La salvezza di Dio comprende tutto

Due figure femminili accomunate da un particolare
La pagina del Vangelo di questa settimana (Marco 5, 21-43) non lascia spazio a dubbi sull’Amore che Dio nutre per noi, perché qui esso è espresso da suo figlio Gesù di Nazaret, attraverso due guarigioni di due donne molto diverse, ma accomunate da qualcosa di interessante.

Il numero 12 (1+2= 3)
Nel racconto, entrambe hanno a che fare col numero 12: la donna è malata da tempo e questo dato ci viene fornito chiaramente: “una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici”;
La figlia di Giairo, il quale implora l’aiuto di Gesù perché lei sta morendo ha un’età precisa la fanciulla (…) aveva infatti dodici anni 

Il dodici indica la pienezza dell’anno, composto di dodici mesi, ma anche e soprattutto perché rappresenta il numero dell’elezione, quello del popolo di Dio. “

Dodici i figli d’Israele-Giacobbe; Dodici quindi le tribù d’Israele; Dodici gli apostoli: esso è un numero simbolico che rappresenta la totalità della vita, la ricomposizione di qualcosa che in origine era perfetto e armonico e finalmente, dopo aver superato mille difficoltà, ritorna Uno, Sano, Integro.

Il sangue e la tenacia
Una volta mi capitò di avere un’emorragia dal naso, improvvisa e violenta: ero nel chiostro della mia università ospitata da un ex convento, dove noi studenti ci fermavamo a chiacchierare, a mangiare un panino. C’era gente, ma nessuno si avvicinò per aiutarmi, mentre tiravo fuori fazzoletti dalla borsa tentando di bloccare il sangue.
Lo capii: erano gli anni dei primi sieropositivi all’HIV e il sangue faceva paura così come calpestare una delle innumerevoli siringhe lasciate a terra nei parchi dai tossicodipendenti.
Me la cavai, ma pensai che se fossi svenuta avrei avuto tutti attorno, mentre la sola vista del sangue, aveva scoraggiato anche i più solerti “samaritani”.

La donna di questo brano ha attraversato difficoltà infinitamente più gravi delle mie: ha subito molte sofferenze e delusioni e la sua vita si è completamente identificata con una condizione di malattia e rifiuto sociale: ma per guarire, è disposta a rischiare.
Questa donna si sente impura, ma si getta nella folla per raggiungere un contatto diretto con Gesù: non basterà vederlo, chiamarlo, ma dovrà toccarlo. Quando noi usiamo l’espressione “toccare con mano”, vogliamo dire che abbiamo fatto un’esperienza reale di quella condizione: ebbene questa donna ci riesce: “e sentì nel suo corpo che era guarita dal male”. E Gesù infatti “essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?”. Vuole guardare negli occhi chi è riuscito a ricevere per sé, parte di quel principio che ridona vita laddove sembra regnare solo morte e sofferenza. Non c’è salvezza senza incontro reale: solo quando può dirle, direttamente guardandola negli occhi: “Va’ in pace e sii guarita dal tuo male”, la donna può davvero riprendere in mano la sua vita.
Gesù le dà atto di non essersi arresa, di aver avuto fiducia pur vivendo una condizione in cui l’istinto ti porterebbe a metterti in un angolo e bloccarti. Anche solo camminare perdendo continuamente sangue, ti dà la netta sensazione di essere in difetto: ti senti svenire, ti senti sporca, senti che tutti potrebbero accorgersi dei tuoi vestiti macchiati. E allora osare di voler guarire è un atto di fede che Gesù apprezza talmente tanto da dire alla donna che è salva: e mi viene da pensare che la salvi non solo dalla malattia del corpo, ma anche da tutte quelle dell’anima, in modo che finalmente possa dedicarsi a costruire il Regno di Dio su questa terra a volte polverosa ed arida, all’interno di una comunità ritrovata.

La giovinezza e la fragilità
La seconda figura femminile è giovanissima e viene descritta come senza vita, esanime, esangue. Potrebbe rappresentare l’esplosione della vita (a dodici anni, spesso si diventa donne) che viene bloccata da un qualsiasi evento improvviso e grave: qualcosa sta rubando ad una ragazza che invece dovrebbe avere tutta la vita davanti, ogni possibile futuro.
Qui Gesù su comporta come un marziano: non si scompone, dice al padre «Non temere, soltanto abbi fede!» e quando arriva a casa di Giairo e gli dicono che la bambina è morta risponde: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». Ovviamente viene deriso, ma questa volta invece di agire nella folla, sceglie pochissime persone da portare con sé nella stanza della figlioletta di Giairo e la guarisce con una frase chiara e decisa: «Talità kum». E il linguaggio cambia: scopriamo che non è più una bambina, ma una fanciulla che, come dicevamo all’inizio, ha dodici anni. Anche qui c’è un passaggio avvenuto: la bambina potrebbe aver avuto paura di crescere, oppure potrebbe essersi arresa al primo pericolo che l’ha sorpresa e non ha lottato: si è abbandonata, molto presto all’altra sorella della vita, la morte. Gesù però fa sentire forte la sua voce, per risvegliare quelle parti di noi che hanno paura di crescere, di cambiare, di lanciarsi nell’imprevedibilità della vita e donare loro nuovo vigore. Quando accogliamo la voce di Dio, diventiamo più grandi, più completi proprio perché abbiamo superato uno snodo critico della nostra crescita.

È quando superiamo le prove (e la pandemia lo è sicuramente) che produciamo finalmente una trasformazione. Le prove difficili sono le uniche che portano ad una vera crescita. In molte culture i riti iniziatici si compiono all’età di 12 anni, dopo di che si entra in un’età adulta. Quindi quando le prove si presentano, non fuggiamo, non anestetizziamoci: superiamole per diventare grandi e completi. Ricordando che all’orizzonte, come leggiamo nell’Apocalisse c’è una Donna vestita di sole ha in capo una corona di dodici stelle, vale a dire un’umanità scelta da Dio per realizzare un mondo in cui pace ed armonia regnino per tutti e per sempre.

Anna Maria




Una prova, tre tentazioni

“Prova” e “tentazione” nella lingua del Nuovo Testamento potrebbero essere considerati come sinonimi. Nella prima domenica di Quaresima si parla delle tre tentazioni di Gesù. Anche noi, a partire dalla prova che stiamo subendo, potremmo subire alcune tentazioni. Vale la pena metterle in luce, per non essere sedotti e lasciare che una prova si trasformi in peccati ben più gravi di quello di saltare il “precetto festivo” che sembrava preoccuparci tanto.

La prova è quella, ovviamente, del virus che all’inizio ha spaventato tutti e ora, dopo che abbiamo conosciuto il nemico, sembra essere un po’ meno mostruoso.

Come atteggiamento quaresimale di solidarietà con i più deboli e poveri, dobbiamo innanzitutto riconoscere come questo virus, che ha colpito l’Occidente, abbia gettato l’allarme, mentre quelli che generano vere e proprie epidemie nei paesi poveri del mondo ci lascino sostanzialmente indifferenti. C’è un elemento di serietà e di fratellanza da riscoprire e che ci interpella come condizione necessaria della nostra sensibilità cristiana.

tre tentazioni

La prima tentazione è di farci prendere dal panico, e di dimenticare le dinamiche più ovvie di comunione fraterna. “Non di solo pane vive l’uomo” risponde Gesù nella prima tentazione. L’uomo ha un alimento per la sua intelligenza e per il suo spirito: la reazione di accaparrarsi le scorte di fronte alla prima minaccia, assomiglia tanto al dare sfogo al criterio: mors tua vita mea, come se uno si dovesse preoccupare solo di sé e non del fatto che c’è un legame sociale da mantenere. “Non di solo pane” ci ricorda anche che alcune dinamiche del convivere che diamo per scontate, in realtà devono essere custodite proprio dalla nostra vigilanza spirituale, oserei dire dalla nostra magnanimità, una virtù di cui tutti dovremmo avere più cura. Nelle situazioni di vera crisi, solo donne e uomini dalla grande anima hanno offerto risposte e soluzioni significative.

La seconda tentazione, che è molto connessa alla prima, è di confondere lo spirituale con il mondo fisico. “Buttati – dice il diavolo – gli angeli ti custodiranno!” Quasi come a dire: “Vai nudo al centro dell’epidemia, se hai fede non ti accadrà nulla!” Gesù risponde con grande precisione che non è così che funzionano le cose. Lo spirituale si è incarnato nelle dinamiche fisiche e creaturali del mondo: questo è lo specifico cristiano. Non serve dire: “Se noi preghiamo, l’epidemia non arriverà!” e tutto il corollario di analoghe frasi spiritualistiche. Tutto il buono, invece, passa dal legame di alleanza con Dio e con i fratelli. Dobbiamo chiederci: cosa posso fare per custodire la presenza di Dio in me e l’amore per i fratelli a partire dall’amore di Dio? Porsi questa domanda significa stare nel faticoso lavoro della vita spirituale e dell’apprendimento della sapienza cristiana e della saggezza pastorale della chiesa.

La terza tentazione è quella del potere. È ben più che una tentazione ed è sotto gli occhi di tutti: attraverso i social o lo scempio che fanno alcuni politici, l’inclinazione a sfruttare una situazione grave a proprio vantaggio, l’occasione di volere avere ragione o di dire l’ultima parola, o di essere più forti degli altri. Gesù ci mostra, senza mezzi termini, che questa tentazione può solo essere scacciata: “Vattene!” dice al diavolo, mostrando che dobbiamo avere un’opposizione radicale a questi atteggiamenti che risvegliano in noi il desiderio sottile di dominare, di avere potere, di essere migliori degli altri. “Vattene!” è l’unica parola da opporre: l’unica forza che ci permette di non mettere una barriera tra noi e gli altri e di non allontanarci irrimediabilmente da Dio.

Don Davide