Il Triduo e l’incenso

A partire da questa domenica ci prepariamo alle celebrazioni pasquali nella nostra parrocchia. Lo facciamo prendendo spunto dal fatto che nelle letture di questa domenica si comincia a parlare direttamente della Pasqua, prima attraverso il ricordo della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, poi in due immagini di riconciliazione, di cui la storia del figlio prodigo e del Padre misericordioso è una vera e propria resurrezione di quel figlio che era morto ed è tornato in vita.

Non si tratta soltanto di fare una catechesi sui giorni di Pasqua, ma di disporci a vivere le celebrazioni dei giorni santi come sorgente di una spiritualità personale e comunitaria. La liturgia, infatti, è il modello e l’alimento di ogni vita spirituale autenticamente cristiana. È importante riconoscere che tutta la nostra vita cristiana si arricchisce dalla liturgia del Triduo Pasquale e che non è indifferente celebrarla in una chiesa qualunque: la Pasqua, secondo la tradizione ebraica, si celebra in famiglia, perché i grandi possano aiutare i piccoli a comprenderne il vero significato. Lo stesso si può dire della parrocchia: nei limiti del possibile la Pasqua si celebra in parrocchia, con la propria comunità, con cui si condividono ideali, una storia e una ricerca di significato.

Che cosa significa questo rito? Questa è la domanda che dovrebbe sorgere dalla bocca del più giovane, e pronta dovrebbe essere la risposta dei più anziani: eravamo stranieri nel paese di Egitto… Ossia: la Pasqua ci riguarda, non parla della vita degli israeliti in Egitto, o dei primi cristiani al tempo di Gesù, la Pasqua parla di noi, di me e di te e della Chiesa.

È fondamentale, perciò, sapere che il Triduo Pasquale non è la ripetizione di un rito sempre uguale: ma ci sono delle scelte che facciamo come parrocchia, delle sottolineature che devono permetterci di cogliere la ricchezza dei segni che si celebrano, per essere poi trasportata nella vita.

Da domenica prossima vorrei dunque parlare dei tre segni per eccellenza della presenza di Gesù nel Triduo Pasquale:

1. Gli olii, l’altare e l‘eucaristia (giovedì santo)
2. la Croce (venerdì’ santo)
3. Il Cero Pasquale (sabato santo)

Questi tre segni scandiscono il ritmo delle celebrazioni dei tre giorni e ci richiamano al senso di quello che stiamo celebrando e al modo – se possiamo dire così – della presenza di Gesù in mezzo a noi. Questi tre segni sono anche gli unici che verranno incensati durante le celebrazioni, in modo che la solennità dell’incenso riservata a questi momenti, tra tutti quelli che la liturgia pasquale potrebbe prevedere, ci aiuti a focalizzarne subito l’importanza. Quando vedremo l’incenso, invece di pensare al pretesto di un’inutile sontuosità, la sobria solennità dell’incensazione dovrà risvegliarci l’attenzione e farci ricordare che quel segno è il simbolo riassuntivo e denso di significato delle celebrazioni che stiamo facendo. Così, a Dio non salirà solo la nostra preghiera, ma anche la nostra attenzione e da lui scenderà una forza che risanerà il nostro cuore e ci farà compiere tutti i passaggi necessari per vivere.

(continua domenica prossima)

Don Davide




Spirito e Pasqua

“Vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto e vi insegnerà le cose future” (Cf. Gv 14,26 e Gv 16,13).

L’effusione dello Spirito, a Pentecoste, ravviva la memoria di ciò che è accaduto, guardandolo nella nuova luce pasquale: una luce che illumina di vita le cose e ne fa percepire il senso, tante volte nascosto nel momento in cui accadono. In questo processo, lo Spirito insegna anche il futuro, permette il discernimento, orienta verso ciò che deve venire in modo sapiente e fattivo.

Mi sembra, allora, quella di Pentecoste, l’occasione per fare una verifica e per chiederci cosa possa essere importante per il futuro.

Abbiamo iniziato questo anno pastorale confermati nelle fede di Pietro, dalla visita del Papa. È stata una giornata caratterizzata da una gioia frizzante, nonostante il clima uggioso, in cui si è capito che la Chiesa, i cristiani e forse ogni uomo hanno bisogno di persone autentiche, semplici e di grande carisma evangelico come papa Francesco. Questo insegnamento vale anche per il futuro. Non abbiamo bisogno di cose strane o grandi, ma di essere attaccati al Vangelo come un neonato al seno della mamma.

È stato l’anno della Parola e dei giovani. Abbiamo provato ad impegnarci su questi fronti, anche come parrocchia e come singoli, ma la percezione è che siano stati appuntamenti largamente disattesi. Nella luce del Risorto, incoraggiati dallo Spirito a fare verità, interpretiamo anche questa consapevolezza. Godiamo del grande amore di Dio, siamo consapevoli del dono della fede, abbiamo a cuore che la Chiesa viva anche nel futuro, tuttavia ci scontriamo quotidianamente con la nostra infedeltà o tiepidezza di fronte alla Parola di Dio, e con la fatica di fare spazio e di immaginare pratiche e modelli perché la Chiesa sia veramente giovane. All’ultimo consiglio pastorale, una ragazza ha detto un’affermazione tanto laconica quanto vera: “Nella chiesa di oggi, non sono gli anziani che mancano, sono i giovani.” Chiediamo allo Spirito di insegnarci queste vie, consapevoli che lui è come un allenatore tenace e bravo, che non si rassegna alla sconfitta della sua squadra.

Abbiamo vissuto un piccolo rinnovamento della Caritas, con un aggiustamento dell’organizzazione e l’ingresso di qualche figura nuova. Fare memoria nella luce della Pasqua, in questo caso, significa riconoscere la grandezza umana e spirituale delle persone che in tutti questi anni non solo non ci hanno fatto vergognare, ma ci hanno fatto essere orgogliosi del nome della nostra parrocchia: Santa Maria della Carità. Grazie a loro la carità è stata splendente e c’è solo da ringraziarli, infinitamente, per questa qualità che hanno immesso con sobrietà, spirito di servizio e nascondimento a tutta la nostra pastorale. Ci dà speranza e ci fa guardare alle cose future la continuità che hanno saputo generare.

Poi c’è la vita dei gruppi: bimbi, ragazzi, giovani e adulti. Un’ambiente vivace, in cui si può sicuramente fare meglio, ma anche segnato da esperienze genuine e liete. La luce pasquale ci dice che il Signore continua a chiamare alla fede, a generare nello Spirito, ben al di là delle nostre capacità, ma che questa consapevolezza rassicurante non è una scusa per tirare i remi in barca o per dire: “Ci pensa lo Spirito Santo”, bensì uno stimolo per mettersi ancora di più in ascolto della sua guida, docili alle sue intuizioni e strumenti energici della sua potenza di vita.

Infine, vorrei ricordare le celebrazioni di Pasqua. Soprattutto tre gesti, che forse sono passati quasi inosservati. Il fatto di essere due preti a fare la Lavanda dei piedi, segno di una dimensione di comunione al servizio. Il fatto di essere tutti giù dal presbiterio in ascolto della Parola di Dio nella celebrazione del Venerdì Santo, davanti all’altare spoglio, segno del Cristo morto. Una chiesa tutta “sotto” la Parola come discepola e raccolta – ministri e popolo – nella custodia tenera e cara del corpo di Gesù. Da ultimo, il gesto della Veglia Pasquale: quel sentire confessare la fede nella resurrezione e l’augurio per la vita della Chiesa da parte dei giovani, quel vedere accendere dalle loro mani il Cero pasquale. Nel bellissimo Messaggio ai giovani al termine del Concilio Vaticano II è scritto: “È soprattutto per voi, giovani, che la Chiesa – con il Concilio – ha acceso una luce.” Oggi, forse, si potrebbe dire il contrario: “È soprattutto per te, Chiesa, che i giovani hanno acceso una luce.”

Don Davide




L’Ascensione

L’ASCENSIONE

Di: Don Tonino Lasconi

 Gesù, lasciando la terra, ha consegnato a noi il compito non soltanto di vivere il suo Vangelo, ma di predicarlo e farlo conoscere con i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre azioni.

“Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto”.

È la chiusura del vangelo di Marco che ci viene proclamata nella Solennità dell’Ascensione. Gesù, prima di lasciare la terra, saluta gli Undici (non c’è Giuda e non c’è ancora il suo sostituto: Mattia), che ci rappresentano tutti e nei quali tutti dobbiamo ritrovarci. Bellissima questa immagine! Gesù chiude la sua esperienza terrena salendo al cielo, cioè rientrando nella sua dimensione divina, e i suoi discepoli partono a portare il vangelo dappertutto. Accadde proprio così e in pochissimo tempo – cosa che gli storici non riescono a spiegare – l’annuncio del Vangelo giunse oltre i confini dell’impero romano.

Quello che accadde “in quel tempo” è ciò che dovrebbe accadere “nel nostro tempo”.

«Ma come può accadere? Noi non stiamo sul monte dell’Ascensione!».
Ogni volta che lasciamo l’incontro con il Signore Gesù, prima di tutto nella Messa dove l’incontro è “reale e fisico”, ma anche negli altri sacramenti, nella preghiera, nonché nelle opere di carità, dovremmo partire e predicare dappertutto, cioè dovunque ci troviamo a vivere e a operare: la famiglia, il lavoro, gli amici… Partire significa passare dall’incontro con il Signore all’incontro con i fratelli. Predicare non vuol dire andare in giro a fare prediche, ma far conoscere attraverso i nostri pensieri, le parole, le azioni il messaggio e la logica del vangelo.

Accade questo?

Certamente! Non mancano mai persone di ogni età e condizione che, mosse dallo Spirito, vivono la fede in modo “missionario”. Però succede troppo poco, perché la fede non viene vissuta come un “mandato missionario”, come una consegna per far conoscere Gesù, ma come un dovere personale da assolvere, offrendo al Signore la Messa, la preghiera, l’opera di carità. In questo modo, la fede viene concepita e vissuta come “spazio ricavato”, spesso frettolosamente e senza gioia, tra attività per le quali il vangelo non è luce ed energia per i pensieri, le parole, le azioni. È praticamente un debito da saldare, non un compito da svolgere. Così dall’incontro con il Signore torniamo a fare quello che abbiamo fatto sempre, e come lo abbiamo sempre fatto.

È necessario tornare al monte dell’Ascensione.

Questa è la grande conversione riscoperta e rilanciata dal Concilio Vaticano II e da numerosi documenti dei Vescovi di tutto il mondo, in primis italiani, che però fa una grande fatica a realizzarsi e ad affermarsi. La Chiesa Italiana, le Diocesi, le Parrocchie devono trasformarsi da luoghi in cui si va a “regolare i propri debiti” con il Signore a “luoghi di incontro” con il Signore, che possano rifornire di nuova energia i doni che lo Spirito ha dato a ciascuno, come ci ricorda San Paolo: «… egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo».

«Ma in quel tempo il Signore “agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano”, nel nostro tempo invece…»
Oggi agisce allo stesso modo anche con noi se andiamo predicare, come conferma la testimonianza di tanti cristiani che, vivendo la fede così, realizzano cose che a noi sembrano impossibili. Gesù, infatti, “seduto alla destra di Dio”, asceso al cielo e tornato nella sua dimensione divina, può essere accanto a noi dovunque e sempre, mantenendo fede alla sua promessa: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).




Parola e speranza ai giovani

Passata la Domenica in Albis, in questa domenica di festa in cui 28 bimbi della nostra parrocchia fanno la Prima Comunione, desidero riproporre le due belle testimonianze di Maria Clara e Anna Giulia – in rappresentanza dei giovani – all’inizio della Veglia Pasquale.

Abbiamo dato parola ai giovani perché lo ha chiesto Papa Francesco, in quest’anno dedicato al Sinodo dei Vescovi sui giovani, che si celebrerà a ottobre.

In questo modo vogliamo anche fare una specie di augurio ai bimbi che vivono in questa domenica il loro primo incontro con Gesù nell’Eucaristia.

Ci auguriamo di saper dare loro spazio all’interno della comunità cristiana; che trovino una chiesa giovane e viva, accogliente per la loro fede e la loro umanità, e che loro – i bimbi di oggi, uomini e donne di domani – possano concorrere a renderla sempre più bella.

Don Davide

 

(Prima testimonianza) Cosa ti auguri per la Chiesa in rapporto ai giovani?

In questa notte in cui Gesù, dopo averci svelato nella sua vita terrena la sua natura di uomo debole, fragile e mortale, e aver condotto il suo amore fino all’estremo sacrificio sulla croce, è risorto per guidarci nella vita…

In questo anno 2018, in cui Papa Francesco ha scelto di porre al centro della riflessione e della preghiera della Chiesa, i giovani, tutti i giovani, qualsiasi sia la loro vicinanza a questa istituzione, dicendo loro: “Ho voluto che foste al centro dell’attenzione perché vi porto nel cuore” …

Mi auguro che tutti gli uomini di chiesa, dai parroci ai vescovi, sappiano pienamente accogliere le indicazioni del Papa,

  • promuovendo iniziative volte a valorizzare la vitalità, l’entusiasmo e l’idealità dei giovani,
  • e incanalando le loro potenzialità per arricchire la grande comunità ecclesiale che, a sua volta, deve saperli guidare e sostenere.

Mi auguro che la Chiesa sappia mostrarsi come un porto sicuro in cui sempre poter ritornare, senza sentirsi in alcun modo giudicati.

Tutte le differenze individuali dovrebbero essere accettate e apprezzate, perché ogni giovane possa sentirsi veramente accolto e, in questo modo, sia più libero di dare un contributo sincero al camminare insieme e si senta rappresentato e ascoltato nella progettazione delle proprie speranze per il futuro.

Maria Clara Chionsini

 

(Seconda testimonianza) Cosa significa, per te, credere nella resurrezione?

Per me credere nella resurrezione significa credere nella resilienza. Credo che la resurrezione ci metta davanti alla possibilità di scegliere tra le cose giuste e quelle sbagliate, tra l’agire e l’essere passivi; ci chiede di scegliere da che parte stare.

Credere nella resurrezione significa, per me, sapere di avere sempre una speranza e una possibilità, se so essere abbastanza forte da accoglierla e sceglierla.

Credere nella resurrezione significa avere fiducia nell’essere sempre accompagnata da lui, da Gesù che è vivo e presente, che mi rassicura di potere superare le difficoltà che la vita mi ha posto, mi pone e mi porrà davanti.

Anna Giulia Ballardini




Lieti nella speranza grati per il dono della vita

Abbiamo tutti bisogno di scoprire che la nostra vita è preziosa e ha una destinazione bellissima

Alla fine del capitolo 15 della Prima lettera ai Corinzi, dopo una riflessione serrata sul mistero della resurrezione, Paolo scrive una frase di una bellezza struggente: “Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (1Cor 15,58).

Le cose non sono vane.

Dopo una meditazione così intensa, uno si sarebbe aspettato una conclusione solenne e aulica, invece l’apostolo ci consegna un incoraggiamento semplicissimo e vero. La fede nella resurrezione di Gesù non toglie gli ostacoli, non evita le difficoltà e non risolve tutto magicamente, eppure ci dà le motivazioni per essere saldi e irremovibili, tenendo il timone ben saldo e la rotta dritta, sapendo che nessuna fatica è vana, che tutto viene custodito da lui. Il Signore raccoglie con il suo amore ogni istante e ogni passo della nostra vita, rendendola preziosa e conferendole senso.

Non c’è consapevolezza più lieta e serena di questa. La Pasqua, in fondo, è la parola grazie detta sulla nostra esistenza.

In modo particolare, quest’anno, siamo grati per la vita giovane, per la vita dei giovani. La Chiesa ha voluto metterli al centro del proprio Sinodo, affinché possano essere ascoltati da tutti e protagonisti del rinnovamento ecclesiale. Nelle catacombe romane, spesso, il Signore risorto è rappresentato come un giovane: la resurrezione è giovane. Uno dei segni della Pasqua è la vitalità nello Spirito delle prime comunità cristiane: piccole “parrocchie” con energia, dinamismo, fantasia da vendere, entusiasmo e coraggio.

Vogliamo che la speranza divampi dalla nuova vivacità che i giovani sapranno infondere alla Chiesa, una vivacità che deve essere fatta a modo loro e non contenuta dalla tradizione. Vogliamo colmare le chiese di giovani e vedere nei loro volti quello del Risorto, ed essere grati ancora una volta per il dono della vita, che rinnova le proprie energie attraverso di loro.

Don Davide




Suoni di guerra e fondamenta preziose

Ripetutamente, in quest’anno dedicato al Sinodo dei Vescovi sui giovani, il Papa ha chiesto alle chiese di dare parola ai giovani e che tutti si mettano in ascolto. Lo ha fatto anche di recente, nella fase preliminare del Sinodo, chiedendo ai giovani di parlare con coraggio e di dire quello che pensano davvero.

Seguendo l’itinerario della Veglia Pasquale (attraverso le tre letture su sette che sono state scelte) abbiamo un paradigma, anche per chi celebra ad altri orari, del nostro itinerario spirituale in queste feste.

La celebrazione di questa Pasqua inizia per la nostra comunità cedendo la parola ai giovani. All’inizio della Veglia, il primo annuncio della Resurrezione e anche l’accensione del Cero Pasquale sono affidati alla testimonianza di due giovani donne, unendo così entrambi i dati del Vangelo di Marco: la presenza di un giovane ri-vestito di bianco (ricordarsi il giovane che è fuggito via nudo all’arresto di Gesù!) e delle donne.

Il lungo ascolto della Parola di Dio incomincia poi da una domanda rivolta da Dio a ciascuno di noi (3° lettura): “Perché gridi? Smettila di gridare – sembra dire – e attraversa i flutti. La fede non è forse affrontare cammini apparentemente impossibili, chiamati dalla Parola?”. Seguiamo così il racconto del passaggio del Mar Rosso, dallo stile militare e dai toni epici, imprescindibile per la sua forza di prefigurare un’altra vittoria, in un’altra guerra ben più radicale: quella contro la morte. Dobbiamo ascoltare questo racconto non ponendoci i problemi morali di oggi, ma lasciandoci trascinare nella narrazione e nel suo ritmo incalzante, sentendo lo sgomento di Israele e il terrore dei nemici. Solo così potremo intuire la verità delle parole di San Paolo: “O morte, dov’è la tua vittoria?”.

Si prosegue con una delle letture più belle di tutta la Bibbia (4°) che descrive l’inarrestabile forza d’amore di Dio per il suo popolo, personificato nella figura della Gerusalemme sposa. “Afflitta, percossa dal turbine, sconsolata, ecco io pongo sullo stibio le tue pietre e sugli zaffiri le tue fondamenta…” (Is 54,11). Basterebbe la lancinante bellezza di questo versetto per innamorarsi di tutta la Sacra Scrittura.

La terza e ultima tappa nel percorso dentro l’Antico Testamento è la lettura del profeta Baruc (6°). Essa contempla la Sapienza di Dio. È l’esito che possiamo augurarci, quando usciremo dalla celebrazione della Pasqua: di essere innamorati della Sapienza, di desiderare, di cercarla, di iniziare a meditare la Parola di Dio ogni giorno, di sapere che abbiamo un tesoro imparagonabile che aspetta solo di essere trovato.

Il passaggio al canto dell’Alleluia, trattenuto fino a questo punto della celebrazione, viene accompagnato da San Paolo, che ci ricorda che l’uomo vecchio è morto e vive il nuovo. Siamo uomini nuovi quando siamo orgogliosi del nostro Battesimo, non timorosi quasi che fossimo i pochi ad avere mantenuto un retaggio religioso/spirituale. Noi siamo orgogliosi di essere cristiani, perché con Gesù partecipiamo di una responsabilità mozzafiato per la vita del mondo. Lo facciamo con gli orizzonti più ampi possibili, ma sapendo di dovere partire dai noi stessi. I suoni di guerra contro la morte e le fondamenta preziose dell’amore di Dio, per noi e per tutti, sono l’essenza di questo cammino.

Lo facciamo lasciandoci rinnovare il cuore e cercando di aprirlo, di spalancarlo il più possibile. Siamo uomini nuovi.

Don Davide




Benedire: tanto importante da volere farlo bene

Carissimi/e,

nonostante le “benedizioni” siano un rito ormai decennale e appartenente alla nostra tradizione, molti – in occasione della visita nelle case per la benedizione pasquale – tradiscono un certo imbarazzo, come se non sapessero bene come comportarsi; capita soprattutto ai giovani, magari meno abituati a vivere questo momento.

Nel tentativo di alleggerire questo incontro e di togliere questo imbarazzo, vorrei consegnare alcune indicazioni.

Primo. Le “benedizioni” sono soprattutto un incontro. Un incontro che avviene nelle vostre case, dove il prete o i ministri della parrocchia praticamente si “auto-invitano”. Una volta, nessuno si sognava di non accogliere il prete o un suo rappresentante, ma oggi non è più così. Noi perciò, prima di tutto vi siamo grati per l’attenzione che ci dedicate, per il fatto di aprire la porta, di parlarsi cortesemente. Non lo diamo per scontato e – laddove siamo accolti – entriamo umilmente e senza pretese. L’incontro non è formale, ma amichevole, come in famiglia. Ci salutiamo, scambiamo due parole e ci si aiuta a sentirsi a proprio agio. Perciò non vi preoccupate se la casa non è perfetta o se eravate impegnati in altre faccende! Prima di tutto vi ringraziamo per il tempo che dedicate all’incontro e per la disponibilità a pregare per voi e per la vostra casa.

Secondo. Il rapporto prete/ministri nei confronti della parrocchia è schiacciante: 4 a 6900. Nel caso non ci si conosca perfettamente, se ci aiutate a focalizzare chi siete, se avete vissuto qualcosa di particolare e se c’è qualche necessità, ci aiutate enormemente. Vi chiedo, soprattutto, di segnalarci se c’è stato qualche lutto in famiglia nell’ultimo anno, in modo da potere ricordare i defunti nella preghiera; oppure se c’è qualche malato, che abbia bisogno di una visita o dell’assistenza spirituale; infine, se c’è qualche situazione che vi sta a cuore, per cui la parrocchia potrebbe fare qualcosa.

Terzo. Il sogno di tutti noi preti e ministri incaricati sarebbe quello di potere dedicare più di qualche minuto a ciascuno. Purtroppo non è possibile, per il ritmo serrato che ci è imposto. Abbiamo piacere di fermarci per un breve dialogo amichevole, anche laddove non ci siano situazioni particolari, ma vi chiediamo in anticipo un po’ di comprensione se, ad un certo punto, non possiamo dilungarlo oltre, perché dobbiamo proseguire con le visite. Allo stesso modo, vi chiedo un po’ di pazienza… perché so bene che gli ultimi sono quelli che aspettano di più, ma ovviamente tra l’inizio e la fine può passare un lasso di tempo anche di qualche ora. Purtroppo nessuno di noi ha il dono dell’ubiquità! Per agevolarvi, per quanto possibile cercheremo di seguire l’ordine di progressione indicato sul calendario delle benedizioni.

Quarto. Dopo avere creato le condizioni perché si possa vivere come momento famigliare o amichevole, avviene quindi la preghiera con la benedizione. Diciamo insieme alcune preghiere della tradizione, quelle che sappiamo tutti, per intenderci. In alcuni casi si può leggere un breve passaggio del Vangelo e dire qualche intenzione di preghiera spontanea. Poi chiediamo la benedizione di Dio sulla vostra famiglia, prima di tutto, e sulla vostra casa. Se avete piacere che si benedica dappertutto, basta dirlo: lo facciamo volentieri. Altrimenti, in genere, ci si limita a benedire nel luogo dove siamo accolti, perché magari qualcuno può non avere piacere che si giri per casa! Accompagna questo momento, la consegna di un ricordo, che ha valore soprattutto perché unisce tutte le famiglie cristiane con lo stesso simbolo e perché vi porta il saluto del vescovo. Dopo di ché ci si saluta, così noi continuiamo il viaggio!

Spero che queste poche indicazioni, ci aiutino a vivere le “benedizioni” di quest’anno come un bel momento per tutti. Soprattutto, vi chiedo il massimo della collaborazione per non banalizzare questo momento; di comunicare magari a chi non viene in chiesa queste informazioni, di consegnare questo foglietto e di incoraggiare chi non ha piacere di ricevere la benedizione a dirlo semplicemente.

Il gesto di benedire è una delle cose più belle, più preziose e solenni che possiamo fare nei confronti delle altre persone, e noi vogliamo che sia così per tutte le famiglie e per ogni singolo che lo desiderino.

Vi saluto con amicizia e vi do l’appuntamento a presto,

Don Davide




Le “benedizioni” pasquali

Anche quest’anno, a partire da lunedì 15 gennaio, riprenderemo le tradizionali “benedizioni pasquali”. Questo appuntamento nacque fin dall’inizio come un gesto di vicinanza, come un rito liturgico da fare nelle case (e non nelle chiese), inteso come un segno per confermare la fede delle famiglie. Oggi molto più significativo se compreso come una visita alle famiglie per vivere un incontro, per rinforzare un’amicizia, per conoscersi meglio e per avvicinarsi alle situazioni di bisogno.

La visita alle famiglie, quindi, avviene così: ci si saluta amichevolmente; se non ci si conosce ci si presenta; se c’è qualche problema di cui la famiglia ha piacere di parlare si può dedicare un po’ di tempo all’ascolto; poi – se i padroni di casa hanno piacere – si dice una preghiera insieme e si invoca la protezione di Dio e le cose buone che si chiedono attraverso la benedizione.

Nella fede cristiana, i luoghi della nostra vita, come anche gli oggetti che  ci accompagnano quotidianamente, sono considerati come un bene per la persona, quindi si benedicono. Per questo si benedicono le case, o anche le cose più care.

La benedizione, dunque, è per le case, ma sempre e soprattutto per le persone che ci vivono, quelle a cui vogliamo bene, quelle che verranno ospitate nelle nostre case.

Per vivere bene questo momento, mi sento – con rispetto – di proporvi alcune piccole attenzioni:

  • Nelle case dove ci sono dei bimbi o dei ragazzi. Sarebbe bello che tutti partecipassero a questo momento di incontro: interrompere momentaneamente i giochi, il computer… addirittura lo studio e vivere insieme i pochi minuti della visita.
  • Nelle case degli studenti universitari. Abbiamo piacere di incontrarvi e di salutarvi, anche se abitate nella nostra parrocchia solo per il tempo degli studi. Siete una presenza preziosa! Vi chiedo inoltre di non avere paura a dirci con chiarezza se avete piacere di pregare insieme e di ricevere la benedizione, oppure no. Si evitano inutili imbarazzi e ci si può salutare cortesemente comunque, e farci gli auguri.
  • Negli uffici o nei negozi. Per rispetto e delicatezza veniamo solo se la visita è gradita e se non rechiamo disturbo. Se qualcuno ha piacere, basta che lo dica, facendolo presente in parrocchia o al ministro che passa nella zona. In quel caso, chiediamo di fermare le attività il tempo della preghiera e della benedizione.

La benedizione è totalmente gratuita. Lo è perché non è una “prestazione religiosa”, ma una visita, un incontro di amicizia, e come tale non si paga.

C’è la tradizione, in questa occasione, di lasciare un’offerta per le tantissime spese della parrocchia o per le attività destinate alla carità. Se avete piacere di lasciare un’offerta, vi chiedo preferibilmente di metterla in una busta e vi ringrazio di cuore anticipatamente. Se avete piacere che la vostra offerta venga destinata esclusivamente alla carità o a opere di beneficienza, basta segnalarlo chiaramente sulla busta, e non verrà usata per altri scopi che per gli aiuti forniti dalla Caritas parrocchiale alle persone.

Per ora vi faccio il più caro augurio di buona ripresa delle attività dopo le feste natalizie, in attesa di incontrarci personalmente.

Don Davide




Le Palme, i mantelli, i tappeti

Mentre Gesù entrava a Gerusalemme, osannato come un re, lo coprivano con rami di palma e lo festeggiavano scuotendo rami di ulivo e stendendo mantelli e tappeti al suo passaggio.

Il vangelo non lo dice mai, ma in quel giorno a ridosso della festa di Pasqua, Gesù deve avere pensato, da buon ebreo osservante, anche ad un’altra festa: quelle delle Capanne, che si celebra molto più avanti, in autunno.

Gli ebrei costruivano capanne con rami di palma e frasche, per ricordare di avere dimorato in capanne, durante il cammino nel deserto, e per celebrare i frutti del raccolto.

Osservando quella folla esultante, Gesù deve avere meditato ancora sulla sua vita itinerante – “il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Lc) – un cammino di uscita da se stesso per amare ogni uomo e ogni donna. Deve avere ammirato, con una certa tenerezza, gli effetti di un primo raccolto, che aveva conquistato tante persone, anche se lo deve avere guardato con quella benevolenza che si ha con i bimbi, quando ti raccontano un traguardo precario e solo iniziale.

Forse, in quel momento, gli è balenata l’intuizione di un altro itinerario, dentro e fuori Gerusalemme: dalla sera dell’ultima cena, attraverso la veglia nel giardino degli ulivi e la notte dell’arresto, poi di nuovo dentro al pretorio, di fronte a Pilato, e ancora fuori, nel luogo della crocifissione.

Una folla di tutt’altro segno.

Questa è la settimana dei paradossi.

L’uomo che fa il suo esodo non più nel deserto, ma nella città, e il Dio che viene espulso dal Santuario; l’ “Osanna” e il “Crocifiggilo!”; il Figlio di Dio rifiutato e il “figlio del Padre” (= Bar-abba) redento; l’offerta di sé e la paura; la flagellazione e l’Ecce Homo; la morte e la vita; la notte delle tenebre che risplende come luce.

Entrando a Gerusalemme, Gesù, in realtà, inaugurava la festa di Pasqua, la festa che ricordava l’immolazione dell’agnello e il passaggio del Mar Rosso. Gesù vi entra come Re, per finirvi come Agnello.

In questo abissale e mesto gioco di paradossi, la grande festa cristiana ci ricorda che in un mondo pieno di contraddizioni, dove ancora si fanno le guerre e si uccidono i bambini, nonostante tutto e sempre, con una tenacia irreversibile, noi desideriamo allargare gli spazi dell’amore e servire la vita con gioia pacificata.

 

Don Davide




Come il signore è con noi

«Ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13,32).

La liturgia di Pasqua si avvicina all’Ascensione del Signore e comincia a farci riflettere su cosa significa il distacco fisico di Gesù dal nostro mondo terreno, e anche come lui continua a essere con noi.

Gesù prepara i suoi discepoli alla sua assenza: doveva essere un momento molto difficile per loro, dopo avere sofferto per la sua morte e gioito per la sua resurrezione, dovevano essere completamente impreparati all’idea di vivere senza di lui, e ancora più per quanto gli erano affezionati. Lui aveva dato loro tutte le speranza e il senso più grande della vita che potessero immaginare.

In questa intensa situazione emotiva, Gesù dà loro l’insegnamento più importante: il modo per non sentire la sua assenza è quello di amarsi, di volersi bene. Non solo: è il modo di sentire la sua presenza. Chi ama, sente il Signore vivo e vicino, perché capisce intimamente il suo “spirito”, quella dimensione interiore che permette di attingere al segreto più vero della vita.

Questa è anche l’unica via per rendere testimonianza. La fraternità amichevole, la solidarietà, l’amore reciproco. Chi vede una comunità di persone così, piccola o grande che sia, vede il Signore Risorto in mezzo ad essa.

La seconda lettura collega questa immagine ideale ma non utopica della comunità dei discepoli di Gesù alla Gerusalemme celeste. Così la chiesa è un segno concreto e un anticipo della realtà che vedrà tutti gli uomini in compagnia di Dio e dove ognuno sarà consolato.

La prima lettura, invece, ci incoraggia sull’esempio degli apostoli, a perseverare nell’amore, anche quando si dovessero attraversare molte difficoltà. Tutto questo serve per fare risplendere questo comando di vita di Gesù, che è l’invito a trasformare il mondo con l’amore.

Don Davide