Sulla soglia

La resurrezione è una soglia.

Non c’è più un sasso duro a chiudere il passaggio, ma una porta aperta, che si può varcare.

Questa soglia apre una ricerca, obbliga a fare ipotesi, suscita pensieri nuovi. Più che fare un giretto nel sepolcro, le discepole non possono fare altro.

Che cosa c’è altrove?

Lì, sulla soglia, incontrano degli uomini, forse degli angeli mascherati. Sono un confine di passaggio tra il mondo di Dio e il nostro: messaggeri che con la loro parola ci portano continuamente alla sorgente dell’annuncio: “Non è qui, è risorto!” (Lc 24,6).

Anche nella versione di Giovanni c’è un gioco liminare.

Persino il tempo è una soglia: letteralmente “il primo dei sabati” (Lc 24,1 e Gv 20,1), il primo giorno di una Creazione rinnovata, l’universo nuovamente ricco di promesse di bene.

Gesù queste soglie le varca tutte.

Per lui non c’è più distinzione tra l’essere in life e on line, nel mondo ma non del mondo. Si rende presente entrando nelle stanze anche a porte chiuse, mangia con noi nell’Eucaristia, ma appena i nostri occhi cominciano a riconoscerlo e noi ad abbracciarlo, ecco che lui si sottrae e ci lascia di nuovo su quella soglia a provare nostalgia per il mondo della resurrezione.

Sulle Dolomiti c’è la via ferrata “delle Trincee”, che si sviluppa spostandosi continuamente da una parte all’altra del crinale di Porta Vescovo, affacciandosi sulla Marmolada o sulla valle di Arabba e Livinallongo. Lassù, con una buona dose di vertigini, varchi continuamente la soglia da cui ammiri uno spettacolo incredibile, di cui eri a conoscenza, ma che era quasi impossibile immaginare prima.

Uno dei salmi più belli del salterio recita letteralmente così: “Un giorno nei tuoi spazi / ne vale mille! / Ho scelto / abito sulla soglia di Dio” (Sal 83,11).

La resurrezione non è, dunque, abitare stabilmente in un luogo risolto, dove tutto è chiaro e sereno. È sempre un cominciamento, il tornare a vedere orizzonti possibili, prospettive nuove e un panorama che ti fa vivere.

Anche se questa soglia è sempre da recuperare, finché siamo qui, è importante raggiungerla.

Avere anche solo la possibilità di stare per il tempo di un battito nel cuore di Gesù che torna a vivere, e pulsa nelle vene della storia la vita divina, e srotola sotto i miei piedi un universo che si rinnova, questo vale più di ogni altra cosa.

Don Davide




Tre sapienze

Ho ascoltato di recente una riflessione suggestiva di Alessandro Baricco. Un testo pieno di cose questionabili e ricchissimo di spunti per il pensiero, riguardo a un possibile assetto e all’interpretazione del mondo prossimo venturo.

Nella parte finale di questa meditazione, l’autore afferma: “Commiati, addii, distacchi saranno insegnati come gesti artigianali da compiere bene, li si riterrà obbligatori.”

Mi stupisce che si parli di una cosa di cui la Chiesa potrebbe e dovrebbe essere umile maestra, non per insegnare da una posizione di autorità o presuntuosa, ma per trasmettere un sapere fondamentale per vivere.

Mi sento, perciò, di richiamare tre sapienze che la Chiesa può consegnare per chi vuole accoglierle; sono sapienze che c’entrano con la morte, ma che in realtà riguardano il vivere bene.

Primo. I funerali.
Si celebrano bene, non in fretta, non con il desiderio di finire il prima possibile questa atroce sofferenza, ma con tutte le cure possibili. Questo vale sia per chi crede che per chi non crede. Nella forma religiosa o laica, è fondamentale per il nostro modo di essere “umani” celebrare bene il commiato dalle persone da cui ci separiamo. Se non lo si fa, si lascia una ferita emotiva e psicologica di cui difficilmente si possono misurare le conseguenze. Il fatto che all’inizio della pandemia non sia stato compiuto questo gesto, in alcune circostanze, è stato un vero e proprio infarto dell’umanità, della cultura e del pensiero. Perciò, anche quando si incontra un carro funebre, o un funerale, è sacrosanto avere ogni gesto di attenzione: un piccolo segno di raccoglimento, il rispetto per la bara, la percezione che sta accadendo qualcosa di decisivo.

Secondo. La sepoltura.
Noi essere umani occidentali a cavallo tra il XX e il XXI secolo celebriamo la sepoltura individuale, perché per mille ragioni antropologiche che non è certo possibile esprimere qui, nella nostra parte del mondo si è sempre dato rilievo all’individuo, anche quando c’era molta più consapevolezza che fosse parte di una comunità. Non è un processo che un singolo cambia così alla leggera, pensando che sia una cosa irrilevante. In gioco c’è un mondo di simboli, di percezione dell’esistenza e di senso con cui si sta al mondo e nel mondo.

Nel luogo della sepoltura si ricorda la storia di un essere unico, personale. Quella vita che è nata è un “io” non una coscienza collettiva, e non è più destinato a dissolversi in modo indistinto nella natura o nella Creazione. È certamente possibile la cremazione, ma con un luogo della custodia delle ceneri, cioè della sepoltura. Scimmiottare con la dispersione delle ceneri le nobilissime culture orientali, che hanno (come la nostra) migliaia di anni di assimilazione di una precisa tradizione religiosa, è come fingere di parlare una lingua straniera, senza saperlo fare.

Terzo. La preghiera.
Per noi, che siamo credenti, c’è una preghiera perfetta per ricordare i defunti. È il ricordo di essi nella messa. Fin dalle catacombe, sulle tombe, veniva rappresentata la scena dell’ultima cena. Nella messa si celebra la morte di Gesù e si proclama la sua resurrezione, in attesa della sua venuta: quando incontreremo di nuovo le persone che già partecipano della vita del Risorto, che amiamo e con le quali desideriamo ritrovarci. Per questo è importante non perdere la tradizione di fare memoria dei nostri defunti nella messa, che è la memoria per eccellenza del trionfo pasquale di Gesù sulla morte.

Don Davide




Risorgerà

Gesù parla ai discepoli della sua morte e profetizza, in base alla fede dei profeti e del suo popolo, il suo destino di resurrezione. “Ma i discepoli non capivano, e avevano timore di interrogarlo…” (Mc 9,31-32).
La nostra comunità, in questi ultimi anni, ha affrontato la morte di tante colonne della nostra parrocchia, intendo cioè molte persone che in vario modo hanno messo a servizio in maniera particolare la loro vita per tutti noi e per la Chiesa.
Questo ci avvicina a tutti coloro che fanno l’esperienza dolorosa di salutare una persona cara, vicini o lontani, credenti o no, della nostra comunità o di altre appartenenze. Non importa. Non vi è alcuna classifica e vogliamo solo allargare il cuore alla compassione, alla condivisione e alla bontà reciproca.
Questa esperienza ci fa sentire vicini tutti e tutte.

“Dopo tre giorni risorgerà” sentiamo dalle labbra stesse di Gesù.
Ma noi facciamo fatica a capire cosa questo significhi veramente. Vorremmo comprendere meglio… e allo stesso tempo temiamo di interrogare lui su questo, come se avessimo paura di accostarci a un mistero troppo grande, complesso e spaventoso.
“Risorgerà”: è una parola che si erge statuaria, come una torre sull’esistenza. Tante volte Gesù lo dice agli altri e di se stesso, del Figlio dell’Uomo: risorgerà.
Questa parola, al futuro, ci chiede un atto di fiducia che è come quando, sulla cima di un monte, ammiri il panorama bellissimo e ti senti certo che Qualcuno tiene tutto il mondo nell’esistenza e pensi che la vita sia possibile, nonostante tutte le brutture, cattiverie e violenze che da tante parti cercano di avvelenarla.
“Risorgerà…” è bene sussurrarla, come se fosse la preghiera del cuore.

Ma noi, oggi, Signore, vogliamo anche provare a raccogliere lo spunto del Vangelo e “interrogarti”. Non per questionare, che finiremmo confusi come Giobbe; non per protestare, ma per avere una luce, per sentire il calore dello Spirito, come una carezza sulla spalla fatta da un amico, come un bacino sulla guancia.
Prima di tutto, capiamo che dobbiamo domandare a te, Gesù. È nel rapporto con te che prendono forma le risposte, i sentieri, le prospettive e la speranza. In secondo luogo – penso – dobbiamo esplorare la vita, seguire le tracce come dei Sherlock Holmes dello Spirito, cogliere tutti i segni di vita concreta che sono infiniti e sono mille volte al giorno sotto gli occhi di ciascuno e ciascuna di noi, collegare le tracce, indagare al di là dell’ovvio e non accontentarci delle evidenze, ma usare la logica del Regno… e magari capirne qualcosa di questa vita, vedere dove si addentra, quali sono le sue strade per attraversare la morte.

Veniamo da te, Gesù, a tirarti il lembo del mantello, non solo come quella donna che era sicura di venire guarita, ma anche come quei bimbi che tirano la giacca del papà o della mamma, perché hanno qualcosa da chiedere, col desiderio di capire, certi di imparare.

Don Davide




Desiderio

Alla presenza di Maria Maddalena fuori dal sepolcro il mattino di Pasqua sono associate spesso, nella tradizione cristiana, le parole del Cantico dei Cantici: Il mio amato! L’ho cercato e non l’ho trovato! Dov’è l’amato mio? (cf. Ct 3,1-2)

È un desiderio struggente, che Maria Maddalena – inizialmente – esprime semplicemente come bisogno di rivedere Gesù nella morte, di onorare almeno la sua sepoltura. Sarà poi la voce del Maestro a invitarla a sperimentare qualcosa di più grande, un traguardo inimmaginabile del suo desiderio: riabbracciarlo, saperlo vivo, continuare a vivere l’esistenza con lui.

La Pasqua è caratterizzata da questo desiderio; così, anche il traguardo della resurrezione per ciascuno di noi.

San Paolo, nell’Epistola che si legge durante la Veglia Pasquale, afferma che noi siamo realmente risorti non perché abbiamo già attraversato la morte biologica (“l’ultimo nemico che sarà sconfitto” cf. 1Cor 15,26), ma perché viviamo una vita nuova (cf. Rm 6,4).

Noi possiamo realmente vivere da risorti, e questa possibilità è resa concreta dal desiderio che ci sta davanti.

Il desiderio è una “distanza” non del tutto colmata, ma che ci fa sentire che possiamo vivere qualcosa di buono. Se un desiderio è bello rinforza l’amore, come due innamorati che si corteggiano e si cercano.

La Pasqua si celebra dopo la prima luna piena di Primavera. È legata alla rinascita del tempo e delle stagioni (ricordiamoci che per gli ebrei era il primo mese dell’anno!), al desiderio di uscire dall’Inverno, ma non ancora in un sole pieno di mezzogiorno d’estate. In quel desiderio e primo germoglio di rinascita c’è già tutta la forza della resurrezione.

Associamo a questo desiderio di rinascita, ad esempio, la speranza che la pandemia sia definitivamente superata. Pensiamo: “Chissà se sarà la volta buona?!”. Non è sbagliato. Sappiamo che la Pasqua ha a che fare con questo rinnovamento di tutto il creato, (come si canta nei salmi della Veglia: “Mandi il tuo Spirito Signore e rinnovi la faccia della terra”), e il desiderio che ciò avvenga è esso stesso scritto nei nostri cuori con l’inchiostro della resurrezione.

Ogni anno ci prepariamo alla Pasqua impegnandoci per un incontro più vivo con Gesù, con la speranza che il Vangelo plasmi più significativamente la nostra vita. Ogni anno, se siamo un minimo accoglienti, questa trasformazione accade realmente, per la grazia che scaturisce da questi giorni. La nostra vita si rinnova; il nostro desiderio ci sta ancora davanti, ma celebriamo la Pasqua.

Preghiamo nei giorni santi per tante situazioni che ci stanno a cuore, quelle difficili o speranze belle. È la fiducia nella resurrezione che ci spinge: che qualcosa si sistemi, che una condizione cambi e migliori. Non sono velleità e non siamo smentiti. In questo desiderio, che non è mai completamente realizzato, c’è l’alba della resurrezione.

Il Signore Gesù ci chiamerà oltre. Ci farà vivere, ci farà sentire il suo abbraccio. Con enorme sorpresa ci farà superare soglie che pensavamo mortali.

Lo sentiremo vicino. Anche quando (di nuovo) si sottrarrà ai nostri occhi, non ci sentiremo soli. Seguirà i nostri passi, permettendoci di onorare il dono della vita, fino a che l’ultimo nemico ad essere sconfitto sia la morte.

Don Davide




Una Pasqua ormai vicina

Ci prepariamo a celebrare la Pasqua, perché siamo alla 4° domenica di Quaresima: ci sarà ancora solo un’altra domenica, poi entreremo già nella Grande Settimana, attraverso la porta di ingresso della Domenica delle Palme.

Celebrare la Pasqua non è solo fare dei riti particolari, ancorché suggestivi.

Celebrare la Pasqua è un’esperienza di comunità, che percepisce l’amore del Padre e la vita di Gesù che entra nelle nostre vite.

La Quaresima è un cammino di umiltà e purificazione. Pensavamo di avere toccato il fondo l’anno scorso, con il lockdown, invece ci troviamo quest’anno a dovere essere ancora più umili: per la stanchezza di questa situazione che ci attanaglia ancora dopo un anno; e perché anche se potremo almeno vivere le celebrazioni, dovremo farlo con molta attenzione, con un rigore esemplare e rinunciando a tanti segni che rendevano speciali questi giorni: la processione degli ulivi, la lavanda dei piedi, il bacio della croce, la processione con il cero pasquale.

Personalmente, anche se potrà sembrare sproporzionato, ritengo che ci voglia molta umiltà per accettare di privare le liturgie pasquali della forza dei loro segni specifici. Tuttavia, siamo chiamati a farlo, consapevoli che il protagonista ancora una volta sarà il Signore e non noi.

 

CELEBRARE LA PASQUA TUTTI INSIEME

Allora ecco che la Pasqua si presenta come un’esperienza di comunità. Siamo spaventati e disorientati dal riaggravarsi della situazione pandemica, tuttavia dobbiamo cogliere la Pasqua come un’occasione di rilancio della nostra vita comunitaria.

Chiedo concretamente ed esplicitamente che chi pensa di essere presente alla Domenica delle Palme e al Triduo Pasquale segnali la sua disponibilità in anticipo, per dare una mano. Servono tante cose: l’accoglienza in chiesa, un po’ di servizio d’ordine, l’aiuto a distribuire l’ulivo, l’igienizzazione alla fine delle celebrazioni, le letture, le preghiere dei fedeli, la disponibilità per cantare, l’aiuto a preparare e organizzare tutte le cose pratiche e tanto altro. Per favore, partecipate da protagonisti e corresponsabili, non da spettatori.

E anche se qualcuno di noi – legittimamente – non si sentirà di prendere parte alle celebrazioni, prendiamoci tutti l’impegno di celebrare la Pasqua insieme alla nostra comunità: unendosi spiritualmente in preghiera, scrivendo un biglietto, facendo una telefonata, e avendo ben chiaro che c’è bisogno che torniamo tutti ad essere presenti e ad incontrarci, che ci diamo un appuntamento, non importa quanto vicino o lontano sia.

Vorrei anche che avessimo una preghiera incessante e una vicinanza reale, nei modi che ci sono possibili, per chi è molto preoccupato per il lavoro e la propria condizione economica, per chi è più solo e per gli ammalati gravi.

 

PERCEPIRE L’AMORE DI DIO

I prossimi giorni siano però anche i giorni in cui ci concentriamo a percepire l’amore di Dio.

Come quando vai a un concerto di un cantante preferito o dell’opera che conosci a memoria, che tendi l’orecchio a cogliere le sfumature e ti entusiasmi durante i motivi prediletti… così dobbiamo tendere a riconoscere l’amore di Dio che si manifesta in tante forme vitali. Gli affetti, gli amici, le cose belle, i traguardi, le ripartenze… la Primavera stessa. C’è un verso bellissimo nel Cantico dei Cantici che dice: “Ecco, l’inverno è passato, è cessata la pioggia, i fiori sono apparsi nei prati e la voce della rondine ancora si fa sentire nella campagna…” Ogni risveglio di vita ci parla dell’amore di Dio per noi.

 

LA PASQUA DELLA FEDE

Infine, la Pasqua è soprattutto un evento della fede. È l’evento in cui professiamo che la nostra vita, come quella di Gesù, non verrà semplicemente consumata. È l’evento in cui rinnoviamo la consapevolezza del valore della nostra esistenza, e magari ci rimettiamo in un cammino di bene e costruttivo per noi: possiamo riacquisire fiducia in noi stessi, fare qualcosa di buono e di bello che desideravamo fare da tanto, imparare a pregare, stare un po’ di più con la nostra famiglia e con le persone che amiamo, dedicarci a fare qualcosa che ci piace davvero.

Siamo ancora in cammino nella Quaresima, ma come un maratoneta che dopo tanti chilometri vede il traguardo, invece di rallentare, si carica di adrenalina e accelera, così anche noi, avvicinandoci alla Grande Settimana, facciamo ardere ancora di più il desiderio della nostra fede.

Don Davide




Il ridicolo sasso e la tenda leggera

Abbiamo talmente impressa nella mente l’immagine del sepolcro aperto, che ci immaginiamo sempre le donne sorprese di fronte a questo segno, all’alba del mattino di Pasqua.

La nostra logica, quindi, funziona spontaneamente pensando a questa sequenza: Gesù risorge e apre il sepolcro per uscire.

Ma non è così.

Matteo, a differenza degli altri tre evangelisti, racconta che quando le donne arrivarono, il sepolcro era ancora chiuso. Solo quando loro si trovano lì davanti un angelo disceso dal cielo rotola via la pietra e vi siede sopra, in segno di trionfo su quel misero ostacolo e quasi di scherno.

FiestraGesù, evidentemente, è già risorto e non poteva essere certo un ridicolo sasso a trattenerlo nel sepolcro, lui che aveva già superato il limite più grande di tutti. La morte, per lui, è poco più di una tenda leggera, che si scosta con un lieve movimento del braccio, e non c’è parete di roccia o altro muro o rifiuto che possa contenere la sua resurrezione, la possibilità che lui ci incontri, dove vuole e quando vuole.

L’unica certezza è che Gesù non è nella morte, tantomeno – figuriamoci – nel sepolcro! Così dice l’angelo: c’è da incontrarlo; noi lo desideriamo e lui salta gli ostacoli e colma le distanze (Mt 28,6-7). Il suo potere non è incatenato.

Davvero, come abbiamo testimoniato più volte, in questi giorni, nulla resiste / a questo vincitore: / egli passa / a porte chiuse / dall’altra parte del muro.

Così, anche se il nostro cuore fosse di pietra, egli salta la dura crosta per toccare la parte morbida: è l’unico capace di farlo. Anche se ci sentiamo peccatori, e abbiamo imparato fin da piccoli che il nostro peccato è un freno all’appuntamento con Dio, scopriamo oggi che questo è vero per noi, ma non per lui. Il giorno di Pasqua ci fa una sorpresa e, con i suoi angeli, ride delle separazioni che dovrebbero impedirgli di farci sentire il suo amore.

Anche se siamo dispiaciuti per tutto quello che ci è mancato in questi giorni, o pieni di paure, Gesù ci viene incontro e ci dice: “Ciao!” (Mt 28,9) come nulla fosse.

Non svilisce le nostre fatiche, ma le rassicura con un saluto.

Dev’essere stata questa l’esperienza di Pietro sulle sponde del Lago di Tiberiade o di Saulo sulla via di Damasco, quando il Risorto li ha incontrati, perdonati e chiamati. Il tradimento, il rifiuto, la distanza… ostacoli che apparivano invalicabili si sono polverizzati di fronte alla forza della sua presenza, sciolti come neve al sole del suo interesse per i discepoli.

Forse è stato pensando a questa esperienza del Risorto, che Paolo – divenuto apostolo – ha potuto scrivere quelle parole magnifiche della lettera ai Romani: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?” (Rm 8,35). Vi consiglio di andare a leggere come prosegue…

Così, siamo rincuorati e consolati. Sappiamo che non sarà nemmeno una pandemia a impedire la nostra esperienza di fede e l’incontro con il Risorto. Lui ci è accanto, in tutti i nostri sforzi a favore della vita.

Sappiamo che si varcherà anche questo ostacolo. E che, nonostante le ferite e attraverso i lutti, torneremo a impegnarci nella nostra responsabilità verso la storia, peccatori perdonati, cuori inteneriti, paurosi divenuti intrepidi, sconsolati entusiasti e discepoli mesti resi felici.

Don Davide




L’Assemblea di Zona

Zona PastoraleGesù sa che a lui e ai discepoli spetta un lungo cammino per poter sperimentare la Pasqua, perciò – attratto dall’amore del Padre – sale sul monte, per essere il più possibile in sintonia con lui. La trasfigurazione è un regalo di Dio, un anticipo della resurrezione offerto ai discepoli, perché siano istruiti su quale sia il traguardo e si sentano incoraggiati nella fede.

Mi piacerebbe che potessimo pensare alla prima Assemblea di Zona, che si terrà questa Domenica pomeriggio (17 marzo, ore 16, presso la Parrocchia S. Caterina di Saragozza) come a una piccola esperienza di trasfigurazione “pastorale”.

È l’amore del Padre che ci chiama a metterci in ascolto della voce dello Spirito Santo e gli uni gli altri, perché vuole che la Chiesa viva del contributo di tutti. In questo momento di partecipazione condivisa, preparato fra le varie parrocchie con semplicità, ma soprattutto con tanta amicizia ed entusiasmo, abbiamo un piccolo anticipo di cosa sarà – e dovrà essere – la Chiesa del futuro. Siamo certamente anche istruiti su quale sia la meta del nostro cammino: quella comunione che permetta di trovare un modo adeguato di vivere la fede anche per gli anni a venire e così di essere più autentici testimoni del Risorto.

Nell’invitare alla partecipazione, quindi, mi rivolgo soprattutto ai giovani. Ciò che è in gioco, a partire dall’Assemblea di Zona, non è qualcosa che riguardi solo i prossimi cinque anni, tale da fare pensare che interessi quella popolazione anziana che ormai costituisce quasi esclusivamente la presenza ecclesiale. In realtà, qui si iniziano a porre le basi e le premesse della Chiesa del futuro, dell’assetto delle parrocchie, del territorio ecclesiale e della pastorale per i prossimi venti/trent’anni, forse anche di più. Qui c’è in gioco la Chiesa che voi ragazzi e giovani di oggi, abiterete da adulti protagonisti, forse da genitori; in ogni caso sarà la vostra Chiesa.

Bisogna essere consapevoli di questo: se ci sarete voi, giovani, nella Chiesa del futuro, la Chiesa esisterà. Altrimenti potrebbe anche scomparire.

Dall’Assemblea di Zona di questa domenica, idealmente tracciamo un ponte verso l’appuntamento della Festa dell’Incontro di domenica prossima: l’occasione di stare insieme in amicizia e condivisione con le persone e le famiglie che come parrocchia aiutiamo stabilmente, attraverso la preziosissima opera della San Vincenzo e della Caritas.

Anche in questo capiamo il significato della trasfigurazione: un momento di rivelazione in cui la Chiesa appare per quello che è: il corpo di Cristo, al quale partecipano tutti, senza esclusi.

In questo itinerario quaresimale, che condividiamo con la nostra comunità parrocchiale e con le altre parrocchie, il Signore ci guida, ci purifica e ci istruisce perché ogni nostro passo sia un avvicinarci ad aprire il cuore alla resurrezione di Gesù e ad esserne autentici testimoni con il nostro Battesimo.

Don Davide




Parola e speranza ai giovani

Passata la Domenica in Albis, in questa domenica di festa in cui 28 bimbi della nostra parrocchia fanno la Prima Comunione, desidero riproporre le due belle testimonianze di Maria Clara e Anna Giulia – in rappresentanza dei giovani – all’inizio della Veglia Pasquale.

Abbiamo dato parola ai giovani perché lo ha chiesto Papa Francesco, in quest’anno dedicato al Sinodo dei Vescovi sui giovani, che si celebrerà a ottobre.

In questo modo vogliamo anche fare una specie di augurio ai bimbi che vivono in questa domenica il loro primo incontro con Gesù nell’Eucaristia.

Ci auguriamo di saper dare loro spazio all’interno della comunità cristiana; che trovino una chiesa giovane e viva, accogliente per la loro fede e la loro umanità, e che loro – i bimbi di oggi, uomini e donne di domani – possano concorrere a renderla sempre più bella.

Don Davide

 

(Prima testimonianza) Cosa ti auguri per la Chiesa in rapporto ai giovani?

In questa notte in cui Gesù, dopo averci svelato nella sua vita terrena la sua natura di uomo debole, fragile e mortale, e aver condotto il suo amore fino all’estremo sacrificio sulla croce, è risorto per guidarci nella vita…

In questo anno 2018, in cui Papa Francesco ha scelto di porre al centro della riflessione e della preghiera della Chiesa, i giovani, tutti i giovani, qualsiasi sia la loro vicinanza a questa istituzione, dicendo loro: “Ho voluto che foste al centro dell’attenzione perché vi porto nel cuore” …

Mi auguro che tutti gli uomini di chiesa, dai parroci ai vescovi, sappiano pienamente accogliere le indicazioni del Papa,

  • promuovendo iniziative volte a valorizzare la vitalità, l’entusiasmo e l’idealità dei giovani,
  • e incanalando le loro potenzialità per arricchire la grande comunità ecclesiale che, a sua volta, deve saperli guidare e sostenere.

Mi auguro che la Chiesa sappia mostrarsi come un porto sicuro in cui sempre poter ritornare, senza sentirsi in alcun modo giudicati.

Tutte le differenze individuali dovrebbero essere accettate e apprezzate, perché ogni giovane possa sentirsi veramente accolto e, in questo modo, sia più libero di dare un contributo sincero al camminare insieme e si senta rappresentato e ascoltato nella progettazione delle proprie speranze per il futuro.

Maria Clara Chionsini

 

(Seconda testimonianza) Cosa significa, per te, credere nella resurrezione?

Per me credere nella resurrezione significa credere nella resilienza. Credo che la resurrezione ci metta davanti alla possibilità di scegliere tra le cose giuste e quelle sbagliate, tra l’agire e l’essere passivi; ci chiede di scegliere da che parte stare.

Credere nella resurrezione significa, per me, sapere di avere sempre una speranza e una possibilità, se so essere abbastanza forte da accoglierla e sceglierla.

Credere nella resurrezione significa avere fiducia nell’essere sempre accompagnata da lui, da Gesù che è vivo e presente, che mi rassicura di potere superare le difficoltà che la vita mi ha posto, mi pone e mi porrà davanti.

Anna Giulia Ballardini




Suoni di guerra e fondamenta preziose

Ripetutamente, in quest’anno dedicato al Sinodo dei Vescovi sui giovani, il Papa ha chiesto alle chiese di dare parola ai giovani e che tutti si mettano in ascolto. Lo ha fatto anche di recente, nella fase preliminare del Sinodo, chiedendo ai giovani di parlare con coraggio e di dire quello che pensano davvero.

Seguendo l’itinerario della Veglia Pasquale (attraverso le tre letture su sette che sono state scelte) abbiamo un paradigma, anche per chi celebra ad altri orari, del nostro itinerario spirituale in queste feste.

La celebrazione di questa Pasqua inizia per la nostra comunità cedendo la parola ai giovani. All’inizio della Veglia, il primo annuncio della Resurrezione e anche l’accensione del Cero Pasquale sono affidati alla testimonianza di due giovani donne, unendo così entrambi i dati del Vangelo di Marco: la presenza di un giovane ri-vestito di bianco (ricordarsi il giovane che è fuggito via nudo all’arresto di Gesù!) e delle donne.

Il lungo ascolto della Parola di Dio incomincia poi da una domanda rivolta da Dio a ciascuno di noi (3° lettura): “Perché gridi? Smettila di gridare – sembra dire – e attraversa i flutti. La fede non è forse affrontare cammini apparentemente impossibili, chiamati dalla Parola?”. Seguiamo così il racconto del passaggio del Mar Rosso, dallo stile militare e dai toni epici, imprescindibile per la sua forza di prefigurare un’altra vittoria, in un’altra guerra ben più radicale: quella contro la morte. Dobbiamo ascoltare questo racconto non ponendoci i problemi morali di oggi, ma lasciandoci trascinare nella narrazione e nel suo ritmo incalzante, sentendo lo sgomento di Israele e il terrore dei nemici. Solo così potremo intuire la verità delle parole di San Paolo: “O morte, dov’è la tua vittoria?”.

Si prosegue con una delle letture più belle di tutta la Bibbia (4°) che descrive l’inarrestabile forza d’amore di Dio per il suo popolo, personificato nella figura della Gerusalemme sposa. “Afflitta, percossa dal turbine, sconsolata, ecco io pongo sullo stibio le tue pietre e sugli zaffiri le tue fondamenta…” (Is 54,11). Basterebbe la lancinante bellezza di questo versetto per innamorarsi di tutta la Sacra Scrittura.

La terza e ultima tappa nel percorso dentro l’Antico Testamento è la lettura del profeta Baruc (6°). Essa contempla la Sapienza di Dio. È l’esito che possiamo augurarci, quando usciremo dalla celebrazione della Pasqua: di essere innamorati della Sapienza, di desiderare, di cercarla, di iniziare a meditare la Parola di Dio ogni giorno, di sapere che abbiamo un tesoro imparagonabile che aspetta solo di essere trovato.

Il passaggio al canto dell’Alleluia, trattenuto fino a questo punto della celebrazione, viene accompagnato da San Paolo, che ci ricorda che l’uomo vecchio è morto e vive il nuovo. Siamo uomini nuovi quando siamo orgogliosi del nostro Battesimo, non timorosi quasi che fossimo i pochi ad avere mantenuto un retaggio religioso/spirituale. Noi siamo orgogliosi di essere cristiani, perché con Gesù partecipiamo di una responsabilità mozzafiato per la vita del mondo. Lo facciamo con gli orizzonti più ampi possibili, ma sapendo di dovere partire dai noi stessi. I suoni di guerra contro la morte e le fondamenta preziose dell’amore di Dio, per noi e per tutti, sono l’essenza di questo cammino.

Lo facciamo lasciandoci rinnovare il cuore e cercando di aprirlo, di spalancarlo il più possibile. Siamo uomini nuovi.

Don Davide




Resurrezione per la vita

Gesù parla nel tempio di Gerusalemme. È la punta e il riassunto del suo magistero. Davvero Gesù è il volto delle nozze tra Dio e l’umanità, è lui stesso lo sposo e il dibattito tra sadducei e farisei circa la risurrezione dei morti diventa occasione della rivelazione della vita nuova in Dio. I figli di Dio “sono figli della risurrezione” perché vivono in comunione con il Signore che “non è Dio dei morti, ma dei viventi”. Nella pagina di questa domenica non si parla di matrimonio fecondo, ma del matrimonio immagine della comunione tra Dio e noi e la fede nella resurrezione è essenziale perché, se non ci fosse, non si sarebbe neppure il discorso di Dio. La risurrezione non è solo la nostra sorte dopo la morte, ma la condizione nuova di vita, di figli della risurrezione. Nati dalla risurrezione di Cristo, già viviamo la vita eterna perché vita con Dio.

Il livello dell’argomento dei sadducei, che vorrebbero mettere in difficoltà Gesù con una parabola ironica (la donna andata in sposa sette volte), è molto basso, erede di una cultura che ben lontana dal concetto cristiano di matrimonio, dove l’uomo e la donna si donano reciprocamente e fino in fondo e nessuno “possiede” l’altro, ma ognuno si “offre” all’altro. Per i sadducei – e tutti a quel tempo – il dominio è del maschio e la passività è della donna.

Non è facile lasciarsi incontrare dal Signore; molti sono gli inciampi. Nel Vangelo di oggi il Signore ci rassicura che neppure il “nemico” assoluto, la morte, sarà di ostacolo alla nostra unione con lui che, proprio nell’immagine data dai sadducei, prende faccia di sposalizio. Gesù mostra anche l’incredibile profondità dell’amore che unisce l’uomo e la donna – non il dominio e la sottomissione – segno misterioso ma credibile dell’Amore e del mistero stesso di Dio.

(d. Angelo Sceppacerca)