Germoglio di luce

Guardo al meraviglioso trittico sull’Eucaristia di Ettore Frani e penso al buio e alla lucealla cecità e a quale forma abbia la luce, che ci permette di vedere. 

È un’opera che ho fortemente voluto nella nostra chiesa, e in questi giorni l’ho contemplata molto: il calice e il pane sembrano anch’essi solitari, offerti su una tavola dove c’è solo la tovaglia, una mensa non imbandita, in attesa che a qualcuno sia lecito avvicinarsi, voglia prenderli e possa riceverli. Sono circondati di buio, eppure su di loro c’è una luce: li definisce, rischiara la solitudine e ne interrompe la forza. Questa luce, che viene dall’alto, offre al calice e al pane una promessa per l’avvenire. 

Al centro questo sipario di luce, ormai amico, che ci invita a salire e ad entrare. Salire, nella Bibbia, è il segno della fine dell’esilio. Entrare è il gesto dei cercatori di Dio. Si sale a Gerusalemme e si entra nel Tempio.  

Che cosa ci chiede il Signore in questi giorni? 

Che cosa vuole dire che apre i nostri occhi? 

Leggendo il vangelo di questa domenica, il racconto del cieco guarito (Gv 9), troviamo subito la domanda che tenta tutti, persino i discepoli di Gesù: chi ha peccato perché lui si trovi nel buio? 

Ascolto, innanzitutto, la dichiarazione forte del Signore che le cose non stanno così: né lui, né nessun altro; bisogna invece guardare a Dio che compirà la sua opera. Una cosa molto importante da ascoltare in questi giorni, in cui – anche se siamo nel 2020, anche se papa Francesco ci invita a parlare della misericordia – si trova ancora qualcuno che dice che l’epidemia potrebbe essere interpretata come il giudizio di Dio sulla storia, come se il fatto che alcune opere degli esseri umani appaiono in qualche caso perverse, dovesse indurre anche Dio ad essere malvagio. Non è così. 

Gesù in persona ci dice che non è così. 

Io sono quel cieco. Io ho bisogno di vedere. Ma so che le cose non stanno nel segno di una maledizione. Io devo vedere la luce che si apre la strada, che sfavilla in mezzo al buio; questa luce viene sempre dall’alto, è la luce di Dio: questa è la verità. Non la maledizione, ma c’è una luce che Dio manda nel buio come benedizione: questa è la cosa che fa Dio e questa io devo ricercare.  

Nel capolavoro di Michael Ende La Storia Infinita, c’è una scena meravigliosa, quando il Nulla sembra avere prevalso su tutto. Rimane solo la relazione di amicizia tra i due protagonisti, Fiordiluna – la Regina dei Desideri – e Bastian. Essi sono come sospesi, senza spazio né tempo. “Dove siamo Fiordiluna?” domanda Bastian. E la regina risponde: “Io sono con te, tu con me”. Nel buio più completo, Fiordiluna tiene in mano un germoglio di luce. “Vorrei tanto rivedere il tuo volto” dice Bastian. Da questo desiderio il germoglio di luce si accende, illumina i due protagonisti, che si scoprono vicinissimi, e inizia a creare il nuovo regno di Fantàsia. 

Entrambe queste cose servono per ri-vedere: l’ascolto – anche nel buio – e il desiderio di vedere un volto.  

Il cieco nato, ormai guarito, si trova di fronte a Gesù, il suo taumaturgo, eppure non lo riconosce per chi veramente è. Chi è il Messia, perché io possa credere in lui?” domanda. E Gesù: “Sono io che parlo con te”.  

Abbiamo desiderio di vedere il volto di Dio e di vedere la sua opera che ricrea il mondo, un mondo meraviglioso e lussureggiante, più bello e più sano di quello precedente. Lo ascoltiamo anche nel buio, anche senza vederlo, nella fede. Sappiamo che lui è con noi, e noi insieme a lui.  

Lo stesso, vale, per ogni nostro fratello e sorella: l’ascolto, la relazione che ci fa scoprire vicinissimi e il desiderio di rivedere il volto. 

E il germoglio della luce divina darà origine a un mondo rinnovato. 

Don Davide 




Parola e speranza ai giovani

Passata la Domenica in Albis, in questa domenica di festa in cui 28 bimbi della nostra parrocchia fanno la Prima Comunione, desidero riproporre le due belle testimonianze di Maria Clara e Anna Giulia – in rappresentanza dei giovani – all’inizio della Veglia Pasquale.

Abbiamo dato parola ai giovani perché lo ha chiesto Papa Francesco, in quest’anno dedicato al Sinodo dei Vescovi sui giovani, che si celebrerà a ottobre.

In questo modo vogliamo anche fare una specie di augurio ai bimbi che vivono in questa domenica il loro primo incontro con Gesù nell’Eucaristia.

Ci auguriamo di saper dare loro spazio all’interno della comunità cristiana; che trovino una chiesa giovane e viva, accogliente per la loro fede e la loro umanità, e che loro – i bimbi di oggi, uomini e donne di domani – possano concorrere a renderla sempre più bella.

Don Davide

 

(Prima testimonianza) Cosa ti auguri per la Chiesa in rapporto ai giovani?

In questa notte in cui Gesù, dopo averci svelato nella sua vita terrena la sua natura di uomo debole, fragile e mortale, e aver condotto il suo amore fino all’estremo sacrificio sulla croce, è risorto per guidarci nella vita…

In questo anno 2018, in cui Papa Francesco ha scelto di porre al centro della riflessione e della preghiera della Chiesa, i giovani, tutti i giovani, qualsiasi sia la loro vicinanza a questa istituzione, dicendo loro: “Ho voluto che foste al centro dell’attenzione perché vi porto nel cuore” …

Mi auguro che tutti gli uomini di chiesa, dai parroci ai vescovi, sappiano pienamente accogliere le indicazioni del Papa,

  • promuovendo iniziative volte a valorizzare la vitalità, l’entusiasmo e l’idealità dei giovani,
  • e incanalando le loro potenzialità per arricchire la grande comunità ecclesiale che, a sua volta, deve saperli guidare e sostenere.

Mi auguro che la Chiesa sappia mostrarsi come un porto sicuro in cui sempre poter ritornare, senza sentirsi in alcun modo giudicati.

Tutte le differenze individuali dovrebbero essere accettate e apprezzate, perché ogni giovane possa sentirsi veramente accolto e, in questo modo, sia più libero di dare un contributo sincero al camminare insieme e si senta rappresentato e ascoltato nella progettazione delle proprie speranze per il futuro.

Maria Clara Chionsini

 

(Seconda testimonianza) Cosa significa, per te, credere nella resurrezione?

Per me credere nella resurrezione significa credere nella resilienza. Credo che la resurrezione ci metta davanti alla possibilità di scegliere tra le cose giuste e quelle sbagliate, tra l’agire e l’essere passivi; ci chiede di scegliere da che parte stare.

Credere nella resurrezione significa, per me, sapere di avere sempre una speranza e una possibilità, se so essere abbastanza forte da accoglierla e sceglierla.

Credere nella resurrezione significa avere fiducia nell’essere sempre accompagnata da lui, da Gesù che è vivo e presente, che mi rassicura di potere superare le difficoltà che la vita mi ha posto, mi pone e mi porrà davanti.

Anna Giulia Ballardini




Le Palme, i mantelli, i tappeti

Mentre Gesù entrava a Gerusalemme, osannato come un re, lo coprivano con rami di palma e lo festeggiavano scuotendo rami di ulivo e stendendo mantelli e tappeti al suo passaggio.

Il vangelo non lo dice mai, ma in quel giorno a ridosso della festa di Pasqua, Gesù deve avere pensato, da buon ebreo osservante, anche ad un’altra festa: quelle delle Capanne, che si celebra molto più avanti, in autunno.

Gli ebrei costruivano capanne con rami di palma e frasche, per ricordare di avere dimorato in capanne, durante il cammino nel deserto, e per celebrare i frutti del raccolto.

Osservando quella folla esultante, Gesù deve avere meditato ancora sulla sua vita itinerante – “il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Lc) – un cammino di uscita da se stesso per amare ogni uomo e ogni donna. Deve avere ammirato, con una certa tenerezza, gli effetti di un primo raccolto, che aveva conquistato tante persone, anche se lo deve avere guardato con quella benevolenza che si ha con i bimbi, quando ti raccontano un traguardo precario e solo iniziale.

Forse, in quel momento, gli è balenata l’intuizione di un altro itinerario, dentro e fuori Gerusalemme: dalla sera dell’ultima cena, attraverso la veglia nel giardino degli ulivi e la notte dell’arresto, poi di nuovo dentro al pretorio, di fronte a Pilato, e ancora fuori, nel luogo della crocifissione.

Una folla di tutt’altro segno.

Questa è la settimana dei paradossi.

L’uomo che fa il suo esodo non più nel deserto, ma nella città, e il Dio che viene espulso dal Santuario; l’ “Osanna” e il “Crocifiggilo!”; il Figlio di Dio rifiutato e il “figlio del Padre” (= Bar-abba) redento; l’offerta di sé e la paura; la flagellazione e l’Ecce Homo; la morte e la vita; la notte delle tenebre che risplende come luce.

Entrando a Gerusalemme, Gesù, in realtà, inaugurava la festa di Pasqua, la festa che ricordava l’immolazione dell’agnello e il passaggio del Mar Rosso. Gesù vi entra come Re, per finirvi come Agnello.

In questo abissale e mesto gioco di paradossi, la grande festa cristiana ci ricorda che in un mondo pieno di contraddizioni, dove ancora si fanno le guerre e si uccidono i bambini, nonostante tutto e sempre, con una tenacia irreversibile, noi desideriamo allargare gli spazi dell’amore e servire la vita con gioia pacificata.

 

Don Davide