Dietro al gusto c’è una storia

LA QUARESIMA

Al contrario di quello che si potrebbe pensare, la Quaresima è un itinerario “saporito”. Non un percorso in cui il digiuno e la penitenza ci farebbero perdere il gusto delle cose, ma l’occasione di riapprezzarne il vero sapore, diventando consapevoli che dietro ad ogni buon gusto c’è una storia.

Dietro alla vittoria di un atleta olimpico ci sono quattro anni di allenamenti intensi. Dietro al traguardo di una laurea ci sono tanti esami e tanto studio. Dietro al piatto più buono che abbiamo mai mangiato, c’è un’attenta selezione di sapori e una lunga preparazione.

Iniziamo il cammino spirituale della Quaresima con il desiderio di preparare il gusto della Pasqua e quindi anche di disporci ad assaporarlo. Per apprezzare i sapori, lo sappiamo, bisogna purificare quelli che potrebbero corromperli, lavare ciò che è venuto prima. Così è la Quaresima: non un tempo per intristirci con cose insipide e amare; ma un modo di rendere più sensibile il nostro appetito spirituale.

AL FIANCO DEL PERCORSO DEI BIMBI

Lo facciamo, innanzitutto, affiancandoci ai bimbi del catechismo, che scandiranno le cinque domeniche che precedono la Domenica delle Palme, con altrettante tappe che li aiuteranno (e ci aiuteranno) ad apprezzare il gusto del pane, ma soprattutto il suo significato, cioè il grande dono eucaristico di Gesù nel Giovedì Santo e nella Pasqua. Queste cinque tappe sono: 1) Seminato; 2) Maturato; 3) Raccolto; 4) Macinato; 5) Impastato.

Sembra un percorso per bambini, ma in realtà riprende esplicitamente la prima riflessione eucaristica della grande tradizione della Chiesa, in un testo datato I-II secolo d.C. dal titolo Didaché, dove l’autore riflette sulle analogie tra il processo del pane e l’itinerario spirituale dei credenti che celebrano l’eucaristia.

L’IMPEGNO DEGLI ADULTI

Oltre a questo, il percorso della Quaresima per la nostra comunità è ricco di momenti importantissimi. Mi permetto di suggerire, perciò, un atteggiamento di conversione anche per gli adulti per vivere proficuamente questo tempo speciale, senza dimenticare un impegno penitenziale concreto, ma privilegiando il cammino comunitario che lo sostiene e gli dà significato.

Domenica prossima vorrei proporvi una riflessione su quali caratteristiche debba avere il classico “fioretto” per essere significativo. Oggi, invece, voglio indicarvi le tre tappe da privilegiare per vivere la Quaresima come vero itinerario spirituale, di conversione ed ecclesiale.

  1. Gli Esercizi spirituali parrocchiali

Subito dopo il Mercoledì delle Ceneri, la parrocchia ha organizzato tre giorni di preghiera, di meditazione e di adorazione eucaristica, che si sovrappongono alle tradizionali “40ore” col desiderio di reinterpretare questo appuntamento. Suggerisco di individuare almeno un momento a cui partecipare, tra tutti quelli proposti. Sono gli “esercizi spirituali parrocchiali” e l’obiettivo è di accordarsi su una nota spirituale condivisa, all’inizio della Quaresima.

  1. La prima Assemblea di Zona pastorale

Domenica 17 marzo avremo la Prima assemblea plenaria della nostra Zona Pastorale San Felice. È il momento che segna l’inizio concreto della conversione pastorale che siamo chiamati a vivere e, sicuramente, partecipare vale più di tutti gli impegni di conversione che possiamo immaginare di prenderci. In questo caso faccio anche un auspicio: mi piacerebbe che ci fossimo tutti, nessuno escluso. Celebrazioni solenni a parte è l’appuntamento più importante dell’anno.

  1. La Festa dell’Incontro

Seguendo l’invito che papa Francesco ha rivolto alla chiesa universale, anche la nostra parrocchia vuole fare una festa per incontrare tutte le persone con cui abbiamo stretto legami di amicizia e di conoscenza nelle attività della Caritas, della San Vincenzo e del VAI, o anche semplicemente le persone che vengono a chiedere aiuto.

La festa sarà domenica 24 marzo, preceduta da un momento di preghiera guidato dai giovanissimi mercoledì 20 marzo.

Nelle prossime settimane illustreremo meglio il significato e le modalità della festa, ma intanto suggerisco di tenere bene a mente che essere sensibili a questo appuntamento, partecipando e condividendone l’intenzione, è un modo molto adatto e coerente di vivere la carità che la Quaresima prescrive.

Don Davide




La preghiera

Avvicinandoci ormai alla Pasqua, prendiamo in considerazione l’ultima delle opere della Quaresima, che mirano a creare in noi le condizioni di una vera conversione.

La prossimità della Pasqua è tanto più significativa, in questo caso, in quanto la preghiera ci mette in relazione diretta con il Dio della vita: il Signore presente e vivo nella nostra vita e il Padre suo, che ogni vita raccoglie nelle sue mani, donando a ciascuna il suo amore.

La preghiera, quindi, specialmente in Quaresima, si intende senza dubbio come fedeltà pratica: l’impegno a partecipare a un’eucaristia settimanale, o il proposito di leggere le letture della messa quotidianamente, o la scelta di qualche momento di raccoglimento in chiesa.

Questa atteggiamento programmatico e concreto è indispensabile nel cammino della Quaresima e riflette anche un bel grado di umiltà: piegarsi a una fedeltà piccola, quotidiana, con la fiducia che il Signore ne farà un’occasione per la sua grazia.

Ma la preghiera, soprattutto, è una questione di fiducia. La preghiera nella luce della Pasqua ci interpella su questo punto: abbiamo fiducia che la nostra supplica non sia vana? (cf. 1Cor 15, 58). Riusciamo a vincere quella resistenza tremenda che ci fa dire che in fondo non conta niente, che noi preghiamo ma tanto il Signore non ci esaudisce, che le cose non cambiano, pensando che un atto di fiducia nel Dio della Vita non può che essere assoluto? Viene in mente la stupenda preghiera dei tre condannati nel libro di Daniele, forse uno dei passaggi più belli sulla preghiera dell’intera Bibbia.

Tre giudei alla corte di Nabucodonosor si rifiutano di adorare la statua d’oro che il re ha fatto erigere. Con la tracotanza che caratterizza i sovrani, Nabucodonosor li minaccia, arrivando a chiedere loro: “Quale dio vi potrà liberare dalla mia mano?” (Dn 3,15). I ragazzi danno una risposta che in un paio di versetti è il miglior trattato sulla preghiera che possiamo immaginare: “Noi non abbiamo bisogno di darti alcuna risposta in proposito; sappi però che il nostro Dio, che serviamo, può liberarci dalla fornace di fuoco ardente e dalla tua mano, o re. Ma anche se non ci liberasse, sappi o re che noi non adoreremo mai i tuoi dei e la statua d’oro che hai fatto erigere.” (Dn 3,16-18).

I punti cruciali sono due.

Il primo: “non abbiamo bisogno di darti alcuna risposta in proposito”. La fiducia in Dio è assoluta: non richiede prove, non esige conferme. Accetta lo scherno e la tracotanza di chi pensa di sottolineare l’evidenza, mostrando che Dio non c’è.

Il secondo: “anche se non ci liberasse”. La fiducia e la forza della preghiera non è per nulla condizionata dal suo esaudimento inteso come lo vorremmo noi. Potremmo rileggere la frase così: “Anche se non ci liberasse come vogliamo noi, noi sappiamo che lui effettivamente ci libererà…”.

Viene in mente l’atroce preghiera di Gesù nel Getsemani, la sua morte senza risposte, il misterioso esaudimento nella resurrezione.

La preghiera è così: un atto puro di dialogo d’amore con il Dio della vita che si svolge in un credito di fiducia totale, per nulla condizionato a un tornaconto. Il gustare l’amicizia con Dio e l’affidarsi a lui, con la fiducia piena, assoluta, mai incrinata, che la sua bontà e sapienza sorpassano ogni cosa.

Don Davide




Digiuno

La seconda opera di conversione della Quaresima è il digiuno.

Non siamo più abituati a digiunare, forse anche perché troppo assuefatti ad avere tutto.

L’astinenza dalla carne, il venerdì, è diventata una pratica più formale che altro, se poi la sostituiamo con dei buoni manicaretti di pesce. Il digiuno di un pasto è quasi insignificante, quando nei ritmi di lavori quotidiani, già accade che si mangia veloce, magari un panino, o in piedi o un piatto di insalata per riprendere il lavoro.

Eppure, il digiuno alimentare conserva la sua efficacia, se ci aiuta a fare un gesto realmente penitenziale e a sentire la fame, la fatica, per condividere questa triste esperienza con chi è costretto a vivere in simili condizioni.

Il digiuno, per essere significativo, dev’essere scelto liberamente. Chi sceglie di fare il digiuno alimentare, in qualche forma umile e realista, deve trovare il modo di viverlo autenticamente, altrimenti è meglio lasciare perdere. Se si deve fare per pura formalità, non vale. Chi lo fa, sperimenta che effettivamente la pratica del digiuno scava nella nostra vita: ci rende più attenti alla preghiera, più sobri e più presenti a noi stessi.

Spesso, il digiuno alimentare, viene accompagnato dalla carità, quando si dà in beneficienza il corrispettivo di quello che si sarebbe speso per mangiare. È una pratica molto buona per dare significato al digiuno.

Oltre a questo, soprattutto nei testi dei profeti, vengono indicati tanti altri modi per praticare il digiuno affinché sia vero strumento e segno di conversione.

Il primo è astenersi dalle parole malvagie, dalle parole violente. Pensiamo a come è il nostro parlare: spesso è animato da rabbia, da verbosità, da grinta, cattiveria e giudizio. Sforzarsi di essere sobri di parole e convertire le parole cattive in parole buone, evitare i giudizi e i risentimenti è una via per praticare il digiuno efficacie, anche se difficile.

Il secondo modo è di limitare tutto ciò che ci fa sottrarre tempo agli affetti che contano. Passare un po’ più di tempo con la persona amata invece che su Facebook o davanti alla tv, giocare di più con i figli, sedersi e farsi raccontare la propria giornata dai ragazzi, scambiare una parola gentile con un collega di lavoro o con i propri dipendenti sono tutte pratiche di vero digiuno, inteso nel significato a cui ci richiama la Bibbia.

Il terzo atteggiamento è di ricordarci dei poveri, di avere presente i loro volti, di pensare che anche se non possiamo aiutarli adesso, non ci dimenticheremo comunque di loro, affinché, come abbiamo pregato domenica scorsa, non diventino trasparenti per noi, e noi per loro.

Gesù, nel vangelo, in un celebre passaggio afferma che certi demoni non si possono affrontare se non col digiuno. Chiediamo la grazia, attraverso il digiuno, serio e scelto, di poter affrontare i nostri propri dèmoni, e di sconfiggerli alla luce della Pasqua di Gesù.

Don Davide




Quaresima, tempo di elemosina e carità

Elemosina

La Quaresima è caratterizzata, nella grande tradizione della Chiesa, da tre opere, che sono opere di conversione, per lasciare spazio alla grazia di Dio nella nostra vita: l’elemosina (o carità), la preghiera, il digiuno.

In questa e nelle prossime due domeniche, vorrei dare alcuni suggerimenti per vivere ciascuna di queste opere, per chi senta il bisogno di farlo e voglia provare a vivere la Quaresima con intensità.

Iniziamo, in questa domenica, con l’elemosina, che vorremmo tradurre come aiuto concreto nella dimensione caritativa.

 

La carità in parrocchia

Ci sono due modi di aiutare la carità fattiva e la Caritas parrocchiale: uno è molto pratico, l’altro riguarda il proprio tempo.

Come molti sanno, tutti i martedì la parrocchia fornisce un po’ di spesa (la “sportina”) a circa 70/80 nuclei famigliari. In più, grazie alla S. Vincenzo, vengono aiutate altre 25/30 famiglie. Quando si tratta di alimenti, questi aiuti vengono dati:

  1. Con l’approvvigionamento mensile al Banco Alimentare
  2. Con il contributo della raccolta al Conad
  3. Acquistando i generi che mancano

La parrocchia vorrebbe “arricchire” la sportina che diamo alle famiglie. Il modo concreto di vivere l’elemosina nel tempo di Quaresima, dunque, potrebbe essere quello di collaborare, mettendo nel cesto della Carità i generi più essenziali. A questo scopo, chiediamo solo:

  • PASTA
  • TONNO
  • LATTE
  • PASSATA O SUGO DI POMODORO

 

Ci può essere, poi, un modo legato alla disponibilità del proprio tempo. Oggi siamo tutti molto impegnati, quindi molte persone pensano di non potere aiutare, anche se magari lo desiderano, a causa della mancanza di tempo. Ma non è necessario avere sempre tanto tempo e costante a disposizione. Per alcune cose, si può fare tantissimo, con il pochissimo tempo di tanti. È un principio molto contemporaneo: con moltissime persone che danno pochissimo, si può accumulare un enorme capitale. In questo caso non parliamo di capitale monetario, ma del capitale del tempo!

Ecco perciò, alcuni spunti per aiutare la Caritas, facendo l’elemosina – letteralmente con pochi spiccioli – del proprio tempo. Qui vi scrivo che cosa accade e di cosa si tratta; rispetto a questo, ciascuno potrebbe dire anche: io do la mia disponibilità in questa cosa, anche solo una volta al mese, oppure una volta ogni due mesi… ecc. ecc. È come un mosaico: con tante minuscole tesserine, si può fare un disegno bellissimo!

  1. Lunedì pomeriggio, 1 volta alla settimana, 1 ora: è necessario trasferire le cose che verranno distribuite il martedì mattina, dal magazzino della Caritas alla sala dove vengono servite le persone.
  2. Giovedì mattina, 1 volta al mese, di mattina: per collaborare, a seconda della disponibilità, all’approvvigionamento al Banco Alimentare (guidare il pullmino con patente B2; aiutare nello scarico delle merci; accompagnare nel viaggio alla sede del Banco a Imola)
  3. 1 volta al mese, dopo il Banco Alimentare: per aiutare a preparare le sportine per le famiglie assistite dalla S. Vincenzo
  4. Sabato mattina, 1 volta al mese, 2 ore: per aiutare nella raccolta al supermercato Conad.
  5. 1 volta alla settimana, 1 ora: per aggiornare i registri degli alimenti distribuiti (AGEA)

 

Tanto con poco

Come vedete, dietro alla apparentemente semplice attività caritativa della parrocchia, anche considerando soltanto gli aiuti alimentari (ricordo che le persone della parrocchia fanno tanto altro…) c’è un’organizzazione considerevole, ma anche con un piccolo contributo di tempo di un grande numero di persone, possiamo fare tanto.




Quaresima, il tempo della parola

La Quaresima si caratterizza come un tempo in cui disporsi all’ascolto della Parola di Dio, e nel quale la liturgia è particolarmente curata.

Vorrei proporre, perciò, due semplici attenzioni, molto pratiche, per correggere un difetto che è diventato comune nella nostra celebrazione.

I lettori della Parola di Dio

Al termine dei Riti di Introduzione, nella messa, dopo il canto del Gloria si dice la Colletta. La Colletta è una preghiera importantissima, perché dopo un breve momento di silenzio introdotto dall’invito “Preghiamo” raccoglie (dal latino “collatio”) tutte le intenzioni di preghiera dell’assemblea, in una preghiera comune, che intona tutta la celebrazione con l’ascolto della Parola di Dio che verrà proclamata subito dopo. La Colletta è come il diapason per prendere la nota, per intonare la grande sinfonia di ascolto, preghiera e offerta seguenti. La Colletta è come il riscaldamento di un atleta prima della gara. Sappiamo bene che un’orchestra non può iniziare su tonalità differenti e che un’atleta non può saltare il riscaldamento prima della gara. Durante la Colletta, quindi, ci deve essere il massimo raccoglimento e la massima concentrazione di tutti.

Invece, ho notato che ultimamente i lettori tendono ad alzarsi per recarsi all’ambone durante la Colletta. Quest’uso è assolutamente sbagliato, per due motivi principali. Il primo è che, appunto, durante la Colletta tutti devono essere concentrati e in ascolto di quella preghiera, senza nessuna distrazione. Il secondo è che non c’è nessun bisogno, in quel momento, di anticipare i tempi: l’assemblea risponde “Amen” alla Colletta; a quel punto, mentre l’assemblea si siede e c’è un po’ di inevitabile confusione, i lettori si muovono per andare all’ambone, fanno riverenza insieme all’altare e si preparano a leggere. La breve pausa che ne deriva è perfettamente funzionale a permettere all’assemblea di concentrarsi e di disporsi attentamente all’ascolto della Parola di Dio che viene ora proclamata.

I lettori delle preghiere dei fedeli

Al contrario, per quanto riguarda le preghiere dei fedeli, dopo il Credo, l’introduzione alla preghiera dei fedeli non è così importante, è solo uno strumento di passaggio e un invito alla preghiera. Quindi, mentre il celebrante introduce il momento della preghiera dei fedeli, le persone incaricate di leggerle ad alta voce, si possono già muovere, senza aspettare che lui abbia finito. In questo caso, infatti, quel tempo di silenzio sarebbe inutile. È importante, invece, proclamare le preghiere dei fedeli in modo chiaro, comprendendo il senso della preghiera che, a nome della comunità, si sta elevando al cielo e trasmetterlo all’assemblea nel migliore dei modi possibili. I lettori della preghiera dei fedeli, infatti, esprimono la partecipazione attiva di tutti alla liturgia, perciò il loro compito è molto importante.

Sono piccole note che potrebbero apparire solo stilistiche, o inutili formalismi. Nella celebrazione, invece, è fondamentale sia comprendere bene ed esprimere il significato dei gesti che facciamo, sia seguire il ritmo dell’azione liturgica. Con queste attenzioni, quindi, mi auguro che possiamo vivere bene la liturgia e aiutarci nella dimensione spirituale e sempre più consapevole del cammino di Quaresima.

Don Davide




La Quaresima come cammino

Inizia la Quaresima, che è soprattutto un cammino spirituale.

La nostra parrocchia, rappresentata nel Consiglio Pastorale Parrocchiale, ha deciso di scandire questo cammino con alcune attenzioni, mirate specialmente a vivere bene la Settimana Santa.

Per questo, si è deciso – nei giorni della Settimana Santa – di impostare un percorso che, al termine della Quaresima, ne ricapitoli tutto l’itinerario e, allo stesso tempo, scandisca l’ultima preparazione. Lo indichiamo fin d’ora, perché possiamo esserne pienamente consapevoli.

Si tratterà, quindi, di privilegiare le tre principali celebrazioni eucaristiche (Palme, Cena del Signore, Pasqua) e di sostituire la messa serale del lunedì santo, martedì santo e mercoledì santo, con tre momenti di cammino spirituale a cui convocare tutta la comunità, sempre alle ore 19, in modo da permettere a tutti di partecipare.

Il primo, il lunedì santo, vivremo un momento di Lectio divina, sul vangelo dell’Unzione di Betania, che apre la preparazione alla Settimana Santa. L’intento è di dare spazio al raccoglimento e alla preghiera personale a partire dalla Parola di Dio, cosa che spesso nella liturgia eucaristica è un po’ sacrificata. Guiderà la Lectio Suor Chiara Cavazza, così da ascoltare una voce femminile che ci aiuti ad entrare nel grande gesto della donna che unse Gesù, trascinata dall’amore per lui.

Il secondo, il martedì santo, ci sarà la celebrazione penitenziale comunitaria. L’idea è che tutta la comunità cristiana entri nel clima della Pasqua in un atteggiamento penitenziale condiviso, che sia una cosa fatta insieme, e non un’impresa personale. Ascolteremo ancora il brano dell’Unzione di Betania, cercando di raccogliere dalla meditazione spirituale del giorno precedente, spunti per una revisione concreta di vita. Ci sarà anche la possibilità di confessarsi.

Il terzo passaggio – il più importante di tutti – il mercoledì santo, sarà un momento di preghiera nelle case della nostra parrocchia. Avete capito bene: nelle case; per essere più precisi: in tutte le case della nostra parrocchia. Vorremmo che ogni famiglia, ogni nucleo familiare e ogni gruppo di amici si riservasse mezz’ora prima di tutto per radunarsi, e poi per vivere insieme un momento di preghiera che sarà uguale per tutti. In quella settimana così ricca e impegnativa, dal punto di vista della richiesta di partecipazione, ci sarà così un momento in cui non si chiede alle persone di uscire di casa per andare in chiesa, ma di respirare un momento di pace nella propria casa, con gli affetti più cari: un incontro che, spesso, magari si dà per scontato e non ci si fa troppo attenzione.

Come nelle case degli antichi ebrei, prima della fuga dall’Egitto, così immaginiamo che quel giorno il Signore possa udire un brusio di preghiera da tutto il nostro territorio parrocchiale, per chiedergli di custodire i nostri legami più cari, di illuminarli con la luce della resurrezione di Gesù e di stringerli in una rete che sappia edificare la Comunità.

Dopo questo breve itinerario, ci auguriamo così di potere raccogliere tutta la ricchezza delle celebrazioni del Triduo Santo e che cresca il desiderio di non mancare a questo appuntamento, che è il più importante dell’anno.

Per vivere bene questi appuntamenti, soprattutto quello del mercoledì santo nelle nostre case, è quanto mai opportuno mettersi nell’ottica fin da adesso di riservare il momento. Talvolta, infatti, è difficile incontrarsi persino in famiglia. Stabilite fin d’ora la mezz’ora in cui trovarvi tutti, per fare questo momento di preghiera insieme. Stabilite fin d’ora chi invitare eventualmente nell’intimità della vostra casa. Guardate se nel vostro condominio c’è qualcuno che potrebbe rimanere solo e invitatelo, organizzatevi perché lo possa vivere con voi e non rimanga solo, affinché nella casa di ognuno possa essere preparata la Pasqua.

Don Davide




Pentecoste

Pentecoste: si compie la rivelazione della Pasqua e si compie, nel vero senso della parola, un lungo e denso cammino che ha riguardato la nostra comunità.

Vale la pena di ripercorrerlo, perché ha coinvolto quasi tutto il tempo liturgico di Pasqua: le Cresime dei nostri ragazzi, la festa della B. V. della Salute con la processione delle “due” Madonne, i due turni delle Prime Comunioni che ci hanno fatto intenerire e la festa di don Valeriano. Senza contare tutto il “prima”: dall’inizio della Quaresima, in stato di nomadismo, per la messa in sicurezza della nostra chiesa principale, è stato davvero un anno pieno.

E anche oggi abbiamo due cammini che si compiono, segnando un traguardo e un nuovo inizio.

Padre Alberto ci saluta, dopo 17 anni di servizio encomiabile nella nostra comunità. La sua disponibilità parla da sola. Ma soprattutto vorrei sottolineare la dedizione alla Confessione, che per molti era diventata un punto di riferimento sicuro nel proprio cammino spirituale. Padre Alberto ha fatto amare e toccare con mano l’esperienza della riconciliazione a tantissimi di noi, e questo è il regalo più grande che ci ha fatto, di cui non lo ringrazieremo mai abbastanza. Il suo percorso con noi finisce, ma inizia un nuovo ministero, ancora più immerso in presa diretta nella vita pastorale, e noi siamo sicuri che lo Spirito continuerà a ravvivare i tanti suoi carismi a servizio della comunità in cui viene mandato.

Oggi si compie anche il percorso di catecumenato di Ylenia Abigàil, che riceve e celebra i sacramenti dell’Iniziazione Cristiana. Siamo contenti di avere l’onore di accoglierla noi nella Chiesa, attraverso la nostra parrocchia. La gioia di vedere che lo Spirito continua a fare nascere nuovi cristiani è incomparabile. Garantiamo anche a Ylenia la nostra preghiera, e che qui in parrocchia si potrà sentire sempre a casa propria.

L’effusione dello Spirito sulla Chiesa, in questo giorno di Pentecoste, compie spiritualmente anche il cammino del Congresso Eucaristico. Lo Spirito Santo spinse gli apostoli ad uscire dal Cenacolo e a testimoniare Gesù con coraggio e con forza di persuasione. Gli incontri erano diventati un’occasione per la presenza del Regno.

Lo stesso fa lo Spirito con la Chiesa di Bologna oggi e, segnatamente, vogliamo pensare che lo faccia con la nostra parrocchia.

Accogliamo volentieri il dono della pace, con una certa serenità non presuntuosa di avere fatto il nostro lavoro. Ringraziamo il Risorto per la responsabilità di essere una comunità che cerca di riconciliare e di vivere la comunione. Con gratitudine guardiamo indietro e con coraggio avanti, chiedendo ancora la forza e l’entusiasmo per uscire, incontrare e testimoniare.

Don Davide




La Consacrazione e la Trasfigurazione

La terza tappa del Congresso Eucaristico ci invita, nel tempo di Quaresima, a riflettere su come possiamo rendere le nostre liturgie più partecipate.

Nell’intenzione del Concilio Vaticano II e della riforma liturgica che ne è seguita c’era in primo luogo, sicuramente, la volontà di affermare che la liturgia è partecipata e celebrata bene quando ne comprendiamo il significato profondo, lo gustiamo e viviamo i vari momenti della celebrazione eucaristica accompagnando con il nostro corpo e il nostro spirito il significato simbolico dei gesti che compiamo.

L’invito del vescovo, quindi, rappresenta una preziosissima opportunità per riscoprire la ricchezza della nostra liturgia.

In questa seconda domenica di Quaresima, nella quale ci guida il Vangelo della Trasfigurazione, vorrei partire da alcune riflessioni sul momento della Consacrazione, a cui seguirà una seconda parte, sempre su questo momento fondamentale della messa, domenica prossima.

Analogamente a quanto succede nella Trasfigurazione, nella Consacrazione noi vediamo nei segni del pane e del vino il corpo glorioso del Signore, così come i discepoli videro nel corpo umano di Gesù la manifestazione della sua gloria.

Mentre abbiamo la sensazione che la Consacrazione sia quasi un momento magico, in cui grazie all’unione di una formula e di un gesto accade qualcosa di incredibile (e in visibile agli occhi), il vero significato della liturgia eucaristica è che la Consacrazione non è affatto un momento a sé, ma è connessa a tutta la grande preghiera eucaristica che inizia dopo il Santo, anticipata dal Prefazio che dice qual è il motivo specifico della preghiera di ringraziamento di quella celebrazione.

Il momento che ci riporta all’Ultima Cena di Gesù e che ci mette alla sua presenza non sono solo le parole della Consacrazione, ma tutta la lunga preghiera memoriale che introduce la Consacrazione stessa e che la segue. A questa preghiera, l’assemblea si unisce dopo il rendimento di grazie finale: “Per Cristo, con Cristo e in Cristo” con la risposta importantissima dell’ “Amen” che è come il sigillo di un notaio, l’autentica sul fatto che quella preghiera sale dal popolo che celebra al Padre; mentre noi, a quel punto, siamo quasi assonnati o distratti e si risponde “Amen” come riprendendosi da un torpore che ci ha presi per il fatto che in quella lunga parte aveva fatto tutto il prete, ma adesso bisogna destarsi perché “finalmente” tocca anche a noi con il Padre nostro. Niente di più sbagliato, ovviamente.

La Consacrazione è uno dei momenti più importanti della celebrazione, e viene accompagnato con due gesti che ne sottolineano la solennità – il suono delle campanelle e il gesto di inginocchiarsi – ma non bisogna per questo pensare che sia una cosa a parte. È proprio come il cuore pulsante della liturgia, insieme alla proclamazione del Vangelo: ma sappiamo che il cuore dà energia vitale all’organismo eppure sarebbe insignificante senza il corpo che lo circonda.

Don Davide




Tempo di ricominciare

Ogni Quaresima ci rimettiamo al seguito del Signore Gesù. Ogni Quaresima ripartiamo, chiedendo la grazia di seguirlo nella faticosa salita della via crucis, fino al monte della sua croce. Ogni quaresima ripartiamo dal racconto della sua vita offerta, così come hanno fatto i discepoli quando hanno tramandato le prime memorie di Gesù, e rinnoviamo anche noi il desiderio di essere suoi amici.

Ricominciare, spesso, è un sogno. La vita non concede quasi mai di ricominciare, ossia di esaudire il desiderio di riprendere le cose che abbiamo fatto, e correggere gli errori e magari farle meglio. Possiamo andare avanti; ogni tanto abbiamo l’occasione di fare delle svolte, e di cominciare qualcosa di nuovo, ed è la cosa più simile alla possibilità di “ricominciare”.

La grazia di ricominciare ci è concessa solo dentro a quel mistero di salvezza, che è l’anno liturgico con i suoi ritmi, che occupa il tempo e lo ricrea, rinnovandolo. Non è che tornano indietro le lancette dell’orologio, o azzeriamo i calendari, o resettiamo le agende dei nostri telefonini. Ricominciare è una grazia spirituale: è l’irruzione dell’amore di Dio nella nostra vita, che – attraverso la forza creatrice del suo perdono – ci rifà nuovi.

Con il Mercoledì delle Ceneri, noi abbiamo il dono di ricominciare il nostro cammino dietro e accanto a Gesù, per l’ennesima volta nella nostra vita e senza che il Signore ce lo faccia pesare. Forse qualcuno aveva iniziato con grande spinta e si è un po’ stancato; forse qualcuno, dopo un periodo di grande fervore, è stato ferito da tante delusioni e avversità e ha perso la speranza; forse ci ritenevamo bravi, e ci siamo scoperti peccatori.

Coraggio!

È tempo di ricominciare!

Abbiamo la possibilità di rimetterci in cammino. Cosa c’è di più bello che riconoscere con umiltà che abbiamo sbagliato, che abbiamo bisogno di essere ricreati, ma che desideriamo vivere e incontrare il suo amore?

Le Ceneri sono il segno di questo ricominciamento, un segno di conversione, ma nell’amore e con gioia. Possiamo forse ricordare le ceneri della Fenice, che risorge dai propri resti. Ma vorrei dire ancora di più: le Ceneri, che usiamo per l’austero e sobrio rito all’inizio della Quaresima, sono quelle degli ulivi benedetti dell’anno precedenti: un simbolo di pace e di gioia, che preannuncia il mistero pasquale. È bello pensare che nella potenza del perdono di Dio, le ceneri che accettiamo sul capo siano un segno che deriva da un grandissimo gesto d’amore –  il Signore che guarda alla nostra miseria – e che preannunciano il nostro ricominciamento nella luce graziosa del mistero pasquale.

Don Davide




La vita come dovrebbe essere

Quando guardiamo il cielo di notte e l’aria è tersa, rimaniamo stupefatti dallo splendore del firmamento. Una meraviglia che supera di gran lunga le nostre domande, ma che allo stesso tempo ci incuriosisce e ci interroga. Spesso, quando siamo ispirati da sentimenti buoni, un tale spettacolo può essere persino capace di donarci un po’ di serenità e di pace tra le preoccupazioni e le fatiche della vita.

Allora, sotto a tanta bellezza, è come se percepissimo che sì, c’è un patto, all’interno del quale siamo e che ci custodisce. Deve essere stata questa, inizialmente, l’esperienza di Abramo (I lettura). Poi, questa percezione di fondo della vita, ha assunto la fisionomia di un volto e di un nome: Abramo vi ha riconosciuto un tu, la voce di Dio, che lo coinvolgeva personalmente e lo interpellava.

Di solito, invece, noi diamo più credito ai momenti “no”. È quando le cose ci vanno male che siamo spinti a una maggiore consapevolezza e ci sembra che sia più realistico essere disincantati e disillusi, pensare che il mondo – la vita – l’esistenza “sono così” e che non conviene farsi tante illusioni.

Ben lungi da questa prospettiva, invece, coinvolgendo i discepoli a cui riserva le rivelazioni più profonde (Pietro, Giacomo e Giovanni) nella Trasfigurazione, Gesù ha voluto confermare l’intuizione di Abramo: ha voluto, cioè, che noi sapessimo con assoluta e irrevocabile certezza, che la verità è nello sguardo capace di cogliere la realtà trasfigurata, che il destino dell’uomo e del mondo è la realtà di Gesù risorto. Il mondo “vero”, l’esistenza “vera” è quella bella. Quella che ci fa dire, con un desiderio quasi struggente: “E’ bello per noi stare qui”, “E’ bello vivere così”. Non dobbiamo distogliere lo slancio da questo desiderio, non dobbiamo rassegnarci al negativo e dargli più consistenza di quanto si meriti. Anche se Gesù invita i suoi discepoli a tornare a valle, e quindi ad allontanarsi dall’esperienza della Trasfigurazione, lo fa per incoraggiarli a portare nel mondo quella verità di cui ora sono divenuti partecipi, senza ombra di dubbio.

Il destino è quello splendore che hanno visto. Non si sono sbagliati, e non hanno visto un fantasma. Se lo ricordino – i suoi discepoli – quando arriveranno i giorni della croce – quelli di Gesù e quelli di tutte le croci – che la verità è la gloria. Se lo ricordino, nei giorni brutti, che la verità è la bellezza.

Non si lascino strappare questa certezza.

Sappiano di essere dentro un patto, in cui Dio – il contraente – è fedele, fedelissimo. E in mezzo alle fatiche continuino ad ascoltare la voce dell’amore, che li richiama alla verità di quella esperienza.

Così, la liturgia di Quaresima, ci fa sostare sulla scena incantevole della Trasfigurazione per ricordarci che tutto l’itinerario di questi giorni non è un itinerario di mortificazione, ma di “vivificazione”, e che tutto ciò che mettiamo in atto, come strategia ascetica per vivere al meglio questo tempo, lo facciamo per allenarci a tenere fisso lo sguardo, anche dal fondo della valle, sulla luce che emana dal monte.

 Don Davide