Più del Nanga Parabat

Prima parte

L’Ascensione di Gesù evoca una salita al cielo lieve, eterea, senza fatica, mistica. Ma il termine è anche lo stesso delle grandi imprese alpinistiche: l’ascensione all’Everest, al K2, al meno alto ma più terribile Nanga Parbat.

Questo secondo tipo di ascensione richiede preparazione, ritmo e costanza, è sempre lunga e faticosa.

Voglio leggere il mistero dell’Ascensione insieme a quello della Pentecoste, in una inedita meditazione in due puntate:

  1. L’Ascensione, che comprende l’allenamento, la fatica e la gioia di avere raggiunto la cima.
  2. La Pentecoste, che riguarda la seconda parte: il riposo in vetta, il ritorno, il racconto dell’impresa.

Organizzare la propria vita come se fosse una grande impresa alpinistica.

Questo significa ascendere con Gesù, essere quindi resi partecipi della pienezza della gioia pasquale nello Spirito Santo: non verso meravigliose cime montuose, ma puntando alle vette dell’esistenza.

È questo il vero significato, anche nella tradizione spirituale cristiana, della parola “ascesi”.

Allenarsi

Significa rafforzarsi nella vita: abituarsi a sostenere e ad affrontare le difficoltà, non fermarsi appena viene il fiatone, non rinunciare allo sforzo quando fanno male le gambe, esercitare la propria forza di volontà. È desueto questo stile, ma rimane importante se uno vuole “ascendere”.

Altrimenti si può decidere di rimanere alla malga a farsi uno Spritz, perché una Radler sarebbe già cosa troppo da montanari.

Allenarsi significa anche diventare un po’ più leggeri, tonificare i muscoli che sprigionano energia e eliminare i grassi che ci appesantiscono. Fuori di metafora, penso al nutrimento sano: la vita spirituale, le letture, la formazione personale, la preghiera, le buone relazioni: in una parola, le virtù. Al contrario, ci sono la pigrizia, la mancanza di cura di sé e degli altri, la tv spazzatura: ossia l’accidia.

Infine, allenarsi significa selezionare cosa portarsi nello zaino, che non può essere troppo pesante: che cosa ci fa da zavorra, che cos’è essenziale? Mi pare che tra le cose essenziali ci siano l’amore e la dedizione per la famiglia, la condivisione con una comunità di appartenenza, l’impegno onesto, leale e qualificato nel proprio lavoro. Ognuno, invece, deve essere attento a individuare le proprie zavorre.

Fatica

La fatica è un tratto inevitabile di ogni ascensione che si rispetti. Anche gli atleti più allenati, anche quelli che appaiono invincibili nel loro sport, quando compiono un’impresa mettono in campo uno sforzo ineguagliabile, che appunto hanno imparato a sostenere.

Nella parabola della casa sulla roccia, Gesù non dice che questa casa, a differenza dell’altra, non va incontro alla tempesta. Dice che la tempesta arriva comunque, ma la casa con buone fondamenta l’affronta e rimane salda.

La fatica c’è, nella vita di ciascuno. Molti preferiscono tenerla nascosta, invece sarebbe più importante condividerla con qualche persona amica, fidata e cara.

Ci si aiuterebbe. La cosa più importante è non scoraggiarsi, e non pensare che la fatica sia segno di qualcosa di sbagliato: è come reagiamo alla fatica che definisce se siamo nel giusto o nell’errore.

Vetta

Quello che vorrei trasmettere, soprattutto ai ragazzi e ai giovani (ammesso che ci sia qualcuno che legge, nel caso… fateci contenti: date un cenno!), è che per godere le vette il cammino della vita va preparato e strutturato.

Oltre alla scuola e alla cultura, che già è una cosa importantissima, bisogna a tutti i costi acquisire delle competenze emotive, relazionali e spirituali. È bella la spensieratezza, il divertimento, la gioia della giovane età.

Insieme a queste cose stupende, bisogna avere cura di preparare l’appuntamento con le cime.

Ricordo la gita più bella che ho fatto: l’anello alle Tre Cime di Lavaredo, dalla Val Fiscalina. Ho chiesto qualche consiglio e ho studiato le mappe. Poi sono partito presto. Vi dirò, che i panorami delle prime luci sono per me ancora indimenticabili. Per questo vi consiglio di partire “presto”. Ci sono momenti di vera estasi, come l’alba sulla Croda dei Toni. Poi mi sono goduto momenti di svago e di relax: una magnifica colazione con una mezza Sacher senza sensi di colpa.

Dopo, anche qualche momento in cui la salita è spianata; una volta arrivato in quota, addirittura qualche passaggio in cui ho mosso i passi in discesa e poi… la sorpresa.

Può capitare che ti accorgi che sei arrivato in vetta quasi all’improvviso, nonostante la metà sia maestosa e impareggiabile come le Tre Cime di Lavaredo, non nel senso che hai finito il percorso, o hai raggiunto il massimo dei traguardi, ma la tua ascensione ti sperimenta una tappa di inedita meraviglia.

Tutto quello che hai fatto fino a quel momento, ne è valsa la pena.

Il percorso non è finito. Ma questa è un’altra storia…

Nella prossima puntata: la Pentecoste! Non perdetevela!

Don Davide




Preghiera piccola

Spirito Santo,

donaci una fede piccola non nel senso di poca, ma nel senso di semplice, umile. Quella fede così piccola da sradicare le montagne. Una fede “minore” come avrebbe detto San Francesco, che non vuole essere “superiore” agli uomini, ma sotto la luce di Dio.

Una fede così aderente alla tua manifestazione, da essere franca nella sua pacatezza, tale da non avere preoccupazioni né pretese di sorta nemmeno davanti a un governatore romano o a un sommo sacerdote: “Se sia giusto, davanti a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi. Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” (At 4,19-20).

Una fede che cerchi l’intelligenza nella sapienza e la ragionevolezza nella matrice della Croce.

Una fede che non voglia avere ragione, ma sentimento; e che alla rassicurazione protettiva del dogma, cerchi preferibilmente l’emozione e l’inquietudine dell’incontro vivo con Cristo. Una fede che riconosca la Verità, che è Gesù Risorto, e la rispetti nella sua autenticità sempre inaccessibile alle nostre parziali e imperfette verità, piene di egoismo.

Spirito Santo,

che ci lasci la Croce come memoria del Risorto, donaci un ancoraggio essenziale non ai fondali degli abissi, ma al cielo, perché tu non sei etereo, sei concreto come un osso, sei l’essenziale di tutte le cose, spogliate da volontà di potenza, spogliate da trionfalismi, spogliate da rivendicazioni, rivalse e competizioni.

Tu, Spirito Santo,

sei la fede pura, perfetta come l’oro, limpida come un diamante e semplice come un granello di roccia; fede che si realizza quando ci affidiamo all’amore e riconosciamo che Dio è più grande di tutto e possiamo consegnarci a voi, Santissima Trinità, e custodire l’amicizia, l’affetto e il dono della Parola che illumina il nostro cammino.

Spirito Santo,

in questo giorno di Pentecoste, ti supplichiamo il dono della pace non come la dà il mondo, che sono sempre piccole ancorché utili paci, ma come la dà il Risorto, che la crea, laddove noi non siamo capaci di farla.

Infine, Spirito Santo,

ti chiediamo una fede essenziale, non affannata, ma piena di cura e di sorrisi, di legami rispettati e di alleanze mantenute o ritrovate, anche grazie al perdono.

Una fede non competitiva, né tra noi né col mondo, ma trasformante, sia di noi che del mondo.

Una fede buona e amorevole come una nonna con i suoi nipoti.

Don Davide




Il respiro dello Spirito – Omelia di Don Davide del 31 maggio 2020

Il supplizio della croce, all’epoca dei Romani, uccideva per soffocamento, proprio come farebbe il Coronavirus, colpendo i nostri polmoni, se non fosse combattuto.

Quando ha esalato l’ultimo respiro, Gesù ha effuso il suo spirito, per fare anche di quel momento di fatica a respirare un dono. Quanto volte diciamo: “Sono così impegnato che non riesco nemmeno a respirare…”? Forse, dietro agli affanni, c’è un atto d’amore che li riscatta.

Voglio immaginare quando Gesù è tornato a respirare nel sepolcro, voglio provare a visualizzare quel primo respiro, quando i suoi polmoni si sono riempiti d’aria e il suo petto si è gonfiato e il suo corpo, come percorso da una scossa, si è trasfigurato.

Tu, Spirito Santo di Pentecoste, sei entrato dentro di lui. Tu sei il respiro, dice la parola ebraica.

In uno slancio di audacia, vorrei andare a un altro momento ancora, all’origine del cosmo e della storia, quando le particelle erano nel caos e materia e antimateria si sfidavano per il dominio e il respiro di Dio faceva le capriole come il nostro fiato d’inverno, sopra quel nulla che poteva rimanere nell’abisso.

Soffio dello Spirito

Poi c’è stato il primo respiro della Creazione. E piano piano hanno cominciato a respirare lo spazio e le stelle, il sole e i pianeti, il cielo e la terra, il mare, i fiumi, le montagne, i prati, i fiori, gli animali, l’uomo e la donna. Se ci guardiamo bene, se ascoltiamo, tutto respira.

Mi sembra che in questa Pentecoste ci sia qualcosa che ci supera immensamente. Ci siamo noi, con le sorprendenti difficoltà di questi mesi e le nostre preoccupazioni, ma poi c’è il desiderio smodato di Dio che il mondo sia investito da un respiro spirituale e che riprenda fiato, e che questa boccata d’aria pura ravvivi la nostra intelligenza, ci renda operosi nella carità e ci doni una profonda empatia con ogni essere vivente.

Tutto il contrario di quello che è accaduto nell’uccisione di George Floyd, a Minneapolis.

Quell’uomo è morto perché gli è stato premuto un ginocchio sul collo, schiacciato a terra, per 8 minuti e 53 secondi. Non è l’unica vittima innocente, ma è diventato un simbolo. Quelle immagini hanno spaventato i bimbi, indignato i ragazzi e i giovani, scatenato proteste. Quelle immagini sono la negazione di tutto ciò che è la Pentecoste. Lo Spirito fa rinsavire, ti riempie di commozione per il dolore altrui, solleva non schiaccia e, soprattutto, infrange la durezza di cuore. Non puoi fissare la sofferenza di una creatura per tanto tempo e non sentirti spezzare il cuore.

Tu, Spirito Santo di Pentecoste, sei lo Spirito che fa respirare. Sei lo Spirito della vita.

Sento che siamo testimoni di qualcosa di misterioso che accade in questa Pentecoste, e che dobbiamo imparare qualcosa.

Caro Spirito Santo, bisogna pregarti sempre, perché tu sei il vero protagonista della preghiera, ma ogni tanto ce ne dimentichiamo. Oggi, però, vorrei dirti una preghiera speciale insieme a questa comunità radunata, e ho iniziato in modo se vuoi un po’ fanciullesco, scrivendo come a un amico, come un diario:

Caro Spirito Santo…
vorrei che tu ci insegnassi a respirare: che ogni uomo e ogni donna respirino.
Io so che noi non siamo capaci di parlare ai giovani, di coinvolgerli, di accendere il loro entusiasmo e di aiutarli ad uscire all’aria aperta piuttosto che stare davanti a uno schermo… ma mi piacerebbe che potessero respirare, ben al di là delle nostre asfissie ecclesiali e delle nostre afasie.
Ti prego affinché, come chi ha raggiunto la vetta in montagna, ciascuno di noi possa respirare gli orizzonti, riconoscere il percorso fatto e nuove destinazioni, rigenerarsi, desiderare e progettare nuove vie.
Se non oso chiedere troppo, vorrei che in questo giorno di grazia, come dono della grande effusione dello Spirito sulla Chiesa, i malati riprendano a respirare e guariscano. E chi li ama gioisca.
Vorrei che anche la Terra possa tornare a respirare dall’inquinamento che le abbiamo provocato; che possano semplicemente vivere i popoli indigeni dell’Amazzonia, oppressi troppo a lungo nel disinteresse di tutti, e che l’Amazzonia stessa ricominci a respirare, invece che soffocare tra le fiamme, provocate da uomini dal respiro corto.
Infine, Amato Spirito del Signore – radunati di nuovo nelle nostre chiese come cenacoli, spaventati, sgangherati, ma pieni di speranza – come se fosse la notte di Pasqua, come se fosse il primo giorno della Creazione, fai rivivere la tua Chiesa.

Amen.




Pentecoste

È una Pentecoste molto particolare quella che ci apprestiamo a celebrare, perché piena di contrasti e per questo intensa nel richiamo allo Spirito. 

Il respiro è il grande imputato dell’epidemia: è una malattia che si trasmette per via aerea e colpisce a sua volta le vie respiratorie. Invece, lo Spirito è il respiro che dà la vita.  

Il presidio più sicuro è la mascherina, che però a sua volta affatica il respiro ed appare quasi un bavaglio, copre parte del volto. Invece lo Spirito è l’energia della vita, che ha fatto parlare i discepoli – divenuti apostoli – con coraggio e a viso scoperto. 

Siamo ingabbiati in tanti protocolli, che peraltro ci aiutano a lavorare e ad avere una vita quasi normale. Invece, lo Spirito è libertà. 

Vale la pena rileggere San Paolo: “Il Signore è lo Spirito e dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà. E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore.” (2Cor 3,17-18) 

 Lo Spirito Santo è proprio questo scarto tra il mondo come è e il mondo come viene trasformato da Dio. Lo Spirito è questo surplus, una forza che non ci appartiene, la Creazione Nuova di Dio che ci viene data realmente, ma in dono.  

Lo Spirito Santo è la riserva, mai consunta, contro tutte le forze di morte.  

Possiamo, appunto, essere preoccupati del respiro volatile che gira nell’aria, essere costretti a coprirci la bocca e parte del volto, irrigidirci nei protocolli: nondimeno, lo Spirito del Signore ci fa respirare a pieni polmoni, ci permette di essere noi stessi e di parlare liberamente con gli amici, ci tiene liberi, anche se fossimo in prigione. 

Non è un invito a trasgredire le regole di prudenza, ma la consapevolezza, che la rivoluzione radicale inizia nel nostro spirito, abitato dallo Spirito di Dio.  

Anche in questo caso possiamo riascoltare le parole di San Paolo, che interpreta perfettamente questa “riserva spirituale” che ci fa vivere: “Siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; feriti, ma non uccisi (…) siamo afflitti, ma sempre lieti; poveri, facciamo ricchi molti; sembriamo gente che non ha nulla e invece possiamo tutto!” (2Cor 4,8-9; 6,9-10) 

PentecosteQuesto vuole dire che non dobbiamo mai abbatterci o sentirci sconfitti: può darsi che siamo tristi, per qualsiasi ragione, ma possiamo tornare ad essere felici; potremmo avere fatto un grave errore, ma non c’è niente di irrimediabile; potrebbe accadere che ci sentiamo in difetto, o che siamo sopraffatti da qualcosa di negativo o dalla nostra debolezza, ma questa situazione non dice la verità della nostra esistenza. 

C’è di più. Questo di più di bene, di amore, di capacità e di dignità ce lo svela lo Spirito che viene ad abitare in noi e, se dovesse mancare qualcosa, lui – con la nostra apertura interiore – è in grado di crearlo e di trasformarci. 

 E anche nel cammino della Chiesa valgono le parole di San Paolo. Abbiamo vissuto una grande tribolazione, insieme a tutti, la vita cristiana è affaticata, disattesa. Le nostre comunità riescono a creare poco coinvolgimento. I giovani spariscono o sono già spariti. 

Ma continua ad esserci una riserva di cuori e di volontà al servizio di Dio, impegnati nella trasmissione della fede, col fuoco della carità per chi è nel bisogno. 

Immagino lo Spirito, in questo giorno di Pentecoste, come nel primo istante della Creazione. Mentre tutto è nel caos, lo Spirito torna a mettere ordine nelle cose e a preparare una comunità che, fraterna in ogni parte del mondo, esprima la lode di Dio.  

Don Davide




La Veglia di Pentecoste: un appuntamento per tutti

1)Il cammino di questo anno pastorale che si sta concludendo è guidato dalla pagina del libro degli Atti degli Apostoli che racconta la discesa dello Spirito Santo nella Pentecoste, inizio della Chiesa. È lo Spirito che permette a ciascuno di udire gli apostoli nella propria lingua (Atti 2,6), frutto di una comunità che piena dello Spirito trova se stessa andando incontro agli altri. La Pentecoste trasforma degli uomini deboli e paurosi in testimoni gioiosi, rigenerati nella fede.

2) Vorrei che la celebrazione liturgica della Veglia di Pentecoste, nella serata di sabato 8 giugno, sia occasione per vivere oggi e nella nostra storia una rinnovata effusione dello Spirito. Questo anno per la nostra Chiesa di Bologna è contraddistinto dalle prime Assemblee di Zona che sono state un momento di confronto e di consapevolezza delle sfide e della realtà delle nostre comunità. Desidero che la Veglia sia un’altra Assemblea di Zona, questa volta interamente liturgica, per chiedere e sperimentare il dono dello Spirito di amore che “ci insegnerà ogni cosa”.

3)La Veglia si svolge in tutta la Diocesi simultaneamente, per indicare che siamo parte tutti della stessa Chiesa e che vogliamo avere un cuore solo ed un’anima sola. Ci raccoglieremo per Zona pastorale o per zone vicine che si accordano tra loro. Siano presenti tutti i soggetti (Parrocchie, Religiosi, Comunità, Associazioni, Movimenti e Aggregazioni laicali) per vivere un momento di grande comunione e di forza nello Spirito, che ci renda consapevoli dei suoi doni e ci trasformi in 5 testimoni gioiosi del suo amore. I carismi di ognuno e di tutte le nostre comunità, piccole e grandi, sono importanti per una Chiesa piena dello Spirito di Dio. Vorrei che tutti i presbiteri e i diaconi operanti nella zona pastorale siano presenti e concelebrino la Veglia, presieduta possibilmente dal Moderatore. Il presidente dell’Assemblea della Zona pastorale abbia una funzione specifica nella regia della preparazione e nello svolgimento della celebrazione (monizione iniziale e conclusiva). […]

6)La veglia sarà proprio come il Cenacolo, la stanza dove si celebra l’Eucaristia, il luogo proprio della preghiera e dell’effusione dello Spirito. Ci aiuterà a riscoprire il valore dei nostri luoghi di preghiera, della liturgia e dei sacramenti, luoghi dello Spirito e presenza di Cristo, sorgente di grazia per la nostra vita. […]

13)La veglia prevede la celebrazione della Messa vigiliare della Pentecoste, come stabilito dal Messale e secondo le indicazioni che verranno date dall’Ufficio Liturgico. A motivo del carattere diocesano di questa celebrazione, desidero che in ogni Zona pastorale (o gruppo di Zone riunite) vi sia in quella vigilia una sola celebrazione.

[…] Nella Veglia chiediamo il dono della fraternità, perché impariamo ad amarci gli uni gli altri come Gesù insegna.

 

+ Matteo Maria Zuppi, Vescovo – Notificazione per la Veglia di Pentecoste 2019




La parola che svela Dio

Dopo la solennità di Pentecoste, l’anno liturgico propone ancora due feste, prima di riprendere effettivamente il ritmo delle domeniche del Tempo Ordinario: la SS. Trinità e il SS. Corpo e Sangue di Gesù (il Corpus Domini).

La Trinità è il mistero di Dio che si svela nella Pasqua di Gesù: un Dio che tutto insieme soffre e che tutto insieme si riappropria della vita e la rigenera.

Il Corpus Domini ci aiuta a ricordare che il sacramento dell’Eucaristia, inteso come celebrazione della comunità cristiana, è il gesto concreto con cui viviamo quella Pasqua nel tempo, è la celebrazione della Pasqua settimanale.

Queste due feste sono intese, quindi, come un compendio della vita cristiana: viviamo nell’amore di un Dio-comunione e facciamo esperienza di questo amore, per metterlo in pratica, nell’Eucaristia.

Nell’anno dedicato dal vescovo all’attenzione per la Parola di Dio, la festa della SS. Trinità, che arriva a conclusione dell’anno pastorale, ci richiama ancora una volta al dono di questa parola che ci viene rivolta, come la parola di una mamma e di un papà, che pian piano svegliano la coscienza della propria bambina.

Dio ci parla proprio così: come due giovani genitori, che parlano alla figlia appena nata, le chiedono le cose, la rassicurano quando piange… anche se sanno che lei (ancora) non può capirli. Non importa. Pian piano, di quelle parole la bimba riconoscerà la voce, il tono… forse anche il profumo che le accompagna, quel senso di essere rassicurati nell’esistenza che i bimbi percepiscono quando sono in braccio ai genitori.

Poi diventeranno parole di amore e di tenerezza, e anche comandi a cui obbedire, non perché la bimba cresciuta si senta schiava, ma perché ha imparato che nel rispetto di quelle parole è rincuorata e protetta e può esplorare la vita con confidenza.

Dopo viene il tempo della ribellione, il processo dell’autonomia, ma poi quando c’è una cosa difficile, o un bisogno di aiuto, o una cosa che fa paura… anche i ragazzi e le ragazze più ribelli si rivolgono a mamma e papà. Tipicamente, gli adolescenti si muovono dentro a questo contrasto: il desiderio di indipendenza e il bisogno che papà e mamma siano lì sempre, a loro servizio. Dio che è padre e madre, lo Spirito Santo che in ebraico è un nome di genere femminile (tipo: “la Forza”) e Gesù, che è maschio, ma soprattutto “uomo” nel senso di modello per ogni persona del genere umano, non disdegnano nemmeno questa posizione nei confronti della propria figlia divenuta adolescente: accettano che si faccia strada da sola e, quando chiama, ci sono.

Infine, la parola che i genitori hanno a lungo rivolto e scambiato diventerà per la figlia il punto di riferimento del proprio sistema valoriale ed emotivo; sarà strumento di dialogo e confronto… e poi anche cura nei confronti dei genitori divenuti anziani, quando si arriva a quell’età in cui si invertono le parti, e mentre non cessa la premura dei genitori, in realtà sono i figli che si prendono cura di loro. Allo stesso modo, arriva anche un’età umana e spirituale in cui “ci si prende cura di Dio”, con una sapienza della vita e una maturità del rapporto che permette di trasmetterne l’esperienza anche alle nuove generazioni.

È la parola accompagnata dai gesti concreti che la realizzano, che anima tutto questo sviluppo.

Il mistero insondabile e vertiginoso della Trinità si fa conoscere così: “si è mai udita una cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio?” (1° lett.). Questa parola risveglia in noi la Forza spirituale che ci fa dire “Papà” ma anche “Mamma” (2° lett.), e agisce con essa. Infine, ci spinge a trasmettere l’amore di Dio, divenuti adulti nella fede, insegnando a conoscere questa parola, dimorare in essa, amarla e sentirsene custoditi.

Don Davide




Pentecoste, energia della Chiesa

Il tempo della Chiesa è accompagnato dallo Spirito del Risorto

La solennità di Pentecoste compie il Tempo di Pasqua e svela pienamente la grazia donata dalla resurrezione di Gesù, ma non chiude un cammino, anzi lo riapre: il dono dello Spirito Santo proietta la vita della Chiesa in avanti e la anima per tutto il tempo rimanente dell’anno liturgico.

Noi non viviamo solo nel tempo. Noi siamo tempo. Il tempo non è qualcosa di esterno al nostro essere: è la percezione della nostra esistenza attraverso tutto quello che siamo. Le feste della Chiesa e il ritmo della liturgia conferiscono al tempo che noi siamo una qualità diversa: non è solo scorrere cronologico, ma esperienza di salvezza e coscienza del significato profondo della nostra vita. Perciò, la Pentecoste ci rimette in cammino e dilata il dono dello Spirito. Sappiamo di vivere con questa forza spirituale che ci accompagna, che determina il modo in cui guardiamo la storia, che ci dà speranza, fiducia e coraggio ad ogni passo del nostro cammino.

È così che lo Spirito del Risorto si manifesta come Spirito della Vita. Esso unifica tutti i nostri sensi, per farci percepire e persino toccare la Vita in cui siamo immersi e che si manifesta nelle forme che arricchiscono la nostra umanità: la bontà, l’amicizia, l’amore, l’emozione, l’empatia, il coraggio, la gioia, il gusto, l’armonia, la bellezza.

Lo Spirito ci consola. Ci ricorda che queste forze sono talvolta come un fiume carsico, non appaiono, ma scorrono sotterranee, finché non trovano uno sbocco e continuano a irrigare la terra.

Infine, lo Spirito ci conferma anche nella verità di questa destinazione buona dell’esistenza. La Chiesa si pone a servizio, con umiltà e abnegazione, sapendo che – nonostante le apparenze contrarie – procede con il vento a favore. Questo è il vento che, nelle sere d’estate all’aperto, fa crepitare la legna e muove la fiamma. Mille sono le volute del fuoco, le sfumature dello Spirito, che a ognuno chiede di lasciarsi guidare per illuminare le notti.

Don Davide

Fuoco di Pentecoste




Spirito e Pasqua

“Vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto e vi insegnerà le cose future” (Cf. Gv 14,26 e Gv 16,13).

L’effusione dello Spirito, a Pentecoste, ravviva la memoria di ciò che è accaduto, guardandolo nella nuova luce pasquale: una luce che illumina di vita le cose e ne fa percepire il senso, tante volte nascosto nel momento in cui accadono. In questo processo, lo Spirito insegna anche il futuro, permette il discernimento, orienta verso ciò che deve venire in modo sapiente e fattivo.

Mi sembra, allora, quella di Pentecoste, l’occasione per fare una verifica e per chiederci cosa possa essere importante per il futuro.

Abbiamo iniziato questo anno pastorale confermati nelle fede di Pietro, dalla visita del Papa. È stata una giornata caratterizzata da una gioia frizzante, nonostante il clima uggioso, in cui si è capito che la Chiesa, i cristiani e forse ogni uomo hanno bisogno di persone autentiche, semplici e di grande carisma evangelico come papa Francesco. Questo insegnamento vale anche per il futuro. Non abbiamo bisogno di cose strane o grandi, ma di essere attaccati al Vangelo come un neonato al seno della mamma.

È stato l’anno della Parola e dei giovani. Abbiamo provato ad impegnarci su questi fronti, anche come parrocchia e come singoli, ma la percezione è che siano stati appuntamenti largamente disattesi. Nella luce del Risorto, incoraggiati dallo Spirito a fare verità, interpretiamo anche questa consapevolezza. Godiamo del grande amore di Dio, siamo consapevoli del dono della fede, abbiamo a cuore che la Chiesa viva anche nel futuro, tuttavia ci scontriamo quotidianamente con la nostra infedeltà o tiepidezza di fronte alla Parola di Dio, e con la fatica di fare spazio e di immaginare pratiche e modelli perché la Chiesa sia veramente giovane. All’ultimo consiglio pastorale, una ragazza ha detto un’affermazione tanto laconica quanto vera: “Nella chiesa di oggi, non sono gli anziani che mancano, sono i giovani.” Chiediamo allo Spirito di insegnarci queste vie, consapevoli che lui è come un allenatore tenace e bravo, che non si rassegna alla sconfitta della sua squadra.

Abbiamo vissuto un piccolo rinnovamento della Caritas, con un aggiustamento dell’organizzazione e l’ingresso di qualche figura nuova. Fare memoria nella luce della Pasqua, in questo caso, significa riconoscere la grandezza umana e spirituale delle persone che in tutti questi anni non solo non ci hanno fatto vergognare, ma ci hanno fatto essere orgogliosi del nome della nostra parrocchia: Santa Maria della Carità. Grazie a loro la carità è stata splendente e c’è solo da ringraziarli, infinitamente, per questa qualità che hanno immesso con sobrietà, spirito di servizio e nascondimento a tutta la nostra pastorale. Ci dà speranza e ci fa guardare alle cose future la continuità che hanno saputo generare.

Poi c’è la vita dei gruppi: bimbi, ragazzi, giovani e adulti. Un’ambiente vivace, in cui si può sicuramente fare meglio, ma anche segnato da esperienze genuine e liete. La luce pasquale ci dice che il Signore continua a chiamare alla fede, a generare nello Spirito, ben al di là delle nostre capacità, ma che questa consapevolezza rassicurante non è una scusa per tirare i remi in barca o per dire: “Ci pensa lo Spirito Santo”, bensì uno stimolo per mettersi ancora di più in ascolto della sua guida, docili alle sue intuizioni e strumenti energici della sua potenza di vita.

Infine, vorrei ricordare le celebrazioni di Pasqua. Soprattutto tre gesti, che forse sono passati quasi inosservati. Il fatto di essere due preti a fare la Lavanda dei piedi, segno di una dimensione di comunione al servizio. Il fatto di essere tutti giù dal presbiterio in ascolto della Parola di Dio nella celebrazione del Venerdì Santo, davanti all’altare spoglio, segno del Cristo morto. Una chiesa tutta “sotto” la Parola come discepola e raccolta – ministri e popolo – nella custodia tenera e cara del corpo di Gesù. Da ultimo, il gesto della Veglia Pasquale: quel sentire confessare la fede nella resurrezione e l’augurio per la vita della Chiesa da parte dei giovani, quel vedere accendere dalle loro mani il Cero pasquale. Nel bellissimo Messaggio ai giovani al termine del Concilio Vaticano II è scritto: “È soprattutto per voi, giovani, che la Chiesa – con il Concilio – ha acceso una luce.” Oggi, forse, si potrebbe dire il contrario: “È soprattutto per te, Chiesa, che i giovani hanno acceso una luce.”

Don Davide




Pentecoste

Pentecoste: si compie la rivelazione della Pasqua e si compie, nel vero senso della parola, un lungo e denso cammino che ha riguardato la nostra comunità.

Vale la pena di ripercorrerlo, perché ha coinvolto quasi tutto il tempo liturgico di Pasqua: le Cresime dei nostri ragazzi, la festa della B. V. della Salute con la processione delle “due” Madonne, i due turni delle Prime Comunioni che ci hanno fatto intenerire e la festa di don Valeriano. Senza contare tutto il “prima”: dall’inizio della Quaresima, in stato di nomadismo, per la messa in sicurezza della nostra chiesa principale, è stato davvero un anno pieno.

E anche oggi abbiamo due cammini che si compiono, segnando un traguardo e un nuovo inizio.

Padre Alberto ci saluta, dopo 17 anni di servizio encomiabile nella nostra comunità. La sua disponibilità parla da sola. Ma soprattutto vorrei sottolineare la dedizione alla Confessione, che per molti era diventata un punto di riferimento sicuro nel proprio cammino spirituale. Padre Alberto ha fatto amare e toccare con mano l’esperienza della riconciliazione a tantissimi di noi, e questo è il regalo più grande che ci ha fatto, di cui non lo ringrazieremo mai abbastanza. Il suo percorso con noi finisce, ma inizia un nuovo ministero, ancora più immerso in presa diretta nella vita pastorale, e noi siamo sicuri che lo Spirito continuerà a ravvivare i tanti suoi carismi a servizio della comunità in cui viene mandato.

Oggi si compie anche il percorso di catecumenato di Ylenia Abigàil, che riceve e celebra i sacramenti dell’Iniziazione Cristiana. Siamo contenti di avere l’onore di accoglierla noi nella Chiesa, attraverso la nostra parrocchia. La gioia di vedere che lo Spirito continua a fare nascere nuovi cristiani è incomparabile. Garantiamo anche a Ylenia la nostra preghiera, e che qui in parrocchia si potrà sentire sempre a casa propria.

L’effusione dello Spirito sulla Chiesa, in questo giorno di Pentecoste, compie spiritualmente anche il cammino del Congresso Eucaristico. Lo Spirito Santo spinse gli apostoli ad uscire dal Cenacolo e a testimoniare Gesù con coraggio e con forza di persuasione. Gli incontri erano diventati un’occasione per la presenza del Regno.

Lo stesso fa lo Spirito con la Chiesa di Bologna oggi e, segnatamente, vogliamo pensare che lo faccia con la nostra parrocchia.

Accogliamo volentieri il dono della pace, con una certa serenità non presuntuosa di avere fatto il nostro lavoro. Ringraziamo il Risorto per la responsabilità di essere una comunità che cerca di riconciliare e di vivere la comunione. Con gratitudine guardiamo indietro e con coraggio avanti, chiedendo ancora la forza e l’entusiasmo per uscire, incontrare e testimoniare.

Don Davide




Ragazzi spiritosi e uomini pieni di spirito

Oggi, solennità di Pentecoste, celebriamo il secondo turno delle Prime Comunioni. Domenica prossima, giorno della SS. Trinità, ci saranno le cresime in parrocchia.

Ci auguriamo che lo Spirito Santo scenda in varie forme e in molti modi ad animare la vita di questi ragazzi, affinché possano essere “spiritosi”. Chissà se l’Accademia della Crusca accorderà anche a me l’invenzione di un termine: dopo “petaloso” (un fiore pieno di petali), anche “spiritosi”: dei ragazzi pieni di Spirito. Eh, già, quello con la S maiuscola. È questo che fa la differenza. Mi direte: “Guarda, don Davide, che il termine esiste già: si dice spirituale”. Spirituale?! Ma vogliamo scherzare?! Non vi dà l’idea di qualcosa di serioso (ecco, appunto), di roba da adulti? Invece a me è venuto in mente San Filippo Neri, che era sì pieno di Spirito, uno degli uomini più “spirituali” che la Chiesa abbia mai avuto, e tuttavia era anche molto “spiritoso”: si divertiva, era un giocherellone, faceva scherzi e riusciva sempre a fare gioire i suoi ragazzi.

Avremmo proprio bisogno di ragazzi pieni di Spirito così: che animino una chiesa viva, con la loro freschezza, e la rendano piena di gioia.

E poi, naturalmente, avremmo bisogno di uomini e donne adulti pieni di Spirito. “Spirito” che?! Lo Spirito Santo, questo grande sconosciuto. Quello a cui si danno i meriti (o le colpe, a seconda della prospettiva di chi guarda) nella vita della chiesa quando non si sa cos’altro dire. Quello che nelle nostre preghiere non compare quasi mai: preghiamo il Padre, Gesù, Maria, gli angeli custodi, ricordiamo i defunti, ma quasi mai invochiamo lo Spirito Santo, che invece è la presenza concreta di Gesù Risorto e dell’amore del Padre oggi, nei giorni della nostra esistenza.

Ad esempio, chi sa a memoria la Sequenza allo Spirito Santo (che, tra l’altro, è una preghiera bellissima). Quanti, tra quelli che la sanno, si ricordano di dirla, al mattino prima di iniziare la giornata, oppure quando c’è una difficoltà da sciogliere?

Tuttavia non basta dire una preghiera. Essere uomini e donne pieni di Spirito, significa soprattutto lavorare costantemente per fare spazio allo Spirito del Risorto, per cercare di muovere i nostri passi animati da lui. Significa ricercare il bene di tutti e l’Amore non ricevuto, ma donato; servire, soprattutto i più poveri e i piccoli; lottare con tenacia contro le forze della morte.

Speriamo di trasmettere così una buona testimonianza, e di non essere troppo “seriosi”, in modo che i nostri ragazzi possano essere “spiritosi”: come dei fiori bellissimi, i cui petali sono lo Spirito Santo.

Don Davide