo le prove dei ministranti e vivevamo le celebrazioni e passavamo il resto della giornata a giocare a calcio in parrocchia. Era un buon compromesso. Solo che alcune volte ci toccava lavarci sommariamente nei bagni della parrocchia per non arrivare inzaccherati alla solennità della liturgia.

Questo senso di qualcosa di sacro, che va custodito, preparato con cura, celebrato meticolosamente e vissuto al meglio mi è rimasto fin da allora. Nemmeno i corsi di Liturgia in seminario hanno aggiunto alcunché a questa consapevolezza.

L’indicazione finale della prima prescrizione della Pasqua ebraica, perciò, mi ha sempre stonato: «Lo mangerete in fretta» (Es 12,11). Con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano… Che razza di modo è di mangiare un agnello, dopo avere riunito tutta la famiglia e magari anche un’altra per condividerlo?

Sì, capivo che c’era tutta la questione di essere pronti ad uscire dall’Egitto… ma insomma – pensavo – “quale fretta d’Egitto! Qui le cose si devono fare bene!”.

Solo quest’anno – pochi giorni fa a dire il vero – ho capito il significato di questo versetto. Tutte queste limitazioni, non potere fare la lavanda dei piedi, il bacio della Croce… mi pesano tantissimo.

Ma la Pasqua non è comoda. La Pasqua «del Signore» (Es 12,11), come nel racconto dell’Esodo, è un atto di emergenza. È un gesto che chiede di andare allo stretto indispensabile delle cose e che parla della libertà del cuore dalla paura.

Anche Gesù l’ha vissuta allo stesso modo. Una situazione di emergenza estrema: fare della propria vita un dono oppure no?

E ora so che per primo io devo lasciare i miei ideali. C’è una Pasqua che è «del Signore» e che ci sorprende. Va ben al di là dei nostri migliori propositi: chiede di raccogliere le emergenze, di farci carico del dolore, di ridare vita dopo la morte. Come in un ospedale da campo che abbia armi spirituali.

«Lo mangerete in fretta» (Es 12,11). Lo farete scomodi.

Il Signore passerà. E la vita potrà non essere un dono, oppure sì.




Rimanere soli o portare frutto?

La morte non è eliminabile, ma può non essere la fine

In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto (Gv 12,24)”.

Il chicco di grano forse oggi può dire molto poco. Ma proviamo a contestualizzare la metafora in una cultura un po’ più contadina della nostra, ove il valore del chicco veniva colto più facilmente. Il chicco è un frutto del passato, della mietitura scorsa e, quello che verrà seminato, è stato scelto tra gli altri che hanno già raggiunto il loro scopo. Per lui invece, il contadino ha scelto un’altra vita. Caduto in terra, la semina deve avvenire per giusta profondità, né troppo in alto, né troppo in basso; ma nemmeno troppo isolato o intasato fra altri. La semina non è un atto scontato e può avere successo oppure no e richiede tanto discernimento.

È dentro che si rinasce.

Il processo di trasformazione avviene nell’alveo del terreno preposto per ciascun seme. I cristiani spesso hanno visto in questa nuova creazione del seme, la prefigurazione della resurrezione dei credenti, come quella di Cristo: le viscere della terra come il luogo nascosto ai più, ma visibile, a chi se ne intende, del mistero della vita nuova.

Della vita del passato, ci sono molte cose che hanno già dato ed hanno raggiunto il loro scopo: alcune non hanno più alcuna funzione e se vivono, vivono in noi come delusioni o recriminazioni oppure come ricordi (da tenere nel cuore). Altre cose del passato, le utilizziamo come esperienza per migliorare il nostro presente. Ma per il futuro dobbiamo investire in speranza, selezionando i giusti semi che è inutile tenere per noi. Solo se dati producono frutto, molto frutto. Chi tiene per sé ciò che a sua volta ha ricevuto, lo perderà.

Gesù è in alto perché salva dal basso

Gesù, giudicato dagli uomini inadatto alla verità della vita, è stato innalzato per essere visto morente da tutti: ha assunto la morte dell’umanità indicando la via della vita, a partire dalla profondità del dolore umano, producendo frutti che vediamo da millenni e che sperimentiamo nelle nostre esistenze. Ha superato la condanna dei sacerdoti del tempo, diventando segno e paradigma della misericordia di Dio, il vivente per sempre.

Non resta che trovare le sue tracce e affondarci il piede, procedendo un passo alla volta.

Sul suo esempio, ringraziamo il Padre di quanto di buono abbiamo ricevuto e riceviamo, seminiamo quel bene che in abbondanza è già in nostro possesso per i raccolti precedenti. Lo facciamo nei modi che sono possibili oggi, a distanza e con le mascherine. Seminiamo bontà: donare e donarsi è un po’ morire, ma è ciò che dà vita e produce comunità come un bene maggiore per tutti.

Preghiera

Cristo Gesù, non vogliamo solo vederti innalzato, vogliamo seguirti, nelle profondità del mondo, di questo mondo di oggi, pieno di attese e di furbetti, di speranze e di impazienze, di cuori generosi ma anche di tanti solchi segnati dalle sofferenze della vita che attendono il tuo seme e, forse, potrei essere proprio io il tuo seme per loro.

Anna Maria e Francesco




Una Pasqua ormai vicina

Ci prepariamo a celebrare la Pasqua, perché siamo alla 4° domenica di Quaresima: ci sarà ancora solo un’altra domenica, poi entreremo già nella Grande Settimana, attraverso la porta di ingresso della Domenica delle Palme.

Celebrare la Pasqua non è solo fare dei riti particolari, ancorché suggestivi.

Celebrare la Pasqua è un’esperienza di comunità, che percepisce l’amore del Padre e la vita di Gesù che entra nelle nostre vite.

La Quaresima è un cammino di umiltà e purificazione. Pensavamo di avere toccato il fondo l’anno scorso, con il lockdown, invece ci troviamo quest’anno a dovere essere ancora più umili: per la stanchezza di questa situazione che ci attanaglia ancora dopo un anno; e perché anche se potremo almeno vivere le celebrazioni, dovremo farlo con molta attenzione, con un rigore esemplare e rinunciando a tanti segni che rendevano speciali questi giorni: la processione degli ulivi, la lavanda dei piedi, il bacio della croce, la processione con il cero pasquale.

Personalmente, anche se potrà sembrare sproporzionato, ritengo che ci voglia molta umiltà per accettare di privare le liturgie pasquali della forza dei loro segni specifici. Tuttavia, siamo chiamati a farlo, consapevoli che il protagonista ancora una volta sarà il Signore e non noi.

 

CELEBRARE LA PASQUA TUTTI INSIEME

Allora ecco che la Pasqua si presenta come un’esperienza di comunità. Siamo spaventati e disorientati dal riaggravarsi della situazione pandemica, tuttavia dobbiamo cogliere la Pasqua come un’occasione di rilancio della nostra vita comunitaria.

Chiedo concretamente ed esplicitamente che chi pensa di essere presente alla Domenica delle Palme e al Triduo Pasquale segnali la sua disponibilità in anticipo, per dare una mano. Servono tante cose: l’accoglienza in chiesa, un po’ di servizio d’ordine, l’aiuto a distribuire l’ulivo, l’igienizzazione alla fine delle celebrazioni, le letture, le preghiere dei fedeli, la disponibilità per cantare, l’aiuto a preparare e organizzare tutte le cose pratiche e tanto altro. Per favore, partecipate da protagonisti e corresponsabili, non da spettatori.

E anche se qualcuno di noi – legittimamente – non si sentirà di prendere parte alle celebrazioni, prendiamoci tutti l’impegno di celebrare la Pasqua insieme alla nostra comunità: unendosi spiritualmente in preghiera, scrivendo un biglietto, facendo una telefonata, e avendo ben chiaro che c’è bisogno che torniamo tutti ad essere presenti e ad incontrarci, che ci diamo un appuntamento, non importa quanto vicino o lontano sia.

Vorrei anche che avessimo una preghiera incessante e una vicinanza reale, nei modi che ci sono possibili, per chi è molto preoccupato per il lavoro e la propria condizione economica, per chi è più solo e per gli ammalati gravi.

 

PERCEPIRE L’AMORE DI DIO

I prossimi giorni siano però anche i giorni in cui ci concentriamo a percepire l’amore di Dio.

Come quando vai a un concerto di un cantante preferito o dell’opera che conosci a memoria, che tendi l’orecchio a cogliere le sfumature e ti entusiasmi durante i motivi prediletti… così dobbiamo tendere a riconoscere l’amore di Dio che si manifesta in tante forme vitali. Gli affetti, gli amici, le cose belle, i traguardi, le ripartenze… la Primavera stessa. C’è un verso bellissimo nel Cantico dei Cantici che dice: “Ecco, l’inverno è passato, è cessata la pioggia, i fiori sono apparsi nei prati e la voce della rondine ancora si fa sentire nella campagna…” Ogni risveglio di vita ci parla dell’amore di Dio per noi.

 

LA PASQUA DELLA FEDE

Infine, la Pasqua è soprattutto un evento della fede. È l’evento in cui professiamo che la nostra vita, come quella di Gesù, non verrà semplicemente consumata. È l’evento in cui rinnoviamo la consapevolezza del valore della nostra esistenza, e magari ci rimettiamo in un cammino di bene e costruttivo per noi: possiamo riacquisire fiducia in noi stessi, fare qualcosa di buono e di bello che desideravamo fare da tanto, imparare a pregare, stare un po’ di più con la nostra famiglia e con le persone che amiamo, dedicarci a fare qualcosa che ci piace davvero.

Siamo ancora in cammino nella Quaresima, ma come un maratoneta che dopo tanti chilometri vede il traguardo, invece di rallentare, si carica di adrenalina e accelera, così anche noi, avvicinandoci alla Grande Settimana, facciamo ardere ancora di più il desiderio della nostra fede.

Don Davide




Un cammino per la vita

Allo start della Quaresima

Il Mercoledì delle Ceneri è il giorno più penitenziale dell’anno (insieme al Venerdì Santo), ed è importante non trascurare questa dimensione; nel sacrificio e nel digiuno ci obblighiamo a considerare la nostra caducità: non siamo infallibili, non siamo sempre forti, non siamo immortali.

Mettersi davanti al simbolo delle Ceneri non è masochismo: significa invece essere saggi. Solo chi esamina se stesso, può camminare verso la vita.

Infatti, questo giorno è come la linea di start di un cammino per la vita.

Con il rito delle Ceneri iniziamo un percorso per liberarci da tutto ciò che ci fa percepire come insopportabile la nostra finitezza e ce la fa riscoprire come un’apertura al compimento: ci libera dalle paure, dall’insoddisfazione e dalla smania di avere tutto; ci insegna invece ad apprezzare chi siamo, l’amore che sentiamo, quello che abbiamo costruito, poco o tanto che sia.

Ci sono tre vie concrete per fare questo, che possiamo seguire insieme alla nostra comunità:

1) Riscoprire la vita interiore (vd. l’iniziativa proposta dall’AC parrocchiale).

2) Vivere le celebrazioni con la comunità (il mercoledì delle Ceneri, le messe delle domeniche di Quaresima, il Triduo Santo).

3) Amare i nostri compiti e le nostre responsabilità in questi 40 giorni, con serenità e con pace.

Allora pronti allo start? Invece di indossare abbigliamento tecnico e di mangiare barrette energetiche, però, solo per un giorno, ci vestiamo di sacco e ci disponiamo al digiuno.

Suggerimenti per dialogare con il Signore ispirati alle celebrazioni di San Valentino




Il ridicolo sasso e la tenda leggera

Abbiamo talmente impressa nella mente l’immagine del sepolcro aperto, che ci immaginiamo sempre le donne sorprese di fronte a questo segno, all’alba del mattino di Pasqua.

La nostra logica, quindi, funziona spontaneamente pensando a questa sequenza: Gesù risorge e apre il sepolcro per uscire.

Ma non è così.

Matteo, a differenza degli altri tre evangelisti, racconta che quando le donne arrivarono, il sepolcro era ancora chiuso. Solo quando loro si trovano lì davanti un angelo disceso dal cielo rotola via la pietra e vi siede sopra, in segno di trionfo su quel misero ostacolo e quasi di scherno.

FiestraGesù, evidentemente, è già risorto e non poteva essere certo un ridicolo sasso a trattenerlo nel sepolcro, lui che aveva già superato il limite più grande di tutti. La morte, per lui, è poco più di una tenda leggera, che si scosta con un lieve movimento del braccio, e non c’è parete di roccia o altro muro o rifiuto che possa contenere la sua resurrezione, la possibilità che lui ci incontri, dove vuole e quando vuole.

L’unica certezza è che Gesù non è nella morte, tantomeno – figuriamoci – nel sepolcro! Così dice l’angelo: c’è da incontrarlo; noi lo desideriamo e lui salta gli ostacoli e colma le distanze (Mt 28,6-7). Il suo potere non è incatenato.

Davvero, come abbiamo testimoniato più volte, in questi giorni, nulla resiste / a questo vincitore: / egli passa / a porte chiuse / dall’altra parte del muro.

Così, anche se il nostro cuore fosse di pietra, egli salta la dura crosta per toccare la parte morbida: è l’unico capace di farlo. Anche se ci sentiamo peccatori, e abbiamo imparato fin da piccoli che il nostro peccato è un freno all’appuntamento con Dio, scopriamo oggi che questo è vero per noi, ma non per lui. Il giorno di Pasqua ci fa una sorpresa e, con i suoi angeli, ride delle separazioni che dovrebbero impedirgli di farci sentire il suo amore.

Anche se siamo dispiaciuti per tutto quello che ci è mancato in questi giorni, o pieni di paure, Gesù ci viene incontro e ci dice: “Ciao!” (Mt 28,9) come nulla fosse.

Non svilisce le nostre fatiche, ma le rassicura con un saluto.

Dev’essere stata questa l’esperienza di Pietro sulle sponde del Lago di Tiberiade o di Saulo sulla via di Damasco, quando il Risorto li ha incontrati, perdonati e chiamati. Il tradimento, il rifiuto, la distanza… ostacoli che apparivano invalicabili si sono polverizzati di fronte alla forza della sua presenza, sciolti come neve al sole del suo interesse per i discepoli.

Forse è stato pensando a questa esperienza del Risorto, che Paolo – divenuto apostolo – ha potuto scrivere quelle parole magnifiche della lettera ai Romani: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?” (Rm 8,35). Vi consiglio di andare a leggere come prosegue…

Così, siamo rincuorati e consolati. Sappiamo che non sarà nemmeno una pandemia a impedire la nostra esperienza di fede e l’incontro con il Risorto. Lui ci è accanto, in tutti i nostri sforzi a favore della vita.

Sappiamo che si varcherà anche questo ostacolo. E che, nonostante le ferite e attraverso i lutti, torneremo a impegnarci nella nostra responsabilità verso la storia, peccatori perdonati, cuori inteneriti, paurosi divenuti intrepidi, sconsolati entusiasti e discepoli mesti resi felici.

Don Davide




Egli passa

La Pasqua di Gesù e la nostra

Niente resiste a questo vincitore.
Egli passa
a porte chiuse dall’altra parte del muro.

(Paul Claudel, La notte di Pasqua)

Questo verso folgorante di Paul Claudel fa esplicito riferimento alla scena di Gesù che, la sera della resurrezione e otto giorni dopo, visita i suoi discepoli entrando nella stanza a porte chiuse – il testo evangelico lo dice per due volte (Gv 20,19.26) – e si colloca proprio “nel mezzo”.

Gesù risorto non è ostacolato dal fatto che siano chiuse le nostre case, che siano chiuse le nostre attività, che siano chiuse le nostre chiese. Lui passa attraverso i muri e si fa trovare proprio al centro, dove conta e dove possiamo incontrarlo: in mezzo alle nostre famiglie, in mezzo alle nostre vite, perché possiamo celebrare la Pasqua.

Anche se le regole devono sigillare le porte, la pietra del sepolcro rotolerà. La morte sarà sconfitta.

È molto importante ricordare che Pasqua in ebraico significa passaggio e quindi questi versi del poeta possono essere interpretati anche con questo significato: “Egli fa Pasqua a porte chiuse…”

Nonostante il dispiacere di non potere celebrare insieme, dobbiamo riconoscere che non siamo noi a dovere garantire che si avveri la resurrezione. Non dobbiamo preoccuparci troppo di questo. È lui che passa. È lui che fa la Pasqua insieme con noi.

E il primo saluto che ci porta, ancora seguendo il vangelo di Giovanni è: “Pace a voi!” (Gv 20,19), affinché almeno attraversando questa notte, almeno in questo giorno, i nostri cuori non siano turbati.

E la seconda cosa che ci consegna è il mandato di riconciliare e di perdonare, di fare sentire a tutti la tenerezza di Dio.

E il terzo effetto che vuole operare in noi è l’esperienza di questa resurrezione, anche se rimpiangiamo di non essere stati lì a vederlo e toccarlo, ma con Tommaso possiamo dire: “Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20,28).

Si tratta, dunque, di accettare di incontrarlo o nelle nostre case, o personalmente. Possiamo richiamare la dimensione domestica delle prime celebrazioni della Pasqua, sia della Pasqua ebraica, che si ritualizzava con la propria famiglia, sia della Pasqua cristiana, che si viveva nelle case dei primi cristiani.

 




Pasqua

Il divino che squarcia la storia

Pasqua è l’irruzione della luce nel buio, il divino che squarcia il mistero ed entra nella storia disillusa, affaticata, spesso incredula. È una sorpresa impossibile da prevedere, del tutto inattesa, ancorché sperata.

Nelle pagine buie della nostra vita, nella routine opaca e sopra a tutti i nostri tentennamenti si posa la visita di Dio, come il volo di una farfalla colorata su un fiore.

Ma

la luce che sfolgora è così intensa da illuminare anche la gioia più grande, come in uno stadio coi fari accesi sopra cui sorgesse la luce del Sole.

Che cos’è dunque, questo tocco di Dio capace di fare risplendere il buio e di superare la luce?

Non si può definire: è una stella cadente nelle sere d’estate. Bisogna stare appostati e attenti. Esso lascia una traccia tutte le volte che la vita si manifesta con il suo profumo di vittoria sulla morte e svela i suoi mille sapori, come un calice del vino rosso migliore e bene accompagnato.

Il nostro gusto si attiva di fronte a un gesto di amore autentico, alla gratitudine espressa senza finzioni, agli atti di eroismo di chi si prende delle responsabilità per il bene, spesso senza suonare la tromba davanti a sé.

Quando qualcuno consola, quando si reagisce alla grettezza con gesti di umanità, quando la convinzione del nostro valore e della preziosità della nostra esistenza si fa largo, quasi per intuizione, nella nostra coscienza…

È allora che Gesù ci chiama per nome, come Maria nel giardino, e si svela Risorto.




Il Cero

Nella Veglia Pasquale, cuore di tutto l’anno liturgico, alimento della fede e sorgente della nostra spiritualità, viene incensato il Cero, segno per eccellenza di Gesù risorto con la sua luce, che rischiara l’oscurità. Dalla Veglia in poi, il Cero domina il presbiterio, fino a Pentecoste, in posizione di particolare rilievo accanto all’altare.

Tutto l’anno pastorale, accanto ai ragazzi del catechismo e dell’ACR, è stato incentrato sulla metafora del gusto, come chiave di interpretazione dell’esperienza della fede. Una fede bella e significativa per la vita, positiva e appassionata: una fede “gustosa”, appunto. Sapida e sapiente, profumata e invitante anche per chi ci osserva e si avvicina.

Cero Pasuqlae

Il Cero pasquale di quest’anno è di cera d’api: lo abbiamo voluto così, particolarmente profumato e originale anche alla vista.

Il Cero, in questo modo, non è solo un “segno” di Cristo risorto; né è il racconto e un invito, per noi, a fare parte della storia che narra.

La luce del Signore illumina le tenebre, rischiara la notte, permette di orientare i propri passi, suscita emozione e speranza, profuma, invita alla preghiera. Ugualmente, l’incontro con il Risorto – l’intima esperienza spirituale della sua verità e vicinanza – si realizza ogni volta che questi processi accadono nella testimonianza dei cristiani. Quando qualcuno illumina una situazione buia e faticosa; quando siamo aiutati nel nostro cammino; quando si risvegliano le emozioni come l’amore, la gioia, la compassione; ogni volta che la vita di un uomo o una donna sono esemplari e quando ci sentiamo attratti alla preghiera e alla lode… allora Gesù risorto si rende presente e si fa incontrare da coloro che sono sensibili e hanno l’umiltà di riconoscerlo.

Questo è il compito dei cristiani, che dopo i giorni della Quaresima, si prendono un altro impegno per il tempo in cui bisogna testimoniare la resurrezione di Gesù: quello di sapere mostrare il gusto della vita cristiana e la bellezza della fede, senza presunzione o giudizi, ma con un grande senso di fraternità dilatata e di amicizia condivisa.

Mi ha sempre colpito che l’elemento che conferma la resurrezione di Gesù, dopo il sepolcro aperto e vuoto e la testimonianza delle apparizioni del Risorto, sia proprio la presenza di una comunità nuovamente radunata, viva nella vivacità dello Spirito Santo, amorevole e dedita all’evangelizzazione e al servizio dei poveri.

Sono i segni del buon profumo di Cristo.

Sono i segni dei cristiani che tengono accesa la fiamma profumata della fede. E noi chiediamo la grazia di essere tra questi.

Don Davide




La Croce

La liturgia del Venerdì Santo è una celebrazione intima e di grande raccoglimento. Si inizia in silenzio, prostrandosi davanti all’altare e al presbiterio completamente spoglio. Anche la sede viene spostata davanti alle panche, nell’assemblea, perché tutti – chi presiede la celebrazione, i ministri e il resto del popolo di Dio – siano di fronte al mistero della Passione, in ascolto della Parola.

Segue, infatti, la liturgia della Parola e la proclamazione della Passione dal Vangelo secondo Giovanni. Ci sarà poi la grande preghiera universale, che si eleva in risposta alla parola di Dio e che viene come depositata davanti alla Croce. Il senso di questa lunga preghiera (sono ben dieci!) è proprio quello di essere una ricapitolazione di tutte le suppliche più indispensabili elevate al cielo davanti al grande mistero della redenzione.

Mi piacerebbe, in quest’occasione, fare un piccolo segno. Dieci persone diverse avranno una candela ciascuno. Ad ogni invocazione una candela verrà accesa, rimanendo sul posto. Poi, durante la processione per il bacio della Croce, che seguirà poco dopo, chi ha la candela la deporrà ai piedi della Croce a nome di tutti, come segno di collegamento tra la preghiera e l’adorazione della Croce.

È un gesto molto semplice, per cui chiedo il vostro aiuto. Se qualcuno è disponibile ad accendere e portare la candela, prego di farmelo sapere con anticipo, in modo da organizzarci. La partecipazione attiva di più persone alla liturgia è uno dei grandi auspici della riforma liturgica del Concilio Vaticano II.

Il momento culminante di questa celebrazione è l’adorazione della Croce. Avendo il grande Crocifisso che viene venerato quotidianamente, vogliamo valorizzarlo in questo giorno santo. La Croce che si leverà davanti ai nostri occhi e sulla nostra assemblea sarà proprio il grande crocifisso devozionale. Ovviamente non è possibile portarlo in processione, quindi faremo il rito sul posto.

La Croce verrà svelata per tre volte, dopo ciascuna ci sarà l’incensazione e l’invocazione: “Ecco il legno della croce, a cui fu appeso il Cristo, salvatore del mondo!”, a cui l’assemblea risponderà: “Venite adoriamo” e la luce che illumina la Croce aumenterà di intensità. Nel passaggio tra uno svelamento (e la corrispettiva invocazione) e l’altro, simmetricamente verrà velato un pezzo del trittico In memoria di me. Così si evidenzia il passaggio dalla adorazione dell’Eucaristia, a quella della Croce, che si ergerà in chiesa, fino alla Veglia di Pasqua.

Ancora una volta, l’incensazione riservata a questo momento ci richiamerà al significato forte della seconda manifestazione del sacrificio di Gesù: la sua morte in Croce per riscattare il peccato e per amore degli uomini.

La celebrazione termina con la preghiera del Padre nostro, ripetendo l’estremo atto di affidamento al Padre di Gesù crocifisso, e l’orazione finale. Ricordiamo che – per scelta della comunità parrocchiale e con lo scopo di concentrarsi sui momenti diversi del Triduo – non verrà distribuita la Comunione. La partecipazione al sacrificio di Gesù, infatti, nel Venerdì Santo viene espressa dall’adorazione e dal bacio della Croce.

 Don Davide