Venerdì Santo

La messa del Giovedì Santo finisce con l’adorazione del SS.mo Sacramento nell’altare della reposizione, che è metafora dell’inizio della passione di Gesù nel Gestemani, in cui i cristiani provano a vegliare con lui nell’ora della prova.

Così siamo introdotti al clima del Venerdì Santo, giorno in cui contempliamo attoniti la morte del Figlio di Dio, ma soprattutto adoriamo stupiti il dono d’amore che ha trasformato persino la Croce in un segno di vita. La Croce, infatti, sta al centro della celebrazione di questo giorno.

L’altare principale della chiesa viene completamente spogliato (già dopo la messa del Giovedì), perché l’altare nella liturgia è il simbolo di Cristo e così, in questo giorno, diventa il simbolo di Cristo morto, al punto che – all’inizio della Celebrazione della Passione di Gesù – ci si prostra in adorazione davanti all’altare spoglio.

Bisogna ricordarsi che la liturgia del Venerdì Santo non è una messa, ma è la Celebrazione della Passione di Gesù, proprio perché il Triduo Pasquale ripercorre la morte e resurrezione di Gesù secondo un ritmo cronologico. Tre sono i momenti importanti di questa celebrazione:

  1. Il racconto della Passione di Gesù secondo Giovanni, letta alla luce delle profezie che ne illuminano il senso. Non è solo una lettura e un ascolto: è il momento in cui si accoglie l’efficacia di salvezza per la nostra vita di questo annuncio, che Gesù è morto per
  2. La preghiera universale. Alla redenzione operata da Gesù, noi associamo tutte le preghiere fondamentali per la vita della Chiesa e del mondo. È una grande preghiera di intercessione, che noi affidiamo ai “meriti” di Gesù. È anche il modello di tutte le Preghiere dei fedeli che si fanno nelle altre celebrazioni.
  3. L’adorazione e il bacio della Croce. In questo momento riconosciamo il gesto di amore di Gesù, lo facciamo attraverso un bacio, per testimoniare che crediamo che la Croce è divenuta un legno di vita e di salvezza per il mondo. È il momento apice di questa celebrazione, quando la Croce, da supplizio infame, viene trasfigurata e diventa il seme piantato da cui nascerà la vita.

Dopo questo momento solenne, l’assemblea si scioglie in silenzio, così come in silenzio si era radunata per l’inizio della Celebrazione.

Don Davide

 




La messa nella cena del signore

La Messa nella Cena del Signore, che ricorda appunto L’ultima cena di Gesù, è il grande portale del Triduo Pasquale; come il preludio di una meravigliosa sinfonia appartiene alla sinfonia stessa, anticipandone i temi principali e costituendo un’introduzione, così anche la messa del Giovedì Santo, appartiene al Triduo, ma lo anticipa in tutti i suoi temi.

È molto importante notare che il Segno della Croce che dà inizio a questa celebrazione, apre tutto il Triduo Pasquale e verrà rifatto solo alla fine della Veglia Pasquale, a indicare che in effetti è tutta una grande unica celebrazione della Pasqua.

Anche le campane suonano a festa durante il canto del Gloria, per poi tacere (una volta si diceva che venivano “legate”) fino a scatenarsi nuovamente il giorno di Pasqua.

Nella messa della Cena del Signore, la liturgia celebra ancora tutto il mistero di Gesù nell’Eucaristia («Annunciamo la tua morte – proclamiamo la tua resurrezione), ma nei tre giorni seguenti si interrompe questo ritmo misterico/sacramentale e il ritmo della liturgia viene caratterizzato – per l’unica volta nell’anno – da una scansione cronologica: Passione di Gesù (Getsemani); Morte (Venerdì Santo); permanenza nel sepolcro e discesa agli “inferi”, cioè il Regno delle Ombre, dove Gesù va a liberare tutti gli uomini dalle catene della morte (Sabato Santo); e Resurrezione (Domenica di Pasqua).

La messa del Giovedì, quindi, tiene insieme due aspetti: da una parte è molto festosa perché si ricorda il dono d’amore di Gesù e l’istituzione dell’Eucaristia (richiamando anche il significato della Messa Crismale del mattino), ma allo stesso anticipa i temi della passione di Gesù, il suo sacrificio, la morte in croce per noi.

Tutto questo è rappresentato meravigliosamente nel segno della lavanda dei piedi. Come ci dice il testo di Giovanni, in questo gesto Gesù mostra di amare i suoi fino al compimento della sua vita e di accettare di “spogliarsi delle sue vesti” (cioè morire) per compiere il suo passaggio da questo mondo al Padre (cioè risorgere).

Questo momento, nella liturgia del giovedì santo, dovrebbe catalizzare l’attenzione. Se fossimo in un teatro, dovrebbe essere sul fronte del palco, con tutte le luci spente e un potente faro che illumina la scena. Dovrebbe rapire gli occhi e, attraverso essi, il cuore.

I dodici “discepoli” a cui vengono lavati i piedi devono rappresentare tutta la comunità. In questo gesto entra una grande ricchezza di rappresentazione umana, che ci dice che nella liturgia (anche in altre liturgie) ci può essere spazio per momenti simili a questo.

Qui la comunità parrocchiale riconosce di crescere nel servizio offerto e accolto. Qui il prete trova la rappresentazione perfetta del suo ruolo all’interno della comunità: stare nel mezzo non come colui che ha potere, ma come colui che serve e che guida gli altri nel servizio. Qui tutti noi ascoltiamo il comando di Gesù che ci dice: se io che sono Maestro e Signore vi ho lavato i piedi, anche voi dovete farlo: dovete servirvi gli uni gli altri.

Il servizio reciproco è la chiave per celebrare la Pasqua.

All’inizio della messa vengono presentati a tutte le comunità parrocchiali gli olii santi, che sono stati consacrati nella Messa Crismale del mattino, in cattedrale. Sono gli olii che santificano la vita dei credenti: l’olio dei catecumeni, che li prepara alla lotta contro il male; l’olio crismale che li penetra con la forza spirituale di Cristo; l’olio degli infermi, che indica la sollecitudine di cura di Gesù e della Chiesa per tutti coloro che soffrono. Così si vuole dire che la Pasqua è la sorgente della vita cristiana, che viene accompagnata dall’unzione degli olii in tutti i momenti e le sfide della vita.

Il Triduo Pasquale è iniziato e questa liturgia, come abbiamo detto, tecnicamente non finisce, non si chiude. Essa continua nell’adorazione dell’Eucaristia, che è un richiamo a «vegliare almeno un’ora» con il Signore, nel momento in cui lui sceglie di portare sulle sue spalle il peccato del mondo e di compiere questo desiderio di amore che lui e suo Padre hanno. Una volta – non senza una grande contraddizione cronologica – questo momento di adorazione si chiamava: “I sepolcri”, mentre invece è un rimando alla veglia di preghiera di Gesù nel Getsemani. Chi lo vive desidera rafforzare il proprio spirito, per entrare con grande amore e raccoglimento, nella contemplazione della morte del Messia, il Venerdì Santo.

Don Davide




Le celebrazioni della Settimana Santa

Siamo ancora relativamente lontani da Pasqua, ma vorrei continuare a guardare alle celebrazioni di quei giorni, affinché la consapevolezza dei riti che andremo a celebrare ci aiuti a vivere tempo di Quaresima.

La Settimana Santa, chiamata Grande Settimana nella tradizione orientale, si apre con la Domenica della Passione di Gesù, più conosciuta come Domenica delle Palme. È l’unica domenica dell’anno liturgico in cui l’accento cade principalmente sulla contemplazione e la meditazione della passione e morte di Gesù, piuttosto che sulla sua resurrezione. L’idea – espressa qui in modo necessariamente semplificato – è che chi non partecipa alle celebrazioni del Triduo Pasquale, celebra la passione e morte di Gesù nella Domenica delle Palme e la sua resurrezione nella Domenica di Pasqua, in modo da vivere la celebrazione unitaria del mistero pasquale, che comprende la passione, morte e resurrezione di Gesù.

Questo, in realtà, avviene ad ogni messa: «Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua resurrezione»; ma nelle due domeniche che includono la Settimana Santa in modo più evidente, e ancora di più nel Triduo Pasquale in cui, dopo il “Preludio” del Giovedì Santo, il ritmo della celebrazione diventa addirittura cronologico, scandendo giorno per giorno gli eventi.

Per questo, le celebrazioni della Settimana Santa hanno sempre una duplice connotazione. Da una parte sono giorni in cui si ricordano gli eventi dolorosi della passione e morte di Gesù, dall’altra sono giorni in cui celebriamo con grande entusiasmo (e persino gioia!), l’amore talmente grande e incondizionato di Gesù che ha dato la vita per noi e ci ha dato la vita attraverso la sua resurrezione.

Così la Domenica delle Palme ha sia il carattere festoso dei giorni della salvezza, sia il carattere di meditazione e di ascolto attento del racconto della Passione di Gesù, attraverso la lunga lettura dei Vangeli della Passione.

Il bel gesto della benedizione degli ulivi, con la conseguente processione, è il segno della nostra disponibilità ad accompagnare Gesù in questa settimana. L’ulivo benedetto è un gesto liturgico: indica che nella preghiera condivisa con il popolo di Dio, noi chiediamo la grazia di fare quello che nemmeno i discepoli furono capaci di fare: cioè seguire Gesù fin sotto la croce e poi essere resi partecipi della sua resurrezione. L’ulivo benedetto, quindi, non è un portafortuna, non “porta bene”, e considerarlo un talismano è un modo di profanarlo. Prenderlo al di fuori della celebrazione non conta niente: è come andare in un parco e strappare un ramoscello da un albero. L’ulivo benedetto, invece, può diventare un gesto di comunione, di riconciliazione e di pace, quando chi ha partecipato alla celebrazione ne porta un po’ a chi non ha potuto venire.

Per quanto riguarda la lettura della Passione, la liturgia prevede che ci possa essere molta partecipazione dei fedeli, e che le parti possano essere divise fra molti lettori, per riproporre l’intensità di quei momenti e la forza di quei racconti. La lettura “drammatizzata” diventa così una lettura “liturgica” e ci dice che siamo tutti invitati a entrare nello scenario di quei giorni in cui Gesù ci ha donato la vita.

Don Davide




Cenere sul capo, che si posa sul cuore

In queste domeniche di Quaresima, piuttosto che una vera e propria riflessione intonata alle letture della messa, vorremmo proporre una piccola catechesi sulla liturgia quaresimale e pasquale.

Il Mercoledì delle Ceneri abbiamo compiuto l’austero rito della cenere sul capo. È un gesto concreto, quanto mai visibile, e infatti c’è sempre una sorta di imbarazzo a tornare al posto con questo piccolo mucchietto di cenere sulla testa.

Partendo dalla realtà più concreta, il corpo, la cenere dovrebbe essere il segno di un percorso che attraversa la dimensione “esteriore” e va a toccare quella “interiore”. Come dicevano i padri della chiesa, noi agiamo sul corpo, perché lo spirito sia risanato. La cenere che abbiamo messo sul capo, si dovrebbe posare sul cuore, inteso come il centro della nostra vita interiore. Dobbiamo proprio immaginarci questo itinerario, come se la cenere fosse una sostanza strana, che “entrando” dalla testa, scende e va in realtà a toccare lo “spirito”, posandosi appunto “sul cuore”.

Il gesto delle ceneri, quindi, è un simbolo perfetto del cammino quaresimale e della liturgia pasquale. Infatti, sia il nostro percorso personale, sia la liturgia di questo periodo, sottolinea l’importanza di gesti e simbologie concrete, ma che hanno un profondo significato spirituale.

Da questa relazione immediata e significativa tra i gesti che compiamo nella liturgia e la loro realtà, si plasma la nostra vita spirituale. Dobbiamo abituarci a tenere questo modello come punto di riferimento, ben al di là delle nostre devozioni o della nostra preghiera intimista.

La liturgia, cioè la celebrazione comunitaria del mistero di Cristo e della sua grazia che agisce nel tempo, è la sorgente e il modello della nostra vita spirituale, e dovrebbe essere la fonte che la nutre di più.

Questo è possibile solo celebrando bene i gesti che facciamo, non formalmente e basta, ma cogliendone il significato e l’armonia nell’insieme della liturgia.

La cenere è segno di qualcosa che è stato consumato e che è finito, ma poteva essere usata anche per lavare, per portare via l’unto, quando non c’erano strumenti più raffinati. Noi partiamo quindi da questi due simboli di mortificazione e di purificazione, per arrivare alla grande Veglia di Pasqua, dove i segni saranno il fuoco e l’acqua.

Il fuoco – però – sarà il segno della resurrezione di Gesù, dell’amore che arde, ma che non consuma, non si consuma e invece rinnova. L’acqua invece, di quella purificazione nello Spirito che dà la vita. Per ora, portiamo nel cuore il desiderio di vivere profondamente questa “inversione” che ci attende, nella celebrazione di Pasqua, nelle prossime domeniche continueremo i passi del nostro cammino.

Don Davide