Il privilegio di Dio

Tu sei magnifico e onnipotente, Signore. Nella tua dimora regale, seduto sul trono di gloria, come ogni sovrano, chissà quanti privilegi hai!

Eppure, sei sceso ad abitare in mezzo a noi e non hai scelto un hotel a 5 stelle, ma il retro di un’abitazione, e anche i cherubini e i serafini – che di solito popolano il tuo palazzo – non hanno disdegnato, come te, la compagnia di qualche animale: un asino, un bue – chissà – forse anche due conigli, una capretta, qualche gallina e tre pecorelle.

L’apostolo Paolo ha preso pezzi di una canzone orale del tempo e ne ha composto un inno, su questo viaggio che hai compiuto, Gesù, dall’alto al basso e poi di nuovo verso l’alto, in un livello intermedio tra la terra il cielo, quello della croce. Noi l’abbiamo un po’ ammansita questa meditazione, ma potremmo renderla così: “Pur essendo Dio, non ritenne un privilegio essere Dio, ma svuotò se stesso” (Fil 2,6-7).

Cosa si può pensare di più atroce della situazione degli uomini e donne che vengono venduti, ancora oggi, in molte parti del mondo?

La fine del tuo viaggio – di questa discesa dal trono del cielo, al pagliericcio della terra, fino al giaciglio della croce a mezz’aria – inizia proprio così: sei venduto, per farti morire. Come gli schiavi, come le vittime dei trafficanti di organi, come i giovani e inesperti soldati mandati al macello da chi ha le ville con la piscina.

Qual è dunque il privilegio di Dio?

Qual è il tuo privilegio, Gesù?

Che cosa ritieni degno, tu, dell’esistenza di Dio?

Per rispondere a questa domanda, i narratori del tuo ultimo tratto sulle nostre strade, elencano una serie di situazioni vertiginose.

Sentirsi ingiustamente motivo di scandalo, solo per essere stato testimone di un Dio libero, mite e amorevole; fare parte dei rinnegati, i dissidenti dalla loro patria, gli omosessuali dalle loro famiglie, gli inefficienti dalla società dei consumi, i malati e gli anziani lasciati soli, chi si sente cacciato e rifiutato dagli affetti più cari.

Inoltre, il privilegio che scegli per te è, Gesù, condividere la sorte di quelli che vengono bullizzati, sostituirti ai prigionieri e ai carcerati, giungere perfino ad affiancarti nel dolore di chi viene torturato.

Infine, fermare il braccio di chi usa la violenza nel nome Dio.

Tutto questo è il privilegio di cui ti fregi, proprio perché sei Dio.

Ed ora, camminare di nuovo in quello che era il Paradiso Terrestre deturpato dal peccato, senza più fare paura agli esseri umani, anzi, facendoti vicino ad ogni uomo e ogni donna soli, che soffrono in terra, in mare e in ogni luogo, per consolarli come una madre che prende in braccio il suo bambino, per alleviare il dolore, perché nessuno abbia più paura del buio e degli orchi.

Il privilegio che rivendichi, Gesù, è entrare in tutte le sofferenze e coccolarle d’amore.

Ma il privilegio di Dio è anche sedere a tavola con gli amici, benedire il pasto e i doni della terra, scoprire – meraviglia inattesa – che ci sono fratelli e sorelle sconosciuti, pronti ad asciugarti il sangue e il sudore dal volto, disposti ad aiutarti a portare la croce.

Alla fine di questa contemplazione, ti preghiamo Signore Gesù – noi che siamo guardinghi e prudenti, e magari un po’ timorosi – insegnaci ad essere “invidiosi” dei tuoi privilegi, anzi a “morire di invidia” per te, nella Settimana Santa.

Don Davide




La medicina del mondo

All’inizio del racconto evangelico di questa domenica, per cinque volte in sei versetti, si dice che Lazzaro era malato.

Lazzaro è figura del mondo, che è malato.

Se non si ridesta dal suo sonno, sprofonda nell’ombra della morte. Al contrario, Gesù lo richiama alla vita, perché si manifestino le opere di Dio.

L’opera di Dio è questa: richiamare alla vita il mondo.

Contrariamente al nostro corpo biologico che ha bisogno del riposo per guarire, il nostro corpo spirituale, per essere sanato, ha bisogno di ridestarsi.

La parola di Gesù è come un tuono in quest’ultima domenica, prima della Grande Settimana, la Settimana Santa: VOI togliete la pietra, e TU Lazzaro vieni fuori.

C’è un compito di tutti e una responsabilità personale.

LA PACE

Non bisogna mettere una pietra tombale sulla pace.

“Ma è già di quattro giorni!” dice Maria. “Questa guerra, queste guerre sono già durate così tanto! Ormai non ci si può fare più niente!” Ma proprio perché la guerra fa puzza bisogna togliere la pietra tombale sulla pace, e dare aria e sciogliere quelle bende da mummia che impediscono di percorrere la via della riconciliazione.

LA FEDE

“Se tu credi” (Gv 11,40) dice Gesù.

C’è bisogno di risvegliare la fede. Non è una cosa insensata, neppure di fronte alla morte, né impossibile.

Gesù, nella preghiera per Lazzaro ringrazia. Questo ringraziamento permette a Maria di “vedere le grandi opere di Dio”. Tu incomincia a ringraziare e scoprirai che la tua fede si risveglierà.

LE LACRIME

C’è troppa sofferenza nel mondo. Ci sono le atrocità, ma anche tanto dolore nascosto, calvari e croci che si ripetono sfrontatamente, per esempio la morte di un amico, un fratello. Anche Gesù piange. Le sue lacrime sono sorprendenti in questa situazione, in cui ha appena dichiarato di essere lì per la vita di Lazzaro, nonostante ciò si commuove nell’intimo.

Lasciamoci commuovere. Non abbiamo paura di essere sensibili.

Le lacrime somigliano tanto a quel lavacro di rigenerazione che è il Battesimo e preparano la Pasqua.

 

Così, il vangelo di Lazzaro è come il terzo tempo di una grande sinfonia in quattro movimenti. La samaritana (Gv 4), il cieco nato (Gv 9), Lazzaro (Gv 11) e la Settimana Santa.

La Settimana Santa è la grande medicina del mondo.

Essa ci offre l’ulivo della pace, la tenerezza dei gesti nella Cena di Gesù, la commozione di fronte alla sua morte, la fede che si accende nella notte della morte.

Allora potremo cantare con vera consapevolezza, nella notte di Pasqua: “Mandi il tuo Spirito Signore, e guarisci tutta la terra”.

Don Davide




Il cieco e noi

Quando nasciamo, abbiamo gli occhi chiusi, accecati dalla luce di un mondo nuovo. Qualche tempo dopo cominciamo a guardare, con quell’espressione buffa tipica dei neonati che spalancano gli occhi e li richiudono, e poi iniziano a osservare chissà cosa e chissà dove, fino a che rivolgiamo alla mamma un sorriso, rapiti da quell’amore primordiale.

La cecità nel vangelo di oggi, non è né una condizione fisica, né una condizione morale, ma uno spazio vuoto, dove si possano rivelare le meraviglie di Dio. È la “terra informe e deserta, e l’abisso tenebroso” del mondo prima della Creazione (Gn 1,2). È l’essere umano prima che venisse posto in lui “un alito di vita” (cf. Gn 2,7). Siamo noi, prima della Creazione nuova del nostro Battesimo.

È come se Gesù dicesse: “Sia la luce!” (Gn 1,3), ma anche: “Ricevi il Battesimo!”, perché “lo Spirito di Dio aleggia sulle acque” (cf. Gn 1,3).

Il cieco guarito testimonia un fatto. “Una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo” (Gv 9,25).

Come con la donna samaritana, quando Gesù le dice: “Sono io che ti parlo” (Gv 4,26), anche questo incontro progressivamente raggiunge un apice di consapevolezza: “Lo hai visto: è colui che parla con te!” (Gv 9,37).

Allo stesso modo di una mamma che parla alla sua bambina e l’accarezza, finché non apre gli occhi e la riconosce, così Dio, attraverso Gesù, parla alla nostra vita e ci accarezza, finché non apriamo gli occhi e lo riconosciamo.

Una prima volta è accaduto, quando i nostri genitori hanno scelto per noi il Battesimo (oppure lo abbiamo chiesto noi stessi).

Allora siamo stati immersi in un bagno di amore gratuito, che nulla chiede, ma testimonia solo l’affetto preveniente e incondizionato di Dio e di chi ci ama.

Ogni volta che ritorniamo a quella sorgente, come la piscina di Siloe, i nostri occhi si aprono e noi veniamo ricreati.

Ci sentiamo nuovi.

Possiamo testimoniare le grandi opere di Dio che si sono manifestate.

Se ci abituiamo a riconoscerle, anche in mezzo alle tempeste più nere, ne possiamo scorgere tante.

Ciechi alla nascita, vediamo nella vita.

Don Davide




Sete di acqua buona

Il ciclo liturgico dell’Anno A, quello in cui durante l’anno si legge il Vangelo di Matteo, ha la caratteristica che dalla terza domenica di Quaresima si ascoltano i lunghi racconti della Samaritana (Gv 4), del Cieco Nato (Gv 9) e di Lazzaro (Gv 11), che accompagnano l’ultima preparazione ai Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana degli adulti.

L’icona biblica di Marta e Maria (Lc 10,38-42) ha abbondantemente accompagnato la riflessione della Chiesa italiana in questo anno.

In occasione della Pasqua, centro dell’anno liturgico e sorgente di ogni scelta pastorale, possiamo rileggere il testo di Marta e Maria in filigrana ai racconti quaresimali.

Quando arrivano ospiti a casa, prima di tutto si chiede loro se vogliono qualcosa da bere, oppure si fa un bell’aperitivo. È un’attenzione al bisogno più immediato, la sete, oppure il desiderio di fare stare bene le persone accolte fin dall’inizio con qualcosa di buono, magari delle bollicine prelibate.

Come la sollecitudine di Marta nell’accogliere Gesù, e come fa Gesù stesso, che svela la sete della Samaritana.

Dopo bisogna stare attenti a non perdere di vista i nostri ospiti. Spesso, per fare bella figura, ci si arrabatta in cucina e in mille servizi, godendosi poco la compagnia degli amici.

Gesù che ridona la vista al cieco è lo stesso che nella casa di Marta e Maria insegna a non perdere di vista l’essenziale.

Infine, quando abbiamo ospiti a casa, non è la cena succulenta o la perfetta osservanza del galateo a farci sperimentare un senso di pienezza e di gioia, ma la presenza degli amici, la mutua e affettuosa vicinanza gli uni degli altri.

Nella scena di Lazzaro, incontriamo lo stesso Gesù che dice qual è la parte migliore, quella che dà la vita.

Iniziamo dalla sete di cose buone, che è una sete vera, molto concreta anche per i nostri giorni. Se pensiamo a questo itinerario, sentiamo ancora più lacerante il dramma del naufragio a Cutro e di tutti i naufragi. Ci sono persone che hanno sete, e non dobbiamo perdere di vista l’essenziale, che è sempre salvare la vita.

Non c’è una parte migliore, nel mondo, che quella di sconfiggere le guerre, di invertire completamente questa cultura del nemico, dell’impossibilità di vivere insieme, che dà la morte, invece che la vita.

Abbiamo sete di cose buone per le ragazze e ragazzi, per la loro formazione, per l’amore nelle famiglie e tra le persone, per chi si sente discriminato, solo ed escluso.

Tutto questo ci chiede di fare maturare il Battesimo come un frutto d’estate. La Quaresima è il variegato cammino, attraverso il quale possiamo dare vigore a questo processo di maturazione.

Facciamo ogni sforzo per ospitare Gesù, eppure siamo ospitati da lui.

Vorremmo dissetarlo con il nostro amore, ma siamo noi che ci dissetiamo con i suoi sacramenti.

Teniamo gli occhi fissi su di lui e ogni volta lui ci mostra come vederlo e scoprirlo di nuovo.

Infine, desideriamo vivere e vivere bene, attingendo al suo amore l’energia per questa vita.

Quest’anno, avremo il Battesimo di due bimbe e un bimbo durante la Veglia di Pasqua. È un’occasione speciale.

Possiamo riscoprire il nostro Battesimo, cioè la bellezza della nostra vita cristiana.

Don Davide




Verso la vetta, prima dell’alba

“In quei giorni il Signore disse ad Abram: Vattene dalla tua terra, verso la terra che io ti indicherò.” (Gn 12,1)

Vattene! Sembra una minaccia, ma non è così.

Porta te stesso verso un luogo promesso, pieno di speranza; da un terra umana, a una terra indicata da Dio.

Inizia un cammino, segui un percorso, fidati di Dio e diventerai una benedizione.

Accogliere le occasioni di Dio e metterci in cammino, significa salire in un’intimità speciale con Gesù sul nostro personale monte della trasfigurazione.

È come salire la vetta di una montagna quando è ancora buio, e giunti in cima, anticipare l’alba.

Non sempre gli altri capiscono cosa ci stia succedendo durante il tragitto e, dopo, cosa abbiamo vissuto. Siamo stati per qualche tempo “in disparte” con Gesù e il riflesso della sua luce ha segnato la nostra pelle, è rimasto sul nostro viso, nei nostri occhi.

Che cosa ci è accaduto? È difficilissimo descriverlo.

Abbiamo visto Gesù luminoso e questo ha cambiato il nostro modo di guardare le cose.

Lo sintetizziamo con due parole: l’ascolto e l’amore.

È un’esperienza che facciamo tutte le volte che diciamo un “sì” sapendo – magari non perfettamente, magari solo intuendolo – che è un sì detto a Dio. È l’intimità che viviamo quando ci fermiamo ad adorare l’Eucaristia, in silenzio, o con la nostra comunità. È quello che ci accade quando ci dedichiamo a un servizio.

“Gesù ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo.” (2Tm 1,10).

Contemplo un mondo trasfigurato, che è presente e minacciato allo stesso tempo; che ancora non c’è, ma ci sarà, non appena qualcuno avrà un sentimento d’amore per il Vangelo.

Vedo giovani uomini e giovani donne uscire dalla spirale infernale della guerra e incamminarsi verso la pace. I potenti si domanderanno sbigottiti: cos’è questa processione di persone pacifiche, laddove le abbiamo educate alle armi, all’odio e alla deterrenza militare?

Contemplo un creato purificato e custodito, e tutti noi che – faticosamente e con l’impaccio dei principianti – impariamo a rispettare le piante, gli animali, l’aria, i fiumi, i mari, i boschi, il suolo, i campi.

Gusto il giorno in cui si dilaterà il Magnificat.

Gli umili saranno innalzati, e non ci sarà più uomo e donna, ragazzo e ragazza, bambino e bambina, umiliati, sfruttati e offesi.

La luce è grande, abbacinante. Non riesco a fissarla oltre, ma so che c’è molto di più.

Incamminati verso la trasfigurazione abbiamo come un assaggio, che tu Signore, nella Pasqua mandi il tuo Spirito a rinnovare la Terra.

Sto un po’ con Gesù, in disparte, perché voglio essere protagonista di questa illuminazione del mondo.

Don Davide




Fare i conti con il peccato

La prima domenica di Quaresima, con grande schiettezza, ci invita a fare i conti con il peccato, manifestando la serietà di questo scontro e la rovina che porta alla vita degli esseri umani, quando sottovalutiamo questa battaglia.

Uno dei punti critici delle nostre società e del nostro tempo è proprio sminuire il valore morale delle nostre azioni.

Invece, è molto interessante e istruttivo cogliere dapprima la dinamica delle tentazioni e poi la posta in gioco che questo episodio della vita di Gesù mette sul piatto.

L’antagonista di Gesù si manifesta in primo luogo come “tentatore”, non ancora con le sembianze reali del male. Gesù ha digiunato tanto, ha fame, che male c’è se trasformasse una pietra in un pane? Non ruberebbe cibo a nessuno e non fa certo problema una pietra in meno nel sassoso deserto di Giuda!

Gesù svela quello che è nascosto, l’insidia più profonda, ossia quella di sapere relativizzare anche gli istinti primari.

Elie Wiesel, nel suo celebre e terribile romanzo La notte, racconta di una situazione nel campo di concentramento di Auschwitz, in cui un uomo stava morendo di fame, ma era finita la razione di cibo. L’autore descrive con memoria atroce e struggente la sua lotta interiore per cedere la sua porzione di cibo, perché anche lui stava agonizzando dalla fame, e la consapevolezza che in quella difficoltà era in gioco la sua stessa umanità. Alla fine, se ci pensiamo bene, sono molte le situazioni, magari anche meno drammatiche e gravi, dove possiamo e dobbiamo chiederci come fare a restare umani. Basti pensare alla rabbia che ci prende, quando subiamo un torto e subito ci pare che questo legittimi qualunque reazione.

A questo punto, il tentatore che si era presentato con la parvenza di una qualche ragionevolezza, si palesa come il diavolo.

È il nemico, ed è reale, e allo stesso tempo cerca di mascherarsi.

La proposta che fa a Gesù è quella di credere che l’uomo non abbia limiti, che possa fare quello che vuole, che non dovrà mai sperimentare il male, il dolore, la sofferenza e, in definitiva, che sia immortale. Per la seconda volta dice: “Sei il Figlio di Dio, lo puoi fare”, ma Gesù smaschera l’inganno. Persino il Figlio di Dio affronterà i limiti della vita umana, le preoccupazioni, la sofferenza e la morte. Diabolico è pensare che queste cose non entreranno mai nella vita degli uomini e che, quando accadono, siano una negazione di Dio. Invece, sono l’opera dell’avversario.

Infine, lui – il diavolo – gioca il suo asso e sottopone Gesù al miraggio del potere.

Nonostante le altre due siano fortissime, il potere viene descritto come l’apice di tutte le tentazioni, e come quella che cancella l’essere figli di Dio.

Nelle prime due, infatti, il diavolo dice: “Se tu sei il Figlio di Dio”, l’ultima è proprio tutto il contrario. Avere il potere assoluto ed esercitarlo come tale, significa rinunciare ad essere il Figlio di Dio, che non è venuto per essere servito, ma per servire.

Ci fa capire quanto grande sia questa seduzione, se ci viene raccontata come una prova a cui è stato sottoposto persino Gesù, il quale ci insegna che il miglior argine contro questa rovina dell’uomo è non prestare la propria vita al dio degli idoli, ma al Signore che libera.

Un incredibile densità in un piccolo testo, per avvedersi che la Quaresima è un tempo bellissimo e di autentica grazia evangelica… ma molto serio.

Don Davide




Oltre (Under 20)

Ricordo perfettamente il giorno in cui per la prima volta ho letto di Mosè.

Prima era il nipote del Faraone, ma nella parte iniziale del racconto, non gli viene dato nessun risalto. A un certo punto uccide un egiziano, la sua famiglia gli si ritorce contro e lui scappa.

Torna ad essere uno qualunque. Trova moglie, fa il pastore.

Pensate: dalla famiglia del Faraone a pecoraio nel deserto.

Tutto ha inizio dal suo osare di guardare di nuovo “oltre”.

Cosa c’è ancora da scoprire? Come va avanti la storia?

Non ve lo dico, spero che la andiate a leggere (Esodo 3, per i lettori) o che veniate a messa (trucchetti da prete).

Forse l’avevo ascoltato mille volte e quel giorno l’ho solo focalizzato. Ricordo l’anno, il mese, il giorno della settimana, l’orario del mattino, i luoghi, la luce, i profumi, gli amici con cui ero.

Ma voi direte: “Ok, don Davide…” e perché, di preciso, me ne dovrebbe fregare qualcosa?

Perché è importante il fatto che possa accadere: che una cosa, all’improvviso, ti possa cambiare la vita, senza che tu te ne stia rendendo conto.

Se me ne fossi reso conto, quel giorno, ne avrei avuto una paura pazzesca; invece, adesso ne sono grato.

Spesso, quando noi adulti parliamo su di voi e non con voi, diciamo che il futuro vi fa paura.

Non so se sia vero del tutto. Secondo me, siete molto più coraggiosi di noi.

Ma la cosa che mi interessa è questa: da lì in poi, il racconto di Mosè rivela il vero nome di Dio, per ciascuno che ingaggia l’avventura della vita con lui. Lui si chiama: IO CI SONO CON TE.

 




Olimpiadi della vita (Under 20 testo+video)

Mikaela ha 26 anni e con gli sci ai piedi è la migliore.

La fuoriclasse delle fuoriclasse, quella che nella storia del suo sport sta nel gradino più alto del podio.

Se non ci credete, guardate questa manche(QUI)  in cui, a 20 anni, stabilì il record di vantaggio sulla seconda.

A 22 anni ha conquistato per la prima volta la Coppa del Mondo generale e l’ha vinta per tre anni di fila.

A inizio febbraio 2020, è morto improvvisamente il suo papà, mentre lei era in Europa per le gare. Pensate cosa significhi per una ragazza di 24 anni perdere il padre, essere in un altro continente, tornare con l’ansia che ti consuma. In un’intervista in cui le hanno chiesto cosa volesse ricordare di lui, ha risposto: “Ha insegnato a me e mio fratello di essere gentili con tutti.”.

Mika ha saltato alcune gare, poi è arrivato il Covid. Le competizioni sono state interrotte con anticipo e la Coppa del Mondo l’ha vinta per la prima volta Federica Brignone, stabilendo l’impresa di essere la prima donna italiana a farlo nella storia dello sci femminile.

Quest’anno Mikaela era tornata se stessa, guidando di nuovo la classifica di Coppa del Mondo e arrivando alle Olimpiadi di Pechino da favorita. Invece…

Invece ha sbagliato, uscendo, in tutte e tre le gare in cui è la dominatrice. Una foto l’ha immortalata ai bordi della pista di slalom speciale, rannicchiata in pianto, prima che un’amica arrivi a consolarla.

Per questo fallimento delle aspettative è stata insultata in modo ignobile sul suo profilo Instagram.

Tra tutte le offese tremende e volgari, mi ha colpito quella che le dice: “Stupida bionda”. Non c’è bisogno di commenti; dico solo che l’unica cosa stupida, in questo caso, è l’odio, che è la medesima radice di chi giudica e di chi fomenta le guerre.

Quello che merita un commento, invece, è la risposta di Mikaela a questa vicenda (QUI). Non una risposta agli haters, ma un messaggio a tutte le vittime di odio sui social, di bullismo e di ogni altra forma di cattiveria.

Sarebbe da mettere nei programmi ministeriali delle scuole, andrebbe meditato in parrocchia e in chiesa, e fatto ascoltare da ogni genitore ai propri figli. Dura meno di tre minuti e c’è la traduzione. Non perdetevi per nulla al mondo il finale!

Ritornando sull’argomento in questi giorni, la campionessa ha detto:

Ho vinto nella mia carriera, vincerò di nuovo e, ironia della sorte, vincerò anche grazie a ciò che ho imparato da queste due settimane. Si può fallire senza essere dei falliti.

Scrivetevelo sui muri.

Grazie Mika.




Il setaccio

“Cos’è successo?” continuava a ripetere Frey.
Siv non era certa di saperlo. Un semplice diverbio era sfociato in un viaggio folle e in un ancora più incredibile genocidio. Come poteva dire alla bambina che tutte le persone che conosceva erano morte perché Phasma e Keldo avevano fallito come leader? Non poteva.

(Delilah S. Dawson, Phasma, Mondadori 2018, pp. 299-300)

Quando la realtà è folle, l’unica cosa a cui si può ricorrere per descriverla è la fantascienza o il fantasy. Sono andato, perciò, a ripescare il ricordo di una storia di Star Wars, perché la guerra che ancora macchia il nostro continente mostra un clamoroso fallimento della leadership, che si manifesta tra chi fa il duro, chi ostenta i muscoli e chi spreca l’opportunità di aggregare l’Europa come grande soggetto politico e comunitario.

Già da tempo noi europei avremmo dovuto imparare la lezione delle altre guerre; al contrario, abbiamo dato spettacolo ignobile nella non accoglienza dei migranti e su scaramucce economiche, invece di sfruttare un immenso potenziale per un’utopia di bene.

Mentre papa Francesco da anni parla di Terza Guerra mondiale combattuta a pezzi (che prima o poi, se si continua così, si ricomporranno), proliferano le chiese nazionaliste, che sono cosa ben diversa dalla realtà teologica e spirituale della Chiesa locale definita dal Concilio Vaticano II, e si fatica ad assumere la sfida di una testimonianza veramente evangelica, non esaurita nell’inseguimento della visibilità o nello svuotamento dei segni e del loro significato.

“Quando si scuote un setaccio restano i rifiuti; così quando un uomo discute, ne appaiono i difetti” (Sir 27,5-8) ci ammonisce il Siracide. E Gesù: “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?” (Lc 6,39).

Chi porta i popoli dentro la guerra è un setaccio pieno di rifiuti e un pretenzioso che conduce nella fossa della morte.

Chi vuole seguire Gesù può assumersi la responsabilità di non essere un cieco che accetta di lasciarsi guidare da ciechi.

Abbiamo davanti a noi l’opportunità della Quaresima.

Significa, prima di tutto, riconoscere la trave pesante che è nel mio occhio, quella che non solo non mi fa vedere e discernere, ma che mi porta anche a scontrarmi con gli altri.

Posso percorrere questo tempo di conversione come una supplica di illuminazione interiore e una disponibilità a farmi rischiarare i pensieri, le azioni pastorali e il modo di comportarmi con gli altri, con carità e lasciandoli liberi. Vorrei tornare a parlare seriamente di disarmo, anche nelle parole, nelle metafore che uso e nei gesti che compio.

Infine, devo fare i conti con il potere – con tutti i poteri di cui disponiamo – e rifiutarne le seduzioni e le affiliazioni.

Sento che è una responsabilità innanzitutto mia, qui nel mio contesto, compiendo il mio dovere e disponendomi a entrare con onestà nel digiuno quaresimale.

Don Davide




Chi abita nel tempio?

Il brano di questa terza domenica di quaresima, preso dal vangelo di Giovanni (2,13-25), narra del famoso episodio in cui Gesù scaccia i mercanti dal Tempio. E’ il momento in cui la modalità di Gesù ci sorprende per la decisa scelta di campo: il Tempio è stato invaso. C’è uno spazio da ricreare, in cui vivere la presenza di Dio ad un livello ancora più profondo e sorprendente.
L’evangelista lo pone tra l’episodio delle nozze di Cana e quello di Nicodemo e della sua rinascita necessaria. Perché? E perché la liturgia ci propone questo episodio dopo averci fatto contemplare la Trasfigurazione?
L’umanità è in cammino verso il suo essere nuova: il rapporto con le cose e gli avvenimenti del mondo, il modo di intendere le relazioni umane, la nuova essenza della relazione con Dio, attraverso la predicazione di Gesù del Regno che viene, ci dona prospettive nuove, di rinascita appunto.

 

È la buona novella

Con Gesù, il Tempio (e soprattutto quel tempio divenuto mercato!) diventa un segno e un simbolo: “distruggetelo e io lo ricostruirò in tre giorni”. Lo dice di se stesso, della sua morte e della sua resurrezione, scrive Giovanni. Ma ci ricorda anche che noi stessi siamo tempio dello Spirito proprio per mezzo del mistero pasquale (1Cor 6,19-20).

 

Quali sono dunque i nostri mercanti?

Interiormente produciamo ‘transazioni’ dagli interessi molteplici e forse ne diventiamo sempre più dipendenti. I meccanismi sembrano proprio quelli del Tempio di Gerusalemme: compra-vendite per le offerte al tempio, dimenticando che Dio ci ha fatto ‘uscire dalla condizione servile’ (v. prima lettura della liturgia odierna Es 20,1) per allontanarci dalla condizione dello scambio.

Proprio come si dice per questi tempi che stiamo vivendo, forse è un’altra l’economia su cui basare i nostri sistemi di vita: dalle schiavitù alla libertà. Sì, perché Gesù ci ha liberati dal sistema del do ut des, aprendo definitivamente la via del dono, che è gratuito.

Ognuno può conoscere i propri banchi ben posizionati da tempo e i cambiavalute interiori in un tempio sì intimo, ma senza vitalità divina. C’è un prezzo che si paga nel non riconoscersi tempio dello Spirito. Ma c’è una novità: Gesù con la sua Pasqua ci dice che noi siamo il Tempio nuovo di Dio e la quaresima è il tempo in cui ci alleniamo a rinascere a vita nuova.

Lasciare entrare Gesù nel Tempio della nostra vita, significa lasciare a lui anche la briga di spazzare via gli usurpatori di un posto che spetta a Cristo soltanto. Ritagliamoci dunque tempi di preghiera, minuti di silenzio, semplici meditazioni, durante questi giorni; liberiamo lo spazio interiore dalle cose meno utili e accogliamo il Maestro buono, gratis. E dal gratis arriveremo alla necessità di esprimere gratitudine piena e sincera, senza banchi e cambiavalute.

Anna Maria e Francesco