Sorrisero a vedere il Signore

In questi giorni sono andato in farmacia con la mascherina, ovviamente. C’era una dottoressa che non conoscevo, è stata gentile. Poi qualcuno ha fatto una battuta, abbiamo riso tutti, lo si capiva dagli occhi.

Uscendo, però, ho pensato che la mascherina mi aveva impedito di distinguere il sorriso di quelle persone. Il sorriso di una persona che conosci lo ricordi e lo riesci ad immaginare. Il sorriso di uno sconosciuto è come fargli l’identikit: capisci subito se sorride ma è forzato, se ha qualche preoccupazione, se è stanco oppure se è un sorriso aperto e spontaneo. Senza sorriso, quel gesto che scolpisce il volto, non si può quasi dire di avere “visto” una persona.

sorriso

Il Vangelo di questa domenica dice che Gesù si fece trovare improvvisamente nel mezzo dell’assemblea dei suoi discepoli, superando i muri e le porte chiuse, e che i discepoli “gioirono al vedere il Signore” (Gv 20,20).

Uscendo dalla farmacia mi è tornata in mente proprio questa frase: “i discepoli gioirono al vedere il Signore”.

I pochi che c’erano sotto la Croce, per lo più discepole, insieme a Giovanni e Giuseppe d’Arimatea, l’ultima volta lo avevano salutato con un sudario sul volto, qualcosa che ostacolava lo sguardo.

Ora lo vedono e gioiscono. E immagino un sorriso aperto di tutti, un sorriso ben visibile e festoso. E baci, abbracci, incoraggiamenti. Forse, di questi tempi, si potrebbe addirittura parafrasare: “E i discepoli sorrisero al vedere il Signore, senza quel sudario che assomigliava tanto a una mascherina…”

Attenzione, non ho nulla contro le mascherine, che sono un presidio sanitario fondamentale e che ci permetteranno di vivere una quasi normalità nei mesi che verranno.

Vorrei esprimere solo il desiderio di volti recuperati e abbracci restituiti. In questa speranza, che ha gli echi di una melodia struggente e a tratti lancinante, creiamo uno spazio per tutte le persone che stanno facendo più fatica: sappiate che, come ha detto papa Francesco, siamo tutti sulla stessa barca. Pochi sono gli eroi e i forti non sono nemmeno loro sempre forti. La pesantezza la sentiamo in tanti. E questo punto di partenza condiviso ci fa sentire almeno un po’ consolati, e sicuramente anche propositivi.

Abbiamo celebrato Pasqua e ora ripartiamo da qui.

Il Signore risorto riavvia il nostro cammino: guardiamo al futuro, un futuro prossimo, progressivo e lontano, senza stare con le mani in mano, ma sapendo che è parte essenziale della testimonianza della resurrezione anche la possibilità di tornare a vedere e sfiorarsi, e che noi ci impegniamo per questo attraversando ogni cosa.

Don Davide




Le ferite tra le dita

Il Risorto viene ripetutamente incontro ai suoi, riuniti, mostrando loro le mani e il capo con le ferite trasfigurate, per vincere la loro incredulità.

Lo sfortunato Tommaso è l’unico non presente alla prima edizione di questo memorabile appuntamento. Gli altri, e la chiesa dei millenni successivi, gli danno dell’incredulo, perché anche lui vorrebbe vedere e toccare le piaghe del Signore risorto.

È esattamente la posizione degli altri discepoli: loro hanno visto e hanno creduto; Tommaso fa un proclama che potremmo definire “da spaccone”, dice che se non vede e non tocca lui non crede. Ma alla fine, poi, come per tutti gli altri, vedere il Signore risorto che gli viene incontro è più che sufficiente perché sbocci in lui la migliore professione di fede che ci potremmo aspettare: mio Signore e mio Dio.

Quello che chiede Tommaso è di fare anche lui un’esperienza vivida dell’incontro con Gesù risorto, come gli altri che ne avevano già avuto il dono.

Noi abbiamo in mente, grazie a Caravaggio e a molti altri pittori, che Tommaso metta il dito nella piaga del costato di Gesù, ma leggendo il testo del vangelo scopriamo che questo particolare non viene raccontato. Non è così.

Piuttosto che volere mettere noi il dito nelle piaghe di Gesù, è lui che, per vincere tutte le nostre incredulità, mette le sue piaghe fra le nostre dita. Consegna le sue ferite alle nostre mani, perché noi ce ne prendiamo cura.

“Tocca le mie ferite – dice Gesù – e non essere più incredulo, ma credente!”

Se c’è una via per accendere la fede e riconoscere Gesù come nostro Signore, è questa: le sue ferite, che non vengono cancellate nel suo corpo risorto, ma diventano gloriose, sono il peccato che può diventare esperienza di misericordia; sono l’odio che può essere vinto con l’amore; sono la cura per la vita, dove sembrano trionfare le forze di morte; sono la conversione dalla lontananza di Dio alla gioia dell’essere vicini a lui; sono i poveri che vengono accuditi, i malati che vengono consolati, chi ha bisogno che viene aiutato, i ragazzi e i giovani che vengono accompagnati.

Raggiungi le ferite di Gesù con le tue mani; e non avere paura: fra le tue dita non scorrerà il sangue, ma lo Spirito Santo.

Don Davide




Incontrare il Risorto

Nel clima della Pasqua traspare la condivisione della comunità cristiana. L’incontro con Gesù risorto stringe i discepoli in una nuova esperienza di comunione e di vicinanza. Il Signore Risorto che effonde il potere di riconciliare sui suoi discepoli, agisce anche perché tutte le tensioni si stemperino e si possa ritrovare la pace e l’unità.

La vita morale cristiana, infatti, non si configura come un cammino di perfezione o di miglioramento, ma come una conseguenza dell’amore di Dio, il frutto di quest’esperienza. L’amore di Dio ci è donato gratuitamente. Non siamo noi che con il nostro impegno lo guadagniamo. Però, possiamo cercare di non disperderlo, di non buttarlo via, custodendo la vita da figli che è stata generata in noi.

C’è un altro modo di stare in questa esperienza di grazia: la partecipazione ai sacramenti della Chiesa. In essi, facciamo l’amore invisibile di Dio che passa per canali molto concreti e, mentre opera misteriosamente in noi, ci fa anche sentire la vicinanza di qualche fratello e sorella, perché nessun sacramento si celebra senza la partecipazione della comunità cristiana.

Questa medesima esperienza concreta è quella che fanno i discepoli riuniti nel Cenacolo. Essi vedono/incontrano Gesù Risorto. È un incontro reale, ma anche vissuto con fede. Gesù non si “impone” alla vista, ma chiede di essere riconosciuto dai nostri “organi spirituali”. Quando Gesù si fa vedere ai suoi, Tommaso non è presente. Questa coincidenza lo ha fatto passare alla storia come il più dubbioso tra tutti i discepoli, ma non è vero. Tommaso chiede solo di fare la medesima esperienza che hanno fatto gli altri discepoli: vederlo e incontrarlo. È importante capire che in questo incontro, Tommaso non mette in atto ciò che si era proposto di fare. Di fronte a Gesù che si rende disponibile a farsi toccare, Tommaso risponde con la professione di fede: «Mio Signore e mio Dio».

In questo modo, il vangelo non vuole fare altro che dirci che quel modo di fare esperienza di Gesù risorto, è lo stesso che possiamo e dobbiamo fare anche noi. Non desiderando di vedere Gesù, ma ascoltando la sua parola. Allora egli si farà riconoscere, in un’esperienza però che è sempre guidata dalla fede.

Don Davide