Immersi nella luce

Il vangelo di questa seconda domenica di quaresima ci porta su di un alto monte, in disparte, dove attraverso Gesù traspare la luce di Dio. Nel suo trasfigurarsi Gesù appare conversare con Elia e Mosè. Di contro, Pietro Giacomo e Giovanni rimangono silenti e impauriti. Possiamo immaginare come Pietro abbia detto di fare tre tende: forse tremante? O col desiderio di essere ospitale con queste figure celesti? O addirittura così felice ed infervorato da voler restare in quella condizione più tempo possibile? … chissà … e noi cosa avremmo detto o cosa avremmo fatto?

Ma ancor prima, ci saremmo fatti portare su un alto monte?

 

L’alto monte e i crocifissi lungo la strada

La quaresima è anche un itinerario verso l’‘alto monte’, è un’esperienza di un cammino a tappe verso una visione luminosa del Cristo risorto. Troppo spesso ci fermiamo all’uomo inchiodato che vediamo benissimo, complici anche tutti i crocifissi che ci circondano. Forse ci siamo pure abituati a tutti i crocifissi del Covid, i numeri impietosi delle vittime quotidiane e dei loro familiari, e sempre più spesso, purtroppo, rimangono soltanto cifre e noi, quasi necessariamente anestetizzati dal dolore dei loro vissuti per non rimanere impietriti nel nostro quotidiano.

 

In alto c’è più luce da far entrare dentro

Per questo, nella nostra quaresima, nei nostri giorni, è necessaria una sosta sull’alto monte per fare un’esperienza della Luce di Dio, il Gesù trasfigurato che anticipa il volto del Cristo risorto. Farci portare sul monte è trovare un luogo adeguato e conversare noi stessi con Gesù, trasfigurando almeno per un istante la nostra quotidianità.
Ma attenzione: non è necessario mettere lì le nostre tende. Torniamo a valle perché è lì invece che ci si misura la nostra vita. Possiamo portare giù dal monte alto l’esperienza senza parlarne perché essa ci invita sì a salirci sempre, ma con lo scopo di diventare sempre più trasparenti portatori della luce di Dio in mezzo ai fratelli, alle persone che avviciniamo in tutti i nostri ambienti.

 

Lo scopo della Luce è illuminare, riscaldare, creare nuova vita per tutti

Platone nel Mito della Caverna ci consegna un’immagine della nostra vita molto stimolante. Ci descrive uomini all’interno di una caverna, legati e obbligati a vedere ombre proiettate come su uno schermo. Per essi quella è la vita. E se anche qualcuno cerca di far capire loro che c’è altro, perché uscendo con fatica da quell’ambiente, ha visto la luce del sole, e per solidarietà é tornato a raccontarlo, viene addirittura malmenato perché ritenuto un imbroglione visionario. Sì, c’è anche questo rischio, ma l’esperienza della luce del sole è troppo forte per non essere condivisa.
Egli è luce ed è presente su ogni alto monte dove ci faremo condurre, come a dire: “torna a te stesso e scopri che sei davvero a mia immagine”. E così, ritorna dai fratelli e dillo anche a loro: sarà allora che scoprirai la forza della luce a valle, nel silenzio della tua stanza e nei vicoli bui del quotidiano. Nulla potrà spegnerla. Mai.

Anna Maria e Francesco




Ricordati, Dio

Quaresima

La Quaresima si apre con Dio stesso che ci conferma nel legame benevolo di alleanza con lui: «Io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri cari e con ogni essere vivente che è con voi» (Gn 9,10). Ogni impegno, ogni sacrificio, sta lì dentro. È un’alleanza che coinvolge tutti gli esseri viventi: tutte le persone che mi vogliono bene, tutte le persone a cui sono in qualche modo legato, persino gli animali che mi fanno compagnia e la natura che amo e in cui mi ristoro.

Con tutti siamo in comunione e viviamo l’inizio di questo impegno quaresimale in questo abbraccio non fisico, ma reale, che ci rinvigorisce.

Siamo protetti da te, Padre e da una corona di fratelli e sorelle, di amici, pure in mezzo a mille difficoltà.

Arcobaleno

Quando Dio giura: «Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutta alcuna carne dalle acque del diluvio, né il diluvio devasterà più la terra» (Gn 9,11) intercetta la paura più recondita e mostruosa dell’animo umano: che la nostra vita sia distrutta, che noi siamo disprezzati, che la nostra esistenza cada in rovina come se non avesse valore.

L’alleanza di Dio ci garantisce che non sarà così, che anche quando nella sua immensa onnipotenza Dio potesse prendere la risoluzione di “distruggerci”, lui non lo farà. C’è un verso bellissimo nel profeta Osea che ci spiega perché: «Perché sono Dio e non un uomo, sono “Diverso” in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira» (Os 11,9).

È tenerissimo Dio, che mette un segno perché sa che “nel tempo” siamo inclini a cambiare le nostre risoluzioni e i nostri proponimenti, e sembra essere preoccupato di questo anche lui.

Così, quando dovesse essere “tentato” si fermerà davanti all’arcobaleno. Anzi, come un divino Cupido, scocca la freccia del suo amore e della sua pace e ci colpisce al cuore. Come un vaccino portato dal cielo, come un vaccino contro ogni male: «Io ricorderò» (Gn 9,15), dice. Ricorda il primo proposito, il momento di chiarezza in cui si è capaci di proiettarsi nel futuro, per sempre, nella luce di quella decisione iniziale, come ci si ricorda dell’innamoramento.

Preghiera

«Ricordati, Dio…» è la preghiera che accede al tuo cuore. Anche nel salmo di oggi la diciamo due volte (Sal 24/25,6-7). Come potresti dimenticarti?! Questa preghiera è la chiave che apre sempre il tuo cuore. Forse è la parola migliore che possiamo dirti, mentre preghiamo, perché se tu non ti ricordassi di noi, se il tuo pensiero non fosse rivolto alla nostra esistenza, noi – semplicemente – spariremmo. Invece, siamo sempre nei tuoi pensieri. Tu ci vegli sempre. E nel momento in cui ti ricordi, ci avvolgi subito con il tuo amore e ci rendi splendenti; non pensi a come siamo nelle difficoltà o a quando siamo tentati, ma ci aiuti ad essere migliori, a trasfigurarci.

Così, è solo nel tuo ricordo che anche noi – come Gesù – possiamo stare con le fiere e allo stesso tempo sperimentare la vicinanza degli angeli. Sì, perché noi siamo tentati, ci lasciamo disorientare, siamo sempre prossimi a imbruttirci, ma poi siamo nel tuo pensiero, anche noi ci ricordiamo di ricordartelo, e scopriamo che tu ci avvolgi con quella benevolenza che fu il tuo primo proposito, come quando ti innamorasti di noi e noi di te, e ci vedi belli e ci fai essere migliori, perché ci ami, e noi siamo ammantanti di luce: da materiali diventiamo spirituali, da uomini vecchi diventiamo nuovi. Stiamo con le fiere e gli angeli ci fanno compagnia.




Un cammino per la vita

Allo start della Quaresima

Il Mercoledì delle Ceneri è il giorno più penitenziale dell’anno (insieme al Venerdì Santo), ed è importante non trascurare questa dimensione; nel sacrificio e nel digiuno ci obblighiamo a considerare la nostra caducità: non siamo infallibili, non siamo sempre forti, non siamo immortali.

Mettersi davanti al simbolo delle Ceneri non è masochismo: significa invece essere saggi. Solo chi esamina se stesso, può camminare verso la vita.

Infatti, questo giorno è come la linea di start di un cammino per la vita.

Con il rito delle Ceneri iniziamo un percorso per liberarci da tutto ciò che ci fa percepire come insopportabile la nostra finitezza e ce la fa riscoprire come un’apertura al compimento: ci libera dalle paure, dall’insoddisfazione e dalla smania di avere tutto; ci insegna invece ad apprezzare chi siamo, l’amore che sentiamo, quello che abbiamo costruito, poco o tanto che sia.

Ci sono tre vie concrete per fare questo, che possiamo seguire insieme alla nostra comunità:

1) Riscoprire la vita interiore (vd. l’iniziativa proposta dall’AC parrocchiale).

2) Vivere le celebrazioni con la comunità (il mercoledì delle Ceneri, le messe delle domeniche di Quaresima, il Triduo Santo).

3) Amare i nostri compiti e le nostre responsabilità in questi 40 giorni, con serenità e con pace.

Allora pronti allo start? Invece di indossare abbigliamento tecnico e di mangiare barrette energetiche, però, solo per un giorno, ci vestiamo di sacco e ci disponiamo al digiuno.

Suggerimenti per dialogare con il Signore ispirati alle celebrazioni di San Valentino




Una prova, tre tentazioni

“Prova” e “tentazione” nella lingua del Nuovo Testamento potrebbero essere considerati come sinonimi. Nella prima domenica di Quaresima si parla delle tre tentazioni di Gesù. Anche noi, a partire dalla prova che stiamo subendo, potremmo subire alcune tentazioni. Vale la pena metterle in luce, per non essere sedotti e lasciare che una prova si trasformi in peccati ben più gravi di quello di saltare il “precetto festivo” che sembrava preoccuparci tanto.

La prova è quella, ovviamente, del virus che all’inizio ha spaventato tutti e ora, dopo che abbiamo conosciuto il nemico, sembra essere un po’ meno mostruoso.

Come atteggiamento quaresimale di solidarietà con i più deboli e poveri, dobbiamo innanzitutto riconoscere come questo virus, che ha colpito l’Occidente, abbia gettato l’allarme, mentre quelli che generano vere e proprie epidemie nei paesi poveri del mondo ci lascino sostanzialmente indifferenti. C’è un elemento di serietà e di fratellanza da riscoprire e che ci interpella come condizione necessaria della nostra sensibilità cristiana.

tre tentazioni

La prima tentazione è di farci prendere dal panico, e di dimenticare le dinamiche più ovvie di comunione fraterna. “Non di solo pane vive l’uomo” risponde Gesù nella prima tentazione. L’uomo ha un alimento per la sua intelligenza e per il suo spirito: la reazione di accaparrarsi le scorte di fronte alla prima minaccia, assomiglia tanto al dare sfogo al criterio: mors tua vita mea, come se uno si dovesse preoccupare solo di sé e non del fatto che c’è un legame sociale da mantenere. “Non di solo pane” ci ricorda anche che alcune dinamiche del convivere che diamo per scontate, in realtà devono essere custodite proprio dalla nostra vigilanza spirituale, oserei dire dalla nostra magnanimità, una virtù di cui tutti dovremmo avere più cura. Nelle situazioni di vera crisi, solo donne e uomini dalla grande anima hanno offerto risposte e soluzioni significative.

La seconda tentazione, che è molto connessa alla prima, è di confondere lo spirituale con il mondo fisico. “Buttati – dice il diavolo – gli angeli ti custodiranno!” Quasi come a dire: “Vai nudo al centro dell’epidemia, se hai fede non ti accadrà nulla!” Gesù risponde con grande precisione che non è così che funzionano le cose. Lo spirituale si è incarnato nelle dinamiche fisiche e creaturali del mondo: questo è lo specifico cristiano. Non serve dire: “Se noi preghiamo, l’epidemia non arriverà!” e tutto il corollario di analoghe frasi spiritualistiche. Tutto il buono, invece, passa dal legame di alleanza con Dio e con i fratelli. Dobbiamo chiederci: cosa posso fare per custodire la presenza di Dio in me e l’amore per i fratelli a partire dall’amore di Dio? Porsi questa domanda significa stare nel faticoso lavoro della vita spirituale e dell’apprendimento della sapienza cristiana e della saggezza pastorale della chiesa.

La terza tentazione è quella del potere. È ben più che una tentazione ed è sotto gli occhi di tutti: attraverso i social o lo scempio che fanno alcuni politici, l’inclinazione a sfruttare una situazione grave a proprio vantaggio, l’occasione di volere avere ragione o di dire l’ultima parola, o di essere più forti degli altri. Gesù ci mostra, senza mezzi termini, che questa tentazione può solo essere scacciata: “Vattene!” dice al diavolo, mostrando che dobbiamo avere un’opposizione radicale a questi atteggiamenti che risvegliano in noi il desiderio sottile di dominare, di avere potere, di essere migliori degli altri. “Vattene!” è l’unica parola da opporre: l’unica forza che ci permette di non mettere una barriera tra noi e gli altri e di non allontanarci irrimediabilmente da Dio.

Don Davide




Sotto le ceneri l’incendio

Dalle Ceneri alla Veglia di Pasqua

«Non può essersi spento / o languire troppo a lungo / sotto le ceneri l’incendio. / Siamo qui per ravvivarne / col nostro alito le braci, / che duri e si propaghi, / controfuoco alla vampa / devastatrice del mondo.» (M. Luzi)

Bernardo Gianni, monaco olivetano, abate di S. Miniato al Monte (FI), cita questa poesia all’inizio della sua predicazione degli esercizi spirituali al Papa, nel 2019.

Si parla di un fuoco, come di braci, che non può rimanere ancora soffocato sotto la cenere. È il fuoco dello Spirito e di un risveglio della fede. La cenere è prodotta dalla “vampa devastatrice del mondo”, che sia il clima di un pianeta che sta bruciando a causa del nostro peccato ecologico, o la follia delle guerre e dell’odio, o del nostro peccato che ci allontana dall’amore di Dio.

È come il bombardamento di una guerra spirituale, al quale bisogna opporre una contraerea. “L’alito” della poesia è metafora del soffio vitale. Siamo chiamati a suscitare questo fuoco nuovo con la nostra vita, ma tutti sappiamo che non basta soffiare sulle braci per arrossarle. Perché si rigeneri il fuoco ci vuole altra legna: dobbiamo portare ancora qualcosa della nostra esistenza, altri cuori che ardano.

In questi pochi versi, così, il poeta disegna l’itinerario quaresimale: dalle Ceneri al fuoco nuovo della Veglia Pasquale, pronto ad ardere con l’offerta della nostra vita, ravvivata dallo Spirito.




La Croce

La liturgia del Venerdì Santo è una celebrazione intima e di grande raccoglimento. Si inizia in silenzio, prostrandosi davanti all’altare e al presbiterio completamente spoglio. Anche la sede viene spostata davanti alle panche, nell’assemblea, perché tutti – chi presiede la celebrazione, i ministri e il resto del popolo di Dio – siano di fronte al mistero della Passione, in ascolto della Parola.

Segue, infatti, la liturgia della Parola e la proclamazione della Passione dal Vangelo secondo Giovanni. Ci sarà poi la grande preghiera universale, che si eleva in risposta alla parola di Dio e che viene come depositata davanti alla Croce. Il senso di questa lunga preghiera (sono ben dieci!) è proprio quello di essere una ricapitolazione di tutte le suppliche più indispensabili elevate al cielo davanti al grande mistero della redenzione.

Mi piacerebbe, in quest’occasione, fare un piccolo segno. Dieci persone diverse avranno una candela ciascuno. Ad ogni invocazione una candela verrà accesa, rimanendo sul posto. Poi, durante la processione per il bacio della Croce, che seguirà poco dopo, chi ha la candela la deporrà ai piedi della Croce a nome di tutti, come segno di collegamento tra la preghiera e l’adorazione della Croce.

È un gesto molto semplice, per cui chiedo il vostro aiuto. Se qualcuno è disponibile ad accendere e portare la candela, prego di farmelo sapere con anticipo, in modo da organizzarci. La partecipazione attiva di più persone alla liturgia è uno dei grandi auspici della riforma liturgica del Concilio Vaticano II.

Il momento culminante di questa celebrazione è l’adorazione della Croce. Avendo il grande Crocifisso che viene venerato quotidianamente, vogliamo valorizzarlo in questo giorno santo. La Croce che si leverà davanti ai nostri occhi e sulla nostra assemblea sarà proprio il grande crocifisso devozionale. Ovviamente non è possibile portarlo in processione, quindi faremo il rito sul posto.

La Croce verrà svelata per tre volte, dopo ciascuna ci sarà l’incensazione e l’invocazione: “Ecco il legno della croce, a cui fu appeso il Cristo, salvatore del mondo!”, a cui l’assemblea risponderà: “Venite adoriamo” e la luce che illumina la Croce aumenterà di intensità. Nel passaggio tra uno svelamento (e la corrispettiva invocazione) e l’altro, simmetricamente verrà velato un pezzo del trittico In memoria di me. Così si evidenzia il passaggio dalla adorazione dell’Eucaristia, a quella della Croce, che si ergerà in chiesa, fino alla Veglia di Pasqua.

Ancora una volta, l’incensazione riservata a questo momento ci richiamerà al significato forte della seconda manifestazione del sacrificio di Gesù: la sua morte in Croce per riscattare il peccato e per amore degli uomini.

La celebrazione termina con la preghiera del Padre nostro, ripetendo l’estremo atto di affidamento al Padre di Gesù crocifisso, e l’orazione finale. Ricordiamo che – per scelta della comunità parrocchiale e con lo scopo di concentrarsi sui momenti diversi del Triduo – non verrà distribuita la Comunione. La partecipazione al sacrificio di Gesù, infatti, nel Venerdì Santo viene espressa dall’adorazione e dal bacio della Croce.

 Don Davide




La mensa

La liturgia del Giovedì Santo si apre con la presentazione degli Olii, consacrati dal vescovo nella celebrazione mattutina della Messa Crismale.

La processione introitale avanza con l’incenso, dopo il saluto iniziale vengono portati gli olii sacri: l’olio dei catecumeni, l’olio degli infermi e il Crisma. Quando tutti gli olii si trovano sul tavolo davanti all’altare e solo allora, viene incensato l’altare insieme agli olii sacri. È il segno che dalla Pasqua scaturiscono tutti i sacramenti, di cui il culmine e la sintesi è proprio l’Eucaristia. Nella celebrazione del Giovedì Santo, infatti, si ricorda e si celebra il dono dell’Eucaristia da parte di Gesù. Il suo significato è talmente grande che viene approfondito anche attraverso il segno della lavanda dei piedi: la chiesa che viene edificata dai sacramenti è la chiesa del servizio, la chiesa che si china ai piedi di ogni discepolo e di ogni uomo o donna e li accoglie. È la “chiesa del grembiule”, per dirla con le parole di don Tonino Bello.

L’incensazione iniziale non vuole certamente essere un gesto di solennità fine a se stesso – che sarebbe solo il segno di una chiesa che non c’è più – ma aiutarci a riconoscere quale sia, davvero, la cosa più sacra che abbiamo nella nostra vita cristiana: i sacramenti che ci insegnano il servizio.

Questa incensazione viene ripresa al termine della messa, quando l’Eucaristia sarà portata all’altare della reposizione per essere venerata fino alla Celebrazione della Passione del Venerdì Santo. È la preghiera con Gesù nel Getsemani; è la sosta davanti alla prima manifestazione del sacrificio di Gesù: il dono del suo corpo e del suo sangue nell’Ultima Cena.

Quest’anno l’altare della reposizione sarà allestito nella cappellina della Beata Vergine della Salute, uno spazio sacro molto caro, riservato e intimo che, come indica la liturgia del Triduo Pasquale, si trova fuori dall’aula liturgica. Dopo la Messa nella Cena del Signore la chiesa deve rimanere completamente spoglia, come segno che ci troviamo nei giorni della Passione. Ci tengo a focalizzare questo segno: il presbiterio e la chiesa completamente spogli, perché siano totalmente rinnovati nella grande Veglia di Pasqua. Anche le candele, in quei giorni, non si accendono ai santi, ma solo davanti alla cappellina dove si custodisce l’Eucaristia.

Sono giorni diversi, unici e tutto nella chiesa lo deve sottolineare.

Il nostro trittico di Ettore Frani, In memoria di me, si erge così accanto alla custodia del Santissimo Sacramento quasi come un indicatore. Nella sua frontalità ci rimanderà al mistero che veneriamo lì accanto e, lo vedremo, sarà anche un segno del passaggio dalla liturgia del Giovedì a quella del Venerdì Santo.

Don Davide




Il Triduo e l’incenso

A partire da questa domenica ci prepariamo alle celebrazioni pasquali nella nostra parrocchia. Lo facciamo prendendo spunto dal fatto che nelle letture di questa domenica si comincia a parlare direttamente della Pasqua, prima attraverso il ricordo della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, poi in due immagini di riconciliazione, di cui la storia del figlio prodigo e del Padre misericordioso è una vera e propria resurrezione di quel figlio che era morto ed è tornato in vita.

Non si tratta soltanto di fare una catechesi sui giorni di Pasqua, ma di disporci a vivere le celebrazioni dei giorni santi come sorgente di una spiritualità personale e comunitaria. La liturgia, infatti, è il modello e l’alimento di ogni vita spirituale autenticamente cristiana. È importante riconoscere che tutta la nostra vita cristiana si arricchisce dalla liturgia del Triduo Pasquale e che non è indifferente celebrarla in una chiesa qualunque: la Pasqua, secondo la tradizione ebraica, si celebra in famiglia, perché i grandi possano aiutare i piccoli a comprenderne il vero significato. Lo stesso si può dire della parrocchia: nei limiti del possibile la Pasqua si celebra in parrocchia, con la propria comunità, con cui si condividono ideali, una storia e una ricerca di significato.

Che cosa significa questo rito? Questa è la domanda che dovrebbe sorgere dalla bocca del più giovane, e pronta dovrebbe essere la risposta dei più anziani: eravamo stranieri nel paese di Egitto… Ossia: la Pasqua ci riguarda, non parla della vita degli israeliti in Egitto, o dei primi cristiani al tempo di Gesù, la Pasqua parla di noi, di me e di te e della Chiesa.

È fondamentale, perciò, sapere che il Triduo Pasquale non è la ripetizione di un rito sempre uguale: ma ci sono delle scelte che facciamo come parrocchia, delle sottolineature che devono permetterci di cogliere la ricchezza dei segni che si celebrano, per essere poi trasportata nella vita.

Da domenica prossima vorrei dunque parlare dei tre segni per eccellenza della presenza di Gesù nel Triduo Pasquale:

1. Gli olii, l’altare e l‘eucaristia (giovedì santo)
2. la Croce (venerdì’ santo)
3. Il Cero Pasquale (sabato santo)

Questi tre segni scandiscono il ritmo delle celebrazioni dei tre giorni e ci richiamano al senso di quello che stiamo celebrando e al modo – se possiamo dire così – della presenza di Gesù in mezzo a noi. Questi tre segni sono anche gli unici che verranno incensati durante le celebrazioni, in modo che la solennità dell’incenso riservata a questi momenti, tra tutti quelli che la liturgia pasquale potrebbe prevedere, ci aiuti a focalizzarne subito l’importanza. Quando vedremo l’incenso, invece di pensare al pretesto di un’inutile sontuosità, la sobria solennità dell’incensazione dovrà risvegliarci l’attenzione e farci ricordare che quel segno è il simbolo riassuntivo e denso di significato delle celebrazioni che stiamo facendo. Così, a Dio non salirà solo la nostra preghiera, ma anche la nostra attenzione e da lui scenderà una forza che risanerà il nostro cuore e ci farà compiere tutti i passaggi necessari per vivere.

(continua domenica prossima)

Don Davide




A colpi di fioretto

Nella riflessione di domenica scorsa ho indicato come via privilegiata per vivere spiritualmente l’itinerario quaresimale il fatto di dare rilievo e partecipare ai tre importanti appuntamenti comunitari che ci aspettano: gli Esercizi spirituali parrocchiali (1); l’Assemblea di Zona pastorale (2); la Festa dell’Incontro (3).

So bene, però, che la nostra educazione religiosa non ci fa sentire “bene” se non facciamo almeno un “fioretto”.

Vorrei provare, allora, a indicare quali caratteristiche deve avere un “buon” fioretto, per essere proficuo per la nostra vita cristiana e per sfuggire alla presunzione di essere giusti davanti a Dio (cfr Lc 18,9).

Mani che porgono una candelaPer prima cosa, dunque, un fioretto non deve essere una cosa che ci mette nell’atteggiamento di conquistare la giustizia o di meritare il premio. Bisogna sempre guardarsi dagli atti di superbia davanti a Dio, che sono la cosa più pericolosa per un cammino spirituale. Al contrario, un “buon” fioretto dovrebbe essere un impegno che ci aiuta a fare spazio all’azione e alla grazia di Dio. Un’operazione di sgombero e non di riempimento. In quest’ottica, il silenzio, la rinuncia a qualcosa che ci distrae, il sacrificio del tempo per una cosa più importante possono essere attenzioni ben calibrate.

Il fioretto, poi, è indubbiamente una mortificazione e non dobbiamo edulcorare questa parola, come se fosse un principio dei secoli bui. La mortificazione – come trattare il proprio corpo duramente in allenamento – è un metodo indispensabile per allenare la nostra volontà. Perciò rinunciare alla cioccolata, alla Coca-Cola, al caffè, al vino, alla Play-station può essere certamente un piccolo esercizio di mortificazione. Ci possono essere anche attenzioni più importanti e significative: mortificare un interesse o una curiosità, evitare una spesa; rinunciare a qualcosa per fare qualcosa di migliore… Il punto è non vivere queste cose come un atto eroico, ma come un esercizio per essere più pronti a vivere con attenzione la dimensioni spirituali della Quaresima.

Infine, un buon fioretto deve essere orientato alla conversione. In realtà non è molto utile se io sono goloso, fare il fioretto di non mangiare dolci, se prevedo che alla fine della Quaresima mi ingozzerò di pasticcini. Molto più utile è pensare qualcosa che educa piano piano i nostri atteggiamenti. L’insegnamento dei grandi maestri della vita spirituale ci dicono che la correzione dei propri vizi è un lavoro faticosissimo, che va preso con tutta la serietà del caso. Spesso è impossibile senza la grazia, nonostante ciò è prezioso per l’obiettivo che si pone: la lotta spirituale, il fuggire il male con orrore (cfr Rm 12,9), il non lasciare andare se stessi.

Il vangelo di questa domenica ci presenta Gesù che si scontra con le tentazioni di Satana. Anche lui si misura nella lotta spirituale, ci dà l’esempio di come si fronteggia il male ed è il nostro modello di umanità. Forse, Gesù non aveva bisogno di allenarsi con i fioretti, però sappiamo che digiunò quaranta giorni… Altro che fioretto! Teniamo fisso lo sguardo su di lui per vivere con la stessa intensità e lo stesso impegno il nostro cammino di apertura alla grazia.

 Don Davide




Quaresima 2019

Tempo favorevole per l’incontro con Dio 

Con la liturgia dell’imposizione delle ceneri comincia il tempo forte di Quaresima, tempo liturgico qualificato come “momento favorevole” e “giorno della salvezza” (2Cor 6,2), cioè tempo appropriato per vivere la riconciliazione con Dio e con i fratelli, tempo in cui fare esperienza della gratuità della salvezza di Dio verso di noi, e tempo in cui essere strumenti di salvezza per gli altri.

Il colore liturgico che accompagna i quaranta giorni penitenziali della Quaresima è il viola, colore che esprime la penitenza, l’attesa e la speranza, la preparazione alla piena manifestazione della luce che esploderà la notte di Pasqua con il cambio in bianco dei paramenti liturgici. 

Albero di ulivo e rocceIl percorso quaresimale è segnato da due movimenti apparentemente opposti, ma in realtà convergenti nell’obiettivo. Il primo è il movimento di ritorno dell’uomo a Dio, e il secondo è il rivolgersi di Dio all’uomo. 

Le opere che il Vangelo e la tradizione della Chiesa ci suggeriscono, gli impegni quaresimali che esprimono la nostra conversione, l’elemosina, la preghiera, il digiuno, sono la nostra risposta a questa iniziativa redentiva partita da Dio: risposta che non va sbandierata, che non deve essere per noi motivo di autocompiacimento, proprio perché non ha la sua origine in noi, ma in questo atto di misericordia gratuita e infinita con il quale il Signore ci ha amati nel dono del Suo Figlio. Esercitare la carità, coltivare la comunione con il Padre nell’orazione, esercitarsi nelle rinunce ai beni relativi di questo mondo, sono esigenze che devono nascere da un cuore che ha preso coscienza di quanto folle sia stato il nostro dare le spalle a Dio con il nostro peccato, noi che siamo solo polvere e cenere; devono essere atteggiamenti di conversione che ci restituiscano all’abbraccio del Padre, che abita nel segreto, nell’intimo della nostra coscienza, e non cessa di invitarci a tornare a Lui, specialmente nel “tempo favorevole” della Quaresima, che oggi si apre. 

Don Davide