Natale come viene

Una storia visitata e redenta

Celebriamo questo Natale ancora con la preoccupazione della pandemia, dopo che l’anno scorso avevamo vissuto il sacrificio di stare lontano da parenti e amici. A febbraio del 2020, quando i più seri esperti di pandemie accennavano alla possibilità che ci volessero due o tre anni per uscirne, tutti eravamo sgomenti e ci auguravamo che fosse un’esagerazione. Tecnicamente, due anni sono già passati, anche se in Italia e in Europa si contano a partire da febbraio.

Questa lunga situazione ha cominciato a mostrare le sue brutte conseguenze: chi ha subito economicamente, è arrivato a dovere chiudere la propria attività; gli effetti sull’impoverimento si stanno facendo sentire e – soprattutto – c’è una tensione sociale crescente e le ansie e le preoccupazioni stanno diventando più radicate, mostrando alcune volte anche il loro aspetto più irrazionale.

Come se non bastasse, gli equilibri del mondo sono quanto mai precari: in alcune zone geopolitiche sembra che si giochi a Risiko, dimenticando che non si tratta affatto di un gioco; milioni di disperati abbandonano le proprie radici, affrontano attraversamenti esasperanti, varcano frontiere verso l’ignoto.

Infine, l’Albero di Natale dovrebbe almeno ricordarci di quanto sia urgente e grave la situazione ecologica del pianeta, e quanto ci sia bisogno – come dice papa Francesco – di un’ecologia integrale: del vivere, delle relazioni, della gestione del tempo, dell’economia e della custodia del creato.

Queste considerazioni, che appaiono così minacciose, assomigliano tuttavia all’incipit del vangelo della notte di Natale.

Potremmo parafrasarlo così: “Sotto il dominio degli imperi, in balia della gestione dei potenti, nel corso consueto della storia, mentre Giuseppe e Maria erano in viaggio, si compirono per lei i giorni del parto…” (Lc 2,1-6).

Vedo un incoraggiamento bellissimo nel proclamare solennemente un’altra volta questo testo che ormai sappiamo a memoria.

La storia, così com’è, è marcata da un Avvenimento. Il mondo, per quanto cupo, minaccioso e ripetitivo sembri, è visitato da una Presenza.

Questi nostri giorni, proprio questi giorni sono raggiunti dall’amore di Dio, rinfrancati dalla nascita di Gesù bambino.

Due persone che si amano, Giuseppe e Maria, che si prendono cura l’uno dell’altra e che scelgono di condividere le incombenze, accolgono la vita come viene, con la fiducia che sia preparata per loro.

La pacificazione e lo squarcio di luce che attrae tutti come i personaggi del presepe avviene grazie a questo motivo.

Perciò, incoraggiamoci a vicenda amici ed amiche.

Festeggiamo con fiducia!

Chi è credente celebri la Nascita di Gesù partecipando alle liturgie e ringraziando di cuore per i doni che possiamo riconoscere; tutti cerchino il bene, ci si scambi gli auguri con affetto e rincuoriamoci.

Una storia perfetta non avrebbe neanche bisogno di essere visitata.

Un mondo malconcio e malandato, invece, può gioire per la redenzione offerta dal Signore e accolta dagli uomini e dalle donne dal cuore aperto e buono.




Creazione e redenzione

A partire da questa domenica e per le tre domeniche di marzo che precedono la Pasqua, vorrei proporre un breve percorso sulla liturgia della parola della Veglia Pasquale, per prepararci meglio a questa celebrazione così importante e sperare che entri nella sensibilità di tutti il desiderio di parteciparvi.

Nella consapevolezza dei primi secoli, il vero modo di “fare” Pasqua era quello di celebrare la Veglia Pasquale. Questa liturgia incide sulla nostra vita, come dono di grazia, più di qualunque altro impegno per vivere bene e cristianamente la Pasqua.

La Veglia Pasquale, nella sua forma piena, prevede un lungo itinerario nella storia della salvezza attraverso sette letture dell’AT, più una meditazione di San Paolo sul Battesimo, come vera partecipazione alla resurrezione di Cristo, più la proclamazione del Vangelo.

Le prime tre letture sono considerate fondamentali, perché raccontano i tre capisaldi dell’opera di Dio: la creazione, bella e piena di amore (I); la provvidenza di Dio nella storia della salvezza, ossia il racconto della “legatura” di Isacco (II); la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto (l’Esodo) come profezia della redenzione definitiva (III).

In questo percorso iniziale c’è una fortissima unità. Dio ha creato un mondo bello e brulicante di vita. Fin dall’inizio, quindi, siamo richiamati al desiderio che Dio riscatti questa sua creazione, che ha voluto per la vita. Essa ci è data per la gioia e la letizia dei sensi, è lo spazio della nostra esperienza umana, della nostra esistenza. Siamo invitati a sentire una profonda solidarietà con essa, a custodirla, a preoccuparci di conservarne intatta la bellezza e il dono, da tutte le forze negative e logoranti, presagio di morte.

Nella Bibbia, il racconto “storico” ha inizio con la chiamata di Abramo. La liturgia pasquale chiama in causa Abramo nell’episodio decisivo della “legatura” di Isacco. Esso, infatti, più di ogni altro è autentica profezia della resurrezione del figlio amato, oltre che manifestazione evidente dell’atteggiamento di Dio (inteso come SS. Trinità) nei confronti dell’uomo. In esso, infatti, noi impariamo che “il Signore provvede”, oltre l’esperienza della morte nel cuore che doveva avere sperimentato Abramo, mentre accompagnava Isacco. Allo stesso modo, Dio Padre provvederà, oltre l’esperienza della morte. Inoltre, questo racconto ci consegna la definitiva consapevolezza che ciò che Dio NON chiede all’uomo, ossia di sacrificare il suo figlio, lui è disposto a farlo per noi. Mentre Dio chiede all’uomo misericordia e non sacrifici, lui è disposto a sacrificarsi per noi.

Per questo gli ebrei dicono, più correttamente, “la legatura di Isacco”, perché ne mette meglio in risalto il significato. L’atto di obbedienza di Abramo è quello della disponibilità, ma Dio non vuole in alcun modo il sacrificio del figlio, tanto meno un sacrificio umano che è sempre biasimato dai profeti. Ciò che conta è l’atteggiamento di affidamento di Abramo che mette le premesse per sperimentare la resurrezione: Dio è affidabile.

Infine, nella maestosa lettura dell’Esodo, noi siamo invitati a pensare a una schiavitù ben più grave, nonostante tutto, di quella dell’Egitto. La schiavitù del peccato, da cui il Signore ci libera spezzando le catene della morte e immergendoci in questa enorme potenza di vita nelle acque del Battesimo.

A questo punto, la liturgia pasquale può procedere, con un senso di grande gratitudine e una disponibilità all’ascolto, nella contemplazione delle grandi meraviglie di Dio ricordate dalle altre lettura.

Don Davide