Chi e come vogliamo amare?(Under 20)

Parlare della morte a voi, che siete giovani o addirittura giovanissimi, risulta quasi oltraggioso.
Eppure, anche se cerchiamo di rimuoverla in ogni modo, tutti in qualche circostanza ci abbiamo avuto a che fare.

A tutti è capitato di dover salutare qualcuno dei nonni, o un genitore morto prematuramente, o un amico molto giovane, o di stare vicino a una persona che ha vissuto questa sofferenza terribile.
In questi casi, ci si trova in una bruttissima situazione, divisi tra il desiderio di guardare avanti, di non soffrire a causa di quel ricordo, e la paura che il fatto di non pensarci per non stare male significhi dimenticarsi di quella persona che è morta, magari importantissima.

Sapendo questo e conoscendo quanto sia difficile, la Chiesa fa memoria in una giornata di tutte le persone defunte che ci sono care, così possiamo farlo insieme senza sentire ancora il dolore acuto, anzi rincuorandoci a vicenda. Questo giorno dell’anno è il 2 novembre.

Perciò, in questa settimana, ricordiamo tutti i vostri nonni, il papà o la mamma morti prematuramente, gli amici che ci hanno lasciato. Lo facciamo il giorno dopo della Festa di Tutti i Santi, perché sappiamo che insieme a loro sono vivi di una vita che non finisce.
Il fatto che da lì sono sempre vicini ci aiuta a scegliere come vogliamo vivere, chi e come vogliamo amare, come nella scena del film che vi lascio: Elogio funebre di Hazel Grace

Se non l’avete visto ve lo consiglio.

Se non avete letto il libro, vi consiglio anche quello.




Lo sguardo oltre l’orizzonte (per gli Under 20)

Oggi si celebra la Giornata Missionaria Mondiale.

Questa ricorrenza ci ricorda che, a dispetto delle apparenze e forse per voi in maniera incredibile, ci sono luoghi in cui la Chiesa è vivace, piena di giovani e molto all’avanguardia nei temi che vi sono più cari.

Proprio in questi giorni, ad esempio, in Brasile, la Chiesa è oggetto di pesantissime persecuzioni, perché ha preso apertamente posizione sia con i suoi vescovi che in tantissime comunità di base contro il Presidente Jair Bolsonaro, non per “ingerire” nella politica, ma per denunciare la peggiore gestione mondiale della pandemia, la distruzione sistematica e colpevole dell’Amazzonia e il genocidio dei popoli indigeni. Si tratta di responsabilità colpevoli del governo che ormai sono sotto gli occhi di tutti, con dati e prove evidenti, ma che vanno avanti con la connivenza e la corruzione delle istituzioni deputate a fare giustizia.

Il Vangelo di oggi ci parla di un cieco che chiede tenacemente a Gesù di riavere la vista.

Oggi, Gesù che ridà la vista ai ciechi è incarnato in quelle tante chiese fatte di giovani, che tengono gli occhi bene aperti sul mondo e cercano di guardare verso il futuro.

Vale per voi, un verso folgorante di Paul Celan:

“Nei fiumi a nord del futuro io getto la rete / che tu / esitante / aggravi con ombre scritte da pietre.”

Quell’io che getta le reti più in là del futuro potete essere voi, ragazzi e ragazze, mentre qualcuno vorrebbe appesantire questo lancio riempiendo le reti con pietre.

Ma voi impediteglielo.

Guardate alle giovani chiese del mondo e tenete lo sguardo oltre l’orizzonte!




Il potere delle parole (per gli Under 20)

Quanti sordi e muti ci sono nel nostro mondo! Non le persone che hanno difficoltà fisiologiche, che spesso comunicano addirittura meglio degli altri. A loro va tutto il rispetto dovuto.

Ci sono tanti muti di fronte alle ingiustizie, giovani che non difendono i loro amici e le loro amiche, responsabili che non parlano della crisi climatica o, peggio, ne distorcono la percezioni, presunte autorità le cui parole sono così insulse che anche il loro suono risulta vuoto oppure stonato.

E poi ci sono i sordi che non vogliono ascoltare, chi non fa lo sforzo di mettersi in relazione, i peggiori sono quelli che non si meravigliano più e che non vogliono imparare.

Ma voi no, ragazze e ragazzi! Cogliete oggi l’invito di Gesù che guarisce un sordomuto dicendo: “Apriti!”. Doveva avere risuonato con un tale carisma, quel comando, che i narratori lo riportano ancora nella lingua originale: “Effatá”, come quando una parola è talmente forte che ti rimane in mente per sempre.

Io vi dico: leggete libri, guardate film e serie tv, ascoltate la musica, non rinunciate mai a parlare dopo avere pensato con un po’ di saggezza cosa comunicare. E se la gente si stupirà, come accadeva con Gesù, meglio così! Scoprirà che siete recettivi e sarà costretta a riconoscere che avete qualcosa da dire.

Don Davide




Visioni di coraggio

Riprendono la pastorale più attiva, la scuola e l’università, il lavoro e gli impegni personali e la prima parola che risuona in questa domenica è: “Coraggio! Non temete!” (Isaia 35,4-7). I profeti hanno sempre la capacità di infondere speranza e di rigenerare la forza di guardare al futuro, e se pensiamo agli anni di pandemia da cui veniamo e alla crisi della pastorale, che sembra essersi ormai rassegnata a delle chiese semivuote e alla difficoltà di appassionare e coinvolgere i giovani, pare che ce ne sia proprio bisogno.

Accogliamo volentieri perciò lo sguardo dei profeti, che penetrano prospettive che è difficile persino intuire. Concretamente, nel contesto in cui risuona l’oracolo del profeta Isaia, il regno di Israele era sotto l’assedio delle truppe di Sennacherib, imperatore d’Assiria. Sembrava non ci fosse speranza alcuna. Invece il profeta – contro il parere di tutti e fronteggiando contrarietà e umiliazioni – non offre solo un oracolo di vittoria, ma la prospettiva di un mondo nuovo. L’esito della vicenda darà ragione al profeta.

Per vedere la realizzazione delle profezie, però, bisogna credere alla Parola di Dio. Da questa domenica, allora, cogliamo due suggerimenti a cui aderire con fede.

Per prima cosa dobbiamo riconoscere di essere sordi e muti proprio di fronte alla Parola di Dio. Sembra un’affermazione ripetuta banalmente, ma occorre prendere atto che non abbiamo una consuetudine significativa con la Parola di Dio, non l’ascoltiamo (siamo sordi) e ancora meno siamo capaci di testimoniarla in maniera affascinante (siamo muti): in verità, sembriamo sempre dei principianti nella vita spirituale, che invece è necessaria per orientare le nostre scelte di vita, per rafforzare la nostra personalità e le nostre relazioni, e per osservare un rigore morale che riguarda prima di tutto la nostra dignità.

In secondo luogo possiamo cercare di vivere una carità più limpida, non tanto nelle cose eclatanti, quanto negli atteggiamenti fraterni, nel vivere con più cordialità i rapporti in parrocchia e fuori, essere gentili, non discriminare, non dare giudizi affrettati, impegnarsi a volere bene, gioire di condividere la fede con la propria comunità.

C’è un grande desiderio, in fondo, in ciascuno dei credenti, di una fede viva e di una comunità così amorevole e propositiva, da rallegrare persino il deserto e la terra arida.

Don Davide




Tre saluti

Il saluto

Le preghiere a Maria iniziano con un “saluto”: in latino ave, salve, gaude, laetare… Questi giorni di preghiera alla B.V. della Salute mi fanno pensare al desiderio e al bisogno di salutarsi, non solo come gesto di buona educazione, ma soprattutto come segno di incontro. Da una parte c’è voglia di incontrarsi, dall’altra sperimentiamo tutti la fatica di riattivare dinamiche che in questi mesi avevamo dovuto necessariamente abbandonare, come quelle di venire agli appuntamenti e partecipare ai momenti di riflessione e di formazione insieme. La fatica è data dal fatto di osservare che le cose possono iniziare, ma non ancora liberamente, che l’ombra della pandemia si è allungata sulla nostra vita e sembra non togliere quel fastidio e quella percezione di minaccia che ci hanno afflitto in questi mesi.

A Maria, così graziosamente esperta di saluti, affidiamo questi momenti di incontro, soprattutto il primo attimo, quello in cui ci si rivede, ci si avvicina, ci si sorride in modo che il sorriso possa essere percepito dagli occhi, perché la ricca espressione del volto è nascosta dalla mascherina, e così ci si accoglie. È un piccolo ricominciamento quanto mai prezioso, che ci deve fare percepire l’opportunità del momento, la grazia offerta in ogni incontro.

Altre due “saluti”

Giocando con le parole (consapevole di forzare la lingua italiana) ci sono almeno altre due “saluti” che vorrei considerare, in questa festa della B.V. della Salute.

 

La salute spirituale

Abbiamo pregato tantissimo, in questa pandemia, per la salute del corpo, ed è stato quanto mai necessario. Vorremmo affidare a Maria anche la salute dell’anima: ossia la possibilità di avere cura non solo del corpo biologico, ma anche del nostro corpo spirituale, del nostro essere persona.

Consegno due piccole regole, per coltivare quest’altra “salute”:

1)Praticare la gratitudine consapevolmente. Prendersi qualche momento, nella settimana, per ringraziare: concretamente, suggerisco di (I) venire a fare una preghiera in chiesa, (II) di ringraziare una persona che se lo è meritato, (III) di scrivere su un quaderno quattro o cinque motivi molto concreti per cui io posso essere grato, in questo periodo. Queste tre cose, una volta alla settimana, richiedono meno di cinque minuti e operano benefici per una vita intera.

2)Avere una piccola lettura spirituale. Può essere l’appuntamento con questa rubrica settimanale, oppure il commento alle letture del giorno con uno dei tanti sussidi che esistono, oppure un bel libretto… che potrebbe farvi compagnia in estate, accanto al vostro romanzo preferito!

 

Lo stato di salute della Chiesa

C’è, infine, una cosa ben più preoccupante, una pandemia molto più difficile da sconfiggere. È il virus che colpisce la fede, rende difficile credere, fa sentire la vita ecclesiale come asfittica e, soprattutto, le nuove generazioni dalla vita cristiana, quasi come se fosse inconciliabile con la loro giovane e bella età. Ma non dobbiamo crederci! È la distorsione del virus che provoca queste cose! Come i polmoni sono fatti per respirare, così la vita cristiana è fatta per i giovani… perché la fede rinnova il mondo e lo Spirito lo ringiovanisce, quindi se non si trova questa corrispondenza è perché noi non siamo abbastanza coerenti. Ricordiamo che il Risorto, nelle catacombe dei primi cristiani, è rappresentato come un giovane!

Chiediamo a Maria, quindi, anche la salute della Chiesa e della pastorale. Invito tutti voi, in modo particolare i responsabili, a pensare con coraggio, quest’estate, a come vivere la pastorale in modo ancora più evangelico e bello, perché la nostra comunità cresca, sia piena di giovani e sia un luogo dove si condivide la fede volentieri.

Don Davide




Desiderio

Alla presenza di Maria Maddalena fuori dal sepolcro il mattino di Pasqua sono associate spesso, nella tradizione cristiana, le parole del Cantico dei Cantici: Il mio amato! L’ho cercato e non l’ho trovato! Dov’è l’amato mio? (cf. Ct 3,1-2)

È un desiderio struggente, che Maria Maddalena – inizialmente – esprime semplicemente come bisogno di rivedere Gesù nella morte, di onorare almeno la sua sepoltura. Sarà poi la voce del Maestro a invitarla a sperimentare qualcosa di più grande, un traguardo inimmaginabile del suo desiderio: riabbracciarlo, saperlo vivo, continuare a vivere l’esistenza con lui.

La Pasqua è caratterizzata da questo desiderio; così, anche il traguardo della resurrezione per ciascuno di noi.

San Paolo, nell’Epistola che si legge durante la Veglia Pasquale, afferma che noi siamo realmente risorti non perché abbiamo già attraversato la morte biologica (“l’ultimo nemico che sarà sconfitto” cf. 1Cor 15,26), ma perché viviamo una vita nuova (cf. Rm 6,4).

Noi possiamo realmente vivere da risorti, e questa possibilità è resa concreta dal desiderio che ci sta davanti.

Il desiderio è una “distanza” non del tutto colmata, ma che ci fa sentire che possiamo vivere qualcosa di buono. Se un desiderio è bello rinforza l’amore, come due innamorati che si corteggiano e si cercano.

La Pasqua si celebra dopo la prima luna piena di Primavera. È legata alla rinascita del tempo e delle stagioni (ricordiamoci che per gli ebrei era il primo mese dell’anno!), al desiderio di uscire dall’Inverno, ma non ancora in un sole pieno di mezzogiorno d’estate. In quel desiderio e primo germoglio di rinascita c’è già tutta la forza della resurrezione.

Associamo a questo desiderio di rinascita, ad esempio, la speranza che la pandemia sia definitivamente superata. Pensiamo: “Chissà se sarà la volta buona?!”. Non è sbagliato. Sappiamo che la Pasqua ha a che fare con questo rinnovamento di tutto il creato, (come si canta nei salmi della Veglia: “Mandi il tuo Spirito Signore e rinnovi la faccia della terra”), e il desiderio che ciò avvenga è esso stesso scritto nei nostri cuori con l’inchiostro della resurrezione.

Ogni anno ci prepariamo alla Pasqua impegnandoci per un incontro più vivo con Gesù, con la speranza che il Vangelo plasmi più significativamente la nostra vita. Ogni anno, se siamo un minimo accoglienti, questa trasformazione accade realmente, per la grazia che scaturisce da questi giorni. La nostra vita si rinnova; il nostro desiderio ci sta ancora davanti, ma celebriamo la Pasqua.

Preghiamo nei giorni santi per tante situazioni che ci stanno a cuore, quelle difficili o speranze belle. È la fiducia nella resurrezione che ci spinge: che qualcosa si sistemi, che una condizione cambi e migliori. Non sono velleità e non siamo smentiti. In questo desiderio, che non è mai completamente realizzato, c’è l’alba della resurrezione.

Il Signore Gesù ci chiamerà oltre. Ci farà vivere, ci farà sentire il suo abbraccio. Con enorme sorpresa ci farà superare soglie che pensavamo mortali.

Lo sentiremo vicino. Anche quando (di nuovo) si sottrarrà ai nostri occhi, non ci sentiremo soli. Seguirà i nostri passi, permettendoci di onorare il dono della vita, fino a che l’ultimo nemico ad essere sconfitto sia la morte.

Don Davide




San Valentino e la pandemia

La ricorrenza di San Valentino segna un anniversario importante, per la nostra comunità. Un anno fa, subito dopo gli incontri festosi e le celebrazioni solenni, iniziavano a diffondersi le prime notizie sulla presenza del Coronavirus, che avrebbero portato il 23 febbraio alla decisione di chiudere le scuole, inizio ufficiale della pandemia in Italia.

Il doloroso anniversario di tutto il nostro paese risuona con echi specifici per noi: di fatto, la Festa di San Valentino dell’anno scorso è stata l’ultimo momento di grande partecipazione comunitaria – insieme all’Assemblea della Zona Pastorale del 23-02-2020 – con le chiese piene e gli incontri amichevoli fitti. Dopo, tutto è stato fatto a singhiozzo e con mille limitazioni.

In questo anniversario io voglio leggere un nitido segno di fiducia e desidero infondere in tutti un grande incoraggiamento.

A distanza di un anno, magari bassa sull’orizzonte, brilla la speranza.

Dobbiamo affrontare ancora tutto quello che manca e sostenerci vicendevolmente per costruire. Non è solo il tema di “non abbassare la guardia”, per me è molto di più: fare crescere la solidarietà e l’amicizia; guardare a quanto di buono possiamo e potremo fare insieme; continuare ad essere esemplari e ad aiutarci tutti, finché non racconteremo di questi anni nei libri di storia. Poi ci saranno altre difficoltà e cercheremo di essere pronti.

Mi sembra bello ascoltare proprio in questo giorno di San Valentino la liturgia domenicale, in cui si staglia la parola di Gesù: “Lo voglio, sii purificato!”. Nessun cedimento al fideismo o a un’interpretazione magica come se Gesù – improvvisamente – da domani facesse andare bene tutte le cose. Quello che ascoltiamo nella fede, invece, è la conferma che la volontà buona di Dio è che l’uomo viva in un modo sano; Gesù non dice: “Sii guarito”, ma: “Sii purificato”.

Guariti nel corpo, quindi, ma soprattutto sanati e purificati da tutte quelle cose che potrebbero avere fatto male all’anima, allo spirito e alle relazioni.

Gesù, con la sua parola ci fa questo regalo e lascia alla nostra fraternità e alla nostra capacità di comunione il compito di saperlo accogliere e farne tesoro.

Don Davide




Molti posti

Nella “casa del Padre” – dice Gesù – c’è un sacco di posto, che bello! Lì non ci sarà distanziamento fisico che tenga: ci staremo tutti, senza problemi! Ma… poi… ci sarà il “fisico” in cielo? A quanto pare sì, un fisico trasfigurato, ma reale: quello di Gesù che, risorto, mangiava con i suoi discepoli sulle sponde del lago.

StadioLo hanno chiamato (lo abbiamo tutti chiamato) “distanziamento sociale” e anche solo questa piccola nota dovrebbe renderci avveduti della crisi in cui siamo sprofondati! Macché distanziamento sociale! Il distanziamento è stato solo fisico e guai a chi vorrebbe latentemente proporre – quasi come un messaggio subliminale – la frammentazione della società. Il nome più antico del Diavolo, ci insegna Gesù, è Divisore e Menzognero.

Nella “casa del Padre” niente distanza, di nessun tipo! Anzi, dove è Gesù, lì saremo anche noi, come se ci tenesse in braccio, come sue pecorelle.

In questi giorni, questa consapevolezza è la base su cui risuona l’invito di Gesù a “non essere turbati”. Ce ne sarebbero parecchie di ragioni per essere turbati, almeno per me: in primis l’idea di tornare a celebrare la messa, che è fatta di carne e di sangue, in una distanza fisica forzata.

Ma voglio dare credito alla parola di Gesù, non voglio che il mio cuore sia turbato. Desidero avere fede in Dio e fiducia in Gesù, che “nella casa del Padre” c’è posto e la possibilità di essere vicini per tutti. E so che la “casa del Padre” non sarà solo il Cielo, il Paradiso, ma è già oggi quell’edificio spirituale costruito dai legami d’affetto, dalla comunione di intenti, dalla stessa partecipazione alle fatiche di tanti fratelli e sorelle nella fede e non solo, di tanti uomini e donne di buona volontà.

Non sappiamo davvero quale sia la strada: non lo sappiamo per la nostra pastorale, non lo sappiamo riguardo al convivere sociale, non lo sappiamo ancora negli aspetti sanitari.

Il Vangelo ancora una volta ci conferma che non è un problema drammatico essere disorientati e non individuare la meta lontana. Possiamo pensare a Gesù, guardare il suo volto, fare riferimento a lui. Possiamo chiederci: cosa farebbe Gesù qui al mio posto? Quale passo muoverebbe lui, in questo cammino così urgente che devo percorrere? Che scelta percorrerebbe lui, con la sua mitezza, il suo amore, la sua saggezza?

Dobbiamo ancorarci con una certa dose di umiltà e di immediatezza alla sua parola, proprio alla parola di Gesù viva che risuona in quella scritta del Vangelo ed è per questo che vorrei, nei prossimi mesi, suscitare dei piccoli gruppi informali che si trovino a leggere il vangelo per qualche minuto, nei cortili della parrocchia o delle case, per lasciarci guidare da lui. Torneremo su questa possibilità.

Ora, desidero consegnarvi queste righe bellissime, scritte da San Giovanni Crisostomo, che mettendo insieme la certezza di essere chiesa anche “in pochi”, l’unione spirituale che varca i numeri esigui a cui siamo costretti, il tesoro della Parola di Dio e –

– la presenza accanto a noi del Risorto, compendia tutti i motivi per cui non dobbiamo davvero lasciarci turbare:

“Non senti il Signore che dice: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro»? (Mt 18, 20). E non sarà presente là dove si trova un popolo così numeroso, unito dai vincoli della carità? Mi appoggio forse sulle mie forze? No, perché ho il suo pegno, ho con me la sua parola: questa è il mio bastone, la mia sicurezza, il mio porto tranquillo. Anche se tutto il mondo è sconvolto, ho tra le mani la sua Scrittura, leggo la sua parola. Essa è la mia sicurezza e la mia difesa. Egli dice: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20)”.

Don Davide




Sorrisero a vedere il Signore

In questi giorni sono andato in farmacia con la mascherina, ovviamente. C’era una dottoressa che non conoscevo, è stata gentile. Poi qualcuno ha fatto una battuta, abbiamo riso tutti, lo si capiva dagli occhi.

Uscendo, però, ho pensato che la mascherina mi aveva impedito di distinguere il sorriso di quelle persone. Il sorriso di una persona che conosci lo ricordi e lo riesci ad immaginare. Il sorriso di uno sconosciuto è come fargli l’identikit: capisci subito se sorride ma è forzato, se ha qualche preoccupazione, se è stanco oppure se è un sorriso aperto e spontaneo. Senza sorriso, quel gesto che scolpisce il volto, non si può quasi dire di avere “visto” una persona.

sorriso

Il Vangelo di questa domenica dice che Gesù si fece trovare improvvisamente nel mezzo dell’assemblea dei suoi discepoli, superando i muri e le porte chiuse, e che i discepoli “gioirono al vedere il Signore” (Gv 20,20).

Uscendo dalla farmacia mi è tornata in mente proprio questa frase: “i discepoli gioirono al vedere il Signore”.

I pochi che c’erano sotto la Croce, per lo più discepole, insieme a Giovanni e Giuseppe d’Arimatea, l’ultima volta lo avevano salutato con un sudario sul volto, qualcosa che ostacolava lo sguardo.

Ora lo vedono e gioiscono. E immagino un sorriso aperto di tutti, un sorriso ben visibile e festoso. E baci, abbracci, incoraggiamenti. Forse, di questi tempi, si potrebbe addirittura parafrasare: “E i discepoli sorrisero al vedere il Signore, senza quel sudario che assomigliava tanto a una mascherina…”

Attenzione, non ho nulla contro le mascherine, che sono un presidio sanitario fondamentale e che ci permetteranno di vivere una quasi normalità nei mesi che verranno.

Vorrei esprimere solo il desiderio di volti recuperati e abbracci restituiti. In questa speranza, che ha gli echi di una melodia struggente e a tratti lancinante, creiamo uno spazio per tutte le persone che stanno facendo più fatica: sappiate che, come ha detto papa Francesco, siamo tutti sulla stessa barca. Pochi sono gli eroi e i forti non sono nemmeno loro sempre forti. La pesantezza la sentiamo in tanti. E questo punto di partenza condiviso ci fa sentire almeno un po’ consolati, e sicuramente anche propositivi.

Abbiamo celebrato Pasqua e ora ripartiamo da qui.

Il Signore risorto riavvia il nostro cammino: guardiamo al futuro, un futuro prossimo, progressivo e lontano, senza stare con le mani in mano, ma sapendo che è parte essenziale della testimonianza della resurrezione anche la possibilità di tornare a vedere e sfiorarsi, e che noi ci impegniamo per questo attraversando ogni cosa.

Don Davide




Vedere la gloria di Dio

Ci sei o non ci sei? 

La grande domanda che guida il racconto della resurrezione di Lazzaro – il Vangelo di questa V Domenica di Quaresima – la domanda identica che esprimono sia Marta che Maria è legata all’assenza di Gesù, che ci fa sentire soli, o alla sua presenza, che ci custodisce: Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto”. 

Ci sei, Gesù, nella mia vita di credente? 

Ci sei, quando mi sento solo e affaticato? 

Ci sei in mezzo a questa epidemia, per curare le persone che muoiono o non ci sei? 

A differenza del famoso racconto di Gesù nella casa di Marta e Maria, qui scopriamo che è Marta ad avere una fede più grande, è radicata nel rapporto con Gesù, dialoga con lui e raggiunge una delle più grandi professioni di fede che si possano immaginare, forse la più grande di tutto il vangelo: “Io credo che tu sei il Messia, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo!”. Dire di più di così, non si può. 

Questa sua professione di fede, però, non chiude il discorso. Al contrario, coinvolge il cammino di tutti, il cammino dei singoli, il cammino dell’esperienza di un popolo, e il cammino di una comunità. 

Marta va a chiamare sua sorella, la interpella, le lascia spazio, accetta che anche lei compia un cammino e faccia i suoi passi, favorisce il suo incontro. 

“Il Maestro è qui, e ti chiama!” 

Il Maestro è qui, c’è eccome. Entra in tutte le situazioni, non fa venire meno la sua presenza. Sa che Lazzaro è morto. Si è accorto che c’è tanta sofferenza e difficoltà. E chiama te!  

Questo è il momento di incontrarlo. 

Questo è il momento di una vocazione. 

È stupendo che Gesù non consumi l’incontro come un fuoco con la stoppia. Lui aspetta la sua amica fuori dal villaggio. Le concede il tempo di un piccolo cammino, di uscire da se stessa, di pensare quello che lei vuole dirgli. 

Maria è più in difficoltà di Marta. Forse è arrabbiata con Gesù, si ferma all’obiezione, non ha altre parole. Dice solo: “Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto.” Non aggiunge nessuna professione di fede, anche se già questo lamento agli occhi di Dio è una supplica piena di amore e di fiducia. 

E piange. 

Maria è in crisi, ha bisogno di attraversare  il dolore e la commozione insieme a Gesù. E Gesù piange con lei. E di fronte a questa scena di dolore così intensa, tutti piangono. Gli abitanti di Betania sono scettici: “Costui che ha ridato la vista al cieco, non poteva fare sì che il suo amico Lazzaro non morisse?”. 

Anche Marta, che pure aveva fatto quella professione di fede grandiosa, vacilla, ed è sopraffatta dal dolore. Pensa che in fondo, nemmeno Gesù lo possa affrontare davvero. “Signore è già tardi… in realtà le nostre speranze sono svanite. Rimane solo l’amicizia, l’affetto, il conforto umano.” 

Qui Gesù tiene il punto: “Non ti ho detto che se crederai, vedrai la gloria di Dio?” 

La gloria di Dio, per gli ebrei, non è qualcosa di spirituale, di astratto. Al contrario è un’esperienza molto concretauna presenza ingombrante. Il segno tipico della gloria di Dio era il fumo denso che riempiva la tenda del santuario di Dio, al punto che nessuno, quando la Gloria era sulla tenda, poteva entrare o uscire.   

Qual è dunque, quest’esperienza così concreta e decisiva? È la fede di un singolo e di una comunità che viene suscitata nei nostri giorni fragili, e il fatto di condividere la lotta contro la morte di un intero popolo. 

Attenzione perché qui si rischia il più grande fraintendimento alla storia di Lazzaro. Il messaggio non è la sua rivitalizzazione, perché di fronte a quella, noi pensiamo subito all’illusione di non morire mai, e diciamo: “Eh, ma i nostri morti non li fai rivivere!”. Il punto decisivo, per noi, è che possiamo credere in Gesù, come singoli e come popolo, e avere una nuova esperienza di vita solo affrontando e attraversando la questione della morte. 

Soltanto in questa luce trova senso la decisione apparentemente assurda e macabra di Gesù di tardare la visita a Betania, per poi andare dopo a resuscitare Lazzaro. Gesù vuole che non esorcizziamo la morte, ma che la consideriamo nella nostra vita, compiendo il cammino della fede e tenendo ferma la speranza.  

Ve lo immaginate Lazzaro, fuori dal sepolcro? Gesù gli dice, vieni fuori, ma doveva essere ben difficile camminare mummificato! 

Allo stesso modo, guidati dalla fede e chiamati dalla speranza, anche noi compiamo piccoli passi, legati, incerti, in equilibrio precario, e veniamo sciolti dalle bende della morte che ci avvolge e vorrebbe impedirci di andare. 

Ieri un amico mi ha scritto: “Io posso anche morire domani, se ho imparato ad amare.” 

Cos’è che rende piena improvvisamente la mia vita con un atto d’amore? 

Questo è il punto cruciale del racconto della resurrezione di Lazzaro: ed è bellissimo vedere come inizia da una professione di fede, incontra una fede in difficoltà, attraversa il dolore e la compassione, suscita la fede di una comunità intera. 

Forse, una testimonianza resa così, sarà la vera nuova evangelizzazione della Chiesa. 

Don Davide

Nebbia