Camminare in campo aperto

C’è una forte consolazione insita nel fatto di iniziare un cammino con la sensazione di potere percorrere un campo aperto o un bel sentiero di montagna.

Non si sa mai cosa riserva il futuro, ma c’è un modo minaccioso o un modo fiducioso di percepirlo.

Oggi lo guardiamo pieni di speranza.

Lo facciamo perché veniamo dalla celebrazione della presenza di Gesù in mezzo a noi.

Lo facciamo perché non guardiamo a un futuro vago, indefinito e lontano: nel momento in cui muoviamo con gratitudine e coraggio il primo piccolo passo, quel futuro è già il presente che viviamo, è il dono concreto che ci viene consegnato.

Giovanni Battista parla di un battesimo più decisivo, che ci immergerà nel fuoco d’amore dello Spirito Santo. (Lc 3,16). Gesù dirà: “Vedrai cose più grandi di queste!” (Gv 1,50).

Tutto dipende dal riscoprire con un orgoglio buono il nostro Battesimo: siamo figli e figlie di Dio, ci è stato fatto il dono della conoscenza di Gesù e, ad un certo punto nella nostra vita, abbiamo scelto la nostra vita cristiana.

Si apre un periodo nuovo e allo stesso tempo sobrio per la vita della nostra parrocchia: siamo chiamati a dare un’entusiasmante testimonianza ai giovani, perché anche loro possano apprezzare l’incontro con Gesù e a cercare di vivere la fede in condivisione con tutti.

C’è una comunità cristiana da edificare.

Tutti abbiamo la responsabilità di farlo, tutti con il proprio dono e il proprio compito.




Il Tesoro del regno

Penso a una pediatra in questo periodo, alle prese ogni giorno con le influenze e i mali stagionali, sempre con la responsabilità di stanare il Coronavirus.

Penso a quegli e a quelle insegnanti che fanno lo slalom tra classi in quarantena, recupero delle lezioni per i casi isolati e tentativi di riprendere le fila di un percorso; insieme, penso all’esercito di catechiste e catechisti che fanno un mestiere analogo, al servizio della fede.

Penso a una giovane mamma in carriera, che torna a casa e trascorre del tempo con i suoi figli piccoli, in attesa di quello che ha nella pancia; o a un giovane papà che fa lui l’inserimento della figlia all’asilo, per il quale – fortunatamente – le stereotipizzazioni di genere sono un retaggio che non lo riguarda.

Penso ai genitori che oltre alle responsabilità professionali, non si sottraggono alle preoccupazioni e alle cure che non diminuiscono, ma aumentano con il crescere dei loro figli.

Penso a due persone di orientamento omosessuale che la domenica vanno a messa nella loro parrocchia, incuranti di quello che si dice in giro che pensino alcuni, anche cristiani, anche all’interno della Chiesa, perché per loro conta più Gesù; e penso a una giovane universitaria che ha un incarico nazionale e nel fine settimana, invece di riposarsi, va a Roma a fare servizio gratuitamente.

Penso agli anziani e ai nonni, infaticabili promotori di una società dell’aiuto gratuito, e penso a chi fa volontariato nell’ambito della carità, che sembra avere sott’occhio sempre un’altra urgenza, un’altra emergenza e non essere mai soddisfatto.

Penso a un’equipe di adulti che seguono un gruppo giovani, amalgamando con pazienza da erborista le diversità e le complessità di quell’età; e penso ai preti che tengono insieme green pass e no pass, vax e no vax, sforzandosi di non cavalcare la tensione che divide e allo stesso tempo di allontanare i lupi che insidiano il gregge, conducendolo nel recinto sicuro dell’amore di Dio.

Sono solo alcuni, pochi esempi che ho avuto sotto gli occhi in una semplice settimana di vita, ma comprendono tutti e tutte voi che cercate di vivere bene e con sapienza, di dare valore al tempo, di corrispondere alla vostra dignità, mentre adempite a tutte le incombenze, e anche dopo averlo fatto.

Tutti e tutte coloro, cioè, che se devono fare un miglio con qualcuno, scelgono di farne due; che benedicono, invece di maledire; per i quali e per le quali i momenti difficili sono occasioni per fare meglio, e che hanno nel sangue l’attitudine allo sprint finale e a un bene aggiunto, anche quando sembra fin troppo generoso.

Hanno dato tutto?

Beh, appunto, spesso ci sorprendono. Magari non tutto tutto, ma moltissimo sì.

In ogni caso sono sulla buona strada e, comunque, non sono poi così certo che Dio chieda loro di più.

Sono più propenso a pensare che quando Gesù ha visto l’obolo della vedova e ha detto quelle parole indimenticabili: “Lei invece nella sua povertà ha dato tutto, tutto quanto aveva per vivere” (Mc 13,44) non pensasse a una totalità inesorabile, che apparirebbe quasi severa, ma proprio a quell’atteggiamento di chi la vita ce la mette sempre tutta, di chi anche all’ultimo sprint, della giornata, di un impegno o della stessa esistenza, decide di mettere ancora qualcosa nel tesoro del Regno.

Don Davide




L’anomala normalità

Della compassione come via

L’insegnamento di Gesù, nel vangelo di questa domenica, ruota attorno al tema della compassione. “Il padrone ebbe compassione del servo” e, al termine del racconto, chiede allo stesso servo: “non dovevi anche tu avere compassione del tuo compagno?”.

Questa domenica fa da spartiacque: iniziamo un periodo importantissimo e difficile. Domani riprendono le scuole, con le complicazioni enormi e i rischi inevitabili legati al perdurare dell’emergenza sanitaria. Tuttavia, i nostri ragazzi andranno finalmente a scuola, nel loro luogo più proprio. Era un assenza che durava dal 27 febbraio, una situazione davvero impressionante a pensarla in circostanze normali. Qualcuno ha vissuto i passaggi della fine dei cicli scolastici, che sono tra i più indimenticabili della vita, senza nemmeno potere fare una festa o salutare “in balotta” (come diciamo a Bologna) i propri amici.

Ci piacerebbe che tutti gli studenti e le studentesse sentissero una speciale vicinanza a quest’esperienza così difficile: una tenerezza per quello che è stato e come l’hanno affrontato, e quasi una commozione a vederli di nuovo varcare i cancelli dei loro istituti, in compagnia degli amici.

Anche il mondo universitario riprende con coraggio le lezioni in presenza. In generale, la fine delle vacanze estive segna inconfutabilmente un confronto con quella “normalità” che, dai mesi della quarantena nazionale, non era più stata piena: un’anomala normalità, nei mesi che ci attendono.

Ugualmente, anche la nostra parrocchia si cimenta con l’orario ordinario delle messe, che non era più stato tale dal 27 febbraio, con la ripresa del catechismo, la programmazione dei gruppi, il tentativo di fare ripartire il doposcuola, l’impegno della San Vincenzo e lo sforzo di non fermare gli aiuti della Caritas.

Vorrei che tutti avessimo uno sguardo di compassione su questi sforzi – nostri, del mondo ecclesiale, e quelli di fuori, dell’impegno della società civile – pensando che ognuno stia provando a fare il meglio che può, con la consapevolezza di sé, la maturità e l’equilibrio che è riuscito a raggiungere fino a quel punto della propria vita.

Questo atteggiamento esige che la compassione entri in circolo. Nelle istruzioni di Gesù, il rimprovero per quelli che arrestano questa circolazione della bontà è severo: “Non dovevi anche tu avere pietà del tuo compagno?”.

Non abbiamo bisogno di durezze, ma di un’umanità tenera.

Non abbiamo bisogno di convinzioni granitiche, ma di cuori aperti.

Non abbiamo bisogno di affermare noi stessi, ma di capire come possiamo fare i passi insieme.

Concretamente, credo che ci siano alcuni atteggiamenti molto pratici che possiamo tenere presenti.
1) Attenzione e delicatezza per chi si sente ancora poco sicuro rispetto alla pandemia e magari affaticato da qualche turbamento o ansia. Non bisogna sminuire affatto questi nostri fratelli e sorelle e non bisogna farli sentire in difficoltà. Occorre fare uno sforzo ulteriore di rispettare le norme sanitarie: l’utilizzo della mascherina, il rispetto della “giusta vicinanza”, il garbo e l’attenzione di mettere a proprio agio l’altro.

2) L’esercizio della comprensione. In parrocchia, a scuola, negli uffici e nei posti di lavoro… sicuramente c’è stato lo sforzo di provare ad affrontare le difficoltà. Anche dove l’organizzazione non fosse perfetta, magari c’era qualcuno che anelava al meglio. Non bisogna “farsi andare bene tutto”, ma provare ad essere radicalmente costruttivi.

3) Una sigla: ARP. Assoluta – responsabilità – personale. Cosa posso fare io? Questa domanda dovrebbe essere come una giaculatoria, o un mantra. Come posso dare una mano? Cosa posso fare io per migliorare la situazione o impedire altre difficoltà. Cosa devo fare io per tenermi centrato, in forma fisicamente e spiritualmente, per essere pronto a fare la mia parte in questa sfida che tutti stiamo vivendo?

Il padrone della parabola risponde a queste domande dicendo: “Io sono ricco e potente, una cosa posso esercitare: la compassione.” E lo fa.

Vale anche per noi.

La compassione è la nostra via.

Don Davide