Wrinkle

Under 20, testo+video

Il 21 febbraio ricorre il secondo anniversario dal primo focolaio della pandemia registrato in Italia.

Di Gesù il Nuovo Testamento dice che divenne “spirito datore di vita”. Spirito nelle lingue classiche è anche respiro.

Dopo due anni di pandemia Gesù ci “ispira” – guarda caso – su due modi di stare nel mondo: vivere e basta, oppure essere respiro che dà la vita.

Abbiamo imparato che possiamo essere respiro per chi fa fatica, proprio nel tempo di una malattia che colpisce i polmoni.

Per non rendere il discorso troppo solenne o serioso, vi propongo un esempio buffo. È la storia di Wrinkle, un’anatra da supporto emotivo (certificata!) che nel 2021 ha corso la maratona di New York, con delle scarpette palmate create apposta, rimanendo accanto al suo padrone fino al traguardo, per sostenerlo in tutti i 42 km del tragitto.

QUI il video di Wrinkle.

Se non è ispirazione questa!




Due anni

Il 21 febbraio 2020 si è registrato il primo focolaio di Covid-19 in Italia, a Codogno, con 16 persone colpite. Nei giorni seguenti sono scattate le misure d’emergenza, sempre più restrittive.

Sono due anni che conviviamo col Covid.

Dobbiamo fare memoria di questi anni, senza dimenticarci delle strade vuote e delle città mute, della paura, delle case diventate un bosco da cui era difficile uscire. Sento un calore riconoscente per chi ha lavorato in condizioni di pericolo: non solo il personale sanitario, ma tutti coloro che hanno garantito i servizi che sono sempre continuati.

Due anni, per i nostri “Under 20” sono minimo un decimo delle loro giovani vite. Per molti, di più. Penso a chi ha iniziato ad essere adolescente, in questi due anni; a chi si era appena innamorato, magari per la prima volta, all’inizio della pandemia, nei mesi in cui veniva la paura persino ad avvicinarsi. Penso a chi ha festeggiato i 18 anni in lockdown o con il coprifuoco e a chi – quella domenica 23 febbraio in cui fu decisa la chiusura delle scuole – si trovava in quinta superiore e ha iniziato l’università a casa, davanti al suo computer.

Do un cinque (a mano aperta, con un bel contatto) a chi ha attraversato tutto col sorriso, ma sono anche sinceramente vicino a chi ha sofferto, a chi ha subito, a chi ha accusato il colpo.

Voglio ricordare, però, che in questi due anni c’è stata anche luce.

Tanta luce. Penso ai bimbi che hanno meno di due anni, che loro sono dei supereroi che il Covid se lo sono bevuti nel biberon, così piccolini, torri e alfieri nella partita a scacchi della Vita. Vedo i sorrisi: anche nascosti dalle mascherine, nessuno è sfuggito allo sguardo di Dio. Percepisco cuori pulsanti, e sappiamo che baci sono stati dati, a dispetto delle distanze, e carezze e abbracci. Mi rallegro con chi si è sposato, facendo slalom tra assembramenti e divieti. Omaggio i nostri amici che a febbraio 2020 si trovavano al primo anno di specializzazione nei pronto soccorso, a medicina d’urgenza, nelle terapie intensive, in pneumologia e infettivologia. Ringrazio, infine, chi ha tenuto la barra dritta, aiutando sé e gli altri.

Da questo ricordo impariamo che si può essere uomini e donne in due modi: si può essere “viventi” o si può essere “spirito datore di vita”, come Gesù (1Cor 15,45).

Spirito nelle lingue antiche è respiro. In altre parole si può “vivere e basta”, o si può essere “respiro che dà la vita”, proprio nel tempo di una malattia che colpisce i polmoni.

Si può essere respiro per chi fa fatica.

In questa scelta c’è la possibilità di sconfiggere la pandemia, sia negli ospedali che a partire dalle nostre vite.

Don Davide

 

*Elisa Biagini, Nel bosco, Einaudi, Torino 2007, p. 118.




Il respiro dello Spirito – Omelia di Don Davide del 31 maggio 2020

Il supplizio della croce, all’epoca dei Romani, uccideva per soffocamento, proprio come farebbe il Coronavirus, colpendo i nostri polmoni, se non fosse combattuto.

Quando ha esalato l’ultimo respiro, Gesù ha effuso il suo spirito, per fare anche di quel momento di fatica a respirare un dono. Quanto volte diciamo: “Sono così impegnato che non riesco nemmeno a respirare…”? Forse, dietro agli affanni, c’è un atto d’amore che li riscatta.

Voglio immaginare quando Gesù è tornato a respirare nel sepolcro, voglio provare a visualizzare quel primo respiro, quando i suoi polmoni si sono riempiti d’aria e il suo petto si è gonfiato e il suo corpo, come percorso da una scossa, si è trasfigurato.

Tu, Spirito Santo di Pentecoste, sei entrato dentro di lui. Tu sei il respiro, dice la parola ebraica.

In uno slancio di audacia, vorrei andare a un altro momento ancora, all’origine del cosmo e della storia, quando le particelle erano nel caos e materia e antimateria si sfidavano per il dominio e il respiro di Dio faceva le capriole come il nostro fiato d’inverno, sopra quel nulla che poteva rimanere nell’abisso.

Soffio dello Spirito

Poi c’è stato il primo respiro della Creazione. E piano piano hanno cominciato a respirare lo spazio e le stelle, il sole e i pianeti, il cielo e la terra, il mare, i fiumi, le montagne, i prati, i fiori, gli animali, l’uomo e la donna. Se ci guardiamo bene, se ascoltiamo, tutto respira.

Mi sembra che in questa Pentecoste ci sia qualcosa che ci supera immensamente. Ci siamo noi, con le sorprendenti difficoltà di questi mesi e le nostre preoccupazioni, ma poi c’è il desiderio smodato di Dio che il mondo sia investito da un respiro spirituale e che riprenda fiato, e che questa boccata d’aria pura ravvivi la nostra intelligenza, ci renda operosi nella carità e ci doni una profonda empatia con ogni essere vivente.

Tutto il contrario di quello che è accaduto nell’uccisione di George Floyd, a Minneapolis.

Quell’uomo è morto perché gli è stato premuto un ginocchio sul collo, schiacciato a terra, per 8 minuti e 53 secondi. Non è l’unica vittima innocente, ma è diventato un simbolo. Quelle immagini hanno spaventato i bimbi, indignato i ragazzi e i giovani, scatenato proteste. Quelle immagini sono la negazione di tutto ciò che è la Pentecoste. Lo Spirito fa rinsavire, ti riempie di commozione per il dolore altrui, solleva non schiaccia e, soprattutto, infrange la durezza di cuore. Non puoi fissare la sofferenza di una creatura per tanto tempo e non sentirti spezzare il cuore.

Tu, Spirito Santo di Pentecoste, sei lo Spirito che fa respirare. Sei lo Spirito della vita.

Sento che siamo testimoni di qualcosa di misterioso che accade in questa Pentecoste, e che dobbiamo imparare qualcosa.

Caro Spirito Santo, bisogna pregarti sempre, perché tu sei il vero protagonista della preghiera, ma ogni tanto ce ne dimentichiamo. Oggi, però, vorrei dirti una preghiera speciale insieme a questa comunità radunata, e ho iniziato in modo se vuoi un po’ fanciullesco, scrivendo come a un amico, come un diario:

Caro Spirito Santo…
vorrei che tu ci insegnassi a respirare: che ogni uomo e ogni donna respirino.
Io so che noi non siamo capaci di parlare ai giovani, di coinvolgerli, di accendere il loro entusiasmo e di aiutarli ad uscire all’aria aperta piuttosto che stare davanti a uno schermo… ma mi piacerebbe che potessero respirare, ben al di là delle nostre asfissie ecclesiali e delle nostre afasie.
Ti prego affinché, come chi ha raggiunto la vetta in montagna, ciascuno di noi possa respirare gli orizzonti, riconoscere il percorso fatto e nuove destinazioni, rigenerarsi, desiderare e progettare nuove vie.
Se non oso chiedere troppo, vorrei che in questo giorno di grazia, come dono della grande effusione dello Spirito sulla Chiesa, i malati riprendano a respirare e guariscano. E chi li ama gioisca.
Vorrei che anche la Terra possa tornare a respirare dall’inquinamento che le abbiamo provocato; che possano semplicemente vivere i popoli indigeni dell’Amazzonia, oppressi troppo a lungo nel disinteresse di tutti, e che l’Amazzonia stessa ricominci a respirare, invece che soffocare tra le fiamme, provocate da uomini dal respiro corto.
Infine, Amato Spirito del Signore – radunati di nuovo nelle nostre chiese come cenacoli, spaventati, sgangherati, ma pieni di speranza – come se fosse la notte di Pasqua, come se fosse il primo giorno della Creazione, fai rivivere la tua Chiesa.

Amen.