Intelletto

Nell’elenco indicato dal profeta Isaia, che è divenuto l’ordine tradizionale con cui si ricordano i sette doni dello Spirito Santo, il secondo è l’intelligenza o intelletto (cf. Is 11,).

L’evangelista Luca, l’autore sia del Vangelo che degli Atti degli Apostoli, per due volte tratta dell’intelletto nella liturgia odierna.

A proposito della condanna di Gesù, l’apostolo Pietro dice ai capi del suo popolo: “Io so che voi avete agito per ignoranza”; invece il racconto evangelico afferma che il Risorto “aprì ai suoi discepoli la mente per comprendere le scritture” (la traduzione precedente diceva: “aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture”.

Nel linguaggio comune si parla di diversi tipi di intelligenza:

ad esempio l’intelligenza emotiva, o un’intelligenza matematica. Per capire il significato dell’intelletto, dobbiamo pensarlo come l’aiuto dello Spirito Santo per comprendere Gesù e il suo mistero.

Si tratta di mettere insieme tutti gli indizi su di lui, come dei Sherlock Holmes della fede, attraverso tutti i nostri sensi, compresi quelli spirituali ed emotivi, per giungere a dire: “Gesù è vivo, il Signore è veramente risorto!”.

Di conseguenza,

il dono dell’intelletto ci fa vivere sempre nella luce della resurrezione:

plasma il nostro percepire a partire dalle tracce della vita di Dio nel mondo, e ci aiuta a vivere non nelle tenebre del sepolcro, ma nella gratitudine per l’esistenza.

Don Davide




Sapienza

Il primo dei sette doni dello Spirito Santo

Sette domeniche ci accompagnano dalla Pasqua alla Pentecoste. Ho scritto sul sito internet della parrocchia che, nella vita spirituale, questo è il tempo più importante dell’anno, anche se nella formazione cristiana siamo stati abituati a impegnarci particolarmente nella Quaresima. Invece è in questo periodo che la fede cristiana viene illuminata nella sua verità: “Nessun vantaggio per noi essere nati, se Cristo non ci avesse redenti” è scritto nell’Annuncio Pasquale, il grande inno che apre la Veglia Pasquale.

Nell’itinerario di questo periodo approfondiamo la verità della resurrezione, che dà senso al dono della vita di Gesù e nostra, e che sigilla la bontà del Vangelo. Dalla resurrezione di Gesù deriva poi il dono dello Spirito, che anima la vita della Chiesa e la rende testimone efficace del Risorto.

Per questo motivo ho scelto di dedicare le prossime sette domeniche a un percorso di catechesi pasquale, in preparazione alla Pentecoste, attraverso i sette doni dello Spirito Santo. Le domeniche del tempo di Pasqua non sono scandite dall’ordine dei suddetti doni, ma scopriremo che ci sono molti contatti e molte luci che possono derivare da questi collegamenti, che ci aiuteranno a fare un vero percorso spirituale e anche a cogliere, con inedita ricchezza, qualche particolare del Vangelo e degli appuntamenti che vivremo in queste settimane (ad es. i sacramenti del catechismo, la visita della B.V. di S. Luca).

Iniziamo, dunque dal dono della Sapienza che è il primo dei doni dello Spirito, e va a braccetto con l’ultimo: il Timor di Dio.

“Principio della sapienza è il timore del Signore” recita la massima sapienziale più importante di tutta la Bibbia. Il primo e l’ultimo, l’ultimo e il primo dei Sette (guarda caso, il numero perfetto!): la Domenica in Albis – giorno splendente della Pasqua dei neofiti – e la Domenica di Pentecoste – giorno splendente della neofita Chiesa – che annuncia il Cristo senza alcuna paura (il Timore, lo scopriremo, è molto diverso dalla paura!).

Viene in mente l’immagine del serpente che si mangia la coda, antico simbolo dell’Eterno Ritorno, ma qui c’è una differenza sostanziale: Sapienza e Timor di Dio, Pasqua e Pentecoste, non si richiamano in un cerchio chiuso in se stesso, ma piuttosto in un movimento a spirale, dove il cerchio è sempre aperto, sempre un po’ più grande e spinge sempre in alto come un vortice di bene, verso nuovi orizzonti e a un’esplorazione infinita.

Così il dono della Sapienza, a braccetto con il Timor di Dio, ci aiuta a comprendere, nella luce della Pasqua, il nuovo ordine di Dio,

dove la resurrezione sblocca ogni cosa fissa e perduta portando vita, dove il ladro pentito viene accolto nel Regno dei Cieli, la morte è sconfitta dall’amore, la violenza è riscattata dal perdono, i disperati vengono persuasi della speranza, gli sfiduciati della fiducia, ai poveri è annunciata la buona novella e il nostro intimo si apre alla vita spirituale.

La Sapienza viene donata a noi quando abbiamo rispetto dell’opera di Dio e ci accostiamo ad essa con umiltà e fiducia: “Ecco l’opera di Dio: una meraviglia ai nostri occhi!”, esclama un salmo (117,23).

Non basta vedere fisicamente, si tratta di guardare con gli occhi del cuore e dell’amore. Esattamente come è accaduto ai discepoli, che vedevano Gesù risorto e non lo riconoscevano, poi quando cominciavano a guardare con gli occhi del cuore, tutto diventava chiaro.

La Sapienza, dunque, è il dono dello Spirito Santo che ci fa vedere con uno sguardo penetrante la vita risorta nella vita vecchia del mondo.

È il dono che ci rassicura che l’ordine nuovo è quello della resurrezione, e anche se ci sembra che non ci siano pace, amore e armonia, in realtà esse ci sono, sono state seminate nel cuore di chi crede nella resurrezione, e sono destinate a crescere, e – come in un vortice di bene – ad avvolgere tutto.

Don Davide




Abbeverarsi, in cima

“Tutti siamo stati dissetati a un solo Spirito” (1Cor 12,13).

Siamo arrivati in cima. L’ascensione è stata bella, ma faticosa (chiedetelo a chi ha riportato la B.V. di S. Luca al santuario, in un torrido e improvviso pomeriggio estivo dopo giorni di freddo e di pioggia!).

Come la Pentecoste è la pienezza della Pasqua, perché lo Spirito rendere sempre presente il Risorto, così raggiungere la meta di una gita dà un senso di compiutezza, anche se rimane tutto il ritorno!

Riposo

Ora, però, è il momento di mangiare e di dissetarsi.

Non importa se durante il cammino abbiamo finito l’acqua: c’è una fonte, a cui riempire le nostre borracce.

È acqua di sorgente, fresca, perfetta per accompagnare un buon panino, un frutto e un dolcetto.

Tutti sanno, in realtà, che quando arrivi al traguardo di un bel sentiero, quello che ti ristora veramente è la vista del panorama aperto, la policromia della roccia, dei prati e dei laghetti.

Eravamo idealmente rimasti al Rifugio Locatelli… perciò attingiamo forza ed entusiasmo dalla maestosità delle Tre Cime di Lavaredo.

Le Tre Cime come la Santissima Trinità, spero che mi perdonino i teologi…

ma lo scrive anche Paolo nella Lettera ai Romani: l’amore di Dio viene versato nei nostri cuori per opera dello Spirito Santo che ci è stato dato, grazie a Gesù (cf. Rm 5).

Ritorno

Nei momenti in cui ti senti rincuorato dallo Spirito, ti verrebbe voglia di fermarti in quel calore, di goderti tutta quella pace. Ma i discepoli avevano imparato la lezione sul Tabor. E ora dal Cenacolo, vengono spinti fuori, come quando, dopo il riposo, ti senti ricaricato di energie e sei pronto a scendere a valle e a completare il tuo itinerario.

Non c’è in gioco solo una gita, ma il terminare un’impresa.

Ci sono ancora molti e nuovi paesaggi da contemplare. Gli itinerari belli, sono quelli che ritornano “per un’altra strada” come i Re Magi.

Ho ancora negli occhi, scendendo dal famigerato anello delle Tre Cime, un tappeto di prati irrigati da piccoli ruscelletti, una copia del Paradiso Terrestre – o forse l’originale? – ricamato da una miriade di fiori bianchi e lievi come piccoli batufoli di cotone. Mi fecero pensare alla manna nel deserto: doveva proprio essere così!

Ogni ritorno è caratterizzato da un dono di forze che sostiene il cammino: può essere la meraviglia negli occhi, il cuore grato, una parola che ricevi e che ti accompagna, le gambe – anche quelle spirituali – che ormai vanno da sole o qualsiasi altro segno di bellezza.

Il ritorno è sempre segnato dalla gratitudine per il cammino alle spalle, e dal fatto che non cessano nuove scoperte.

Racconto

Infine, il racconto. Quando hai fatto un’esperienza così bella, non puoi fare a meno di condividerla. Qualcosa racconti, qualcosa rimane nel tuo intimo. Di un paesaggio puoi fare una descrizione, ma alcune emozioni sono come una cassaforte personale, perché non si possono tradurre a parole.

Così è la testimonianza dell’amore di Dio nello Spirito Santo. Non puoi tenerla con te, non per fare proseliti, ma perché semplicemente è impossibile non condividere tanta bellezza. Eppure, l’ampiezza, la profondità e la luce di quel paesaggio incantato, così come gli orizzonti molteplici definiti dalle catene montuose che si inseguono e sovrappongono, possono essere raccontate solo per approssimazione.

Così è anche l’esperienza spirituale.

Qual è la vastità e il miracolo dell’opera di Dio nella vita di una persona, magari di un giovane nei passaggi decisivi della sua esistenza? Che cosa accade, davvero, tra Dio e ciascuno di noi?

Raccontare è come scrivere la pagina della Pentecoste. E tuttavia, quello che è successo avrà sempre il “di più” che trabocca in ogni storia d’amore.

 

Don Davide




Un altro consolatore

“Vi darà un altro Consolatore” (Gv 14,16).

Evidentemente Gesù sapeva che il mondo ha un immenso bisogno di consolazione.

Etty Hillesum, nel suo meraviglioso Diario scrive: “Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite.

Questa frase interpreta magistralmente l’intenzione di Gesù: non solo lo Spirito Santo è un “altro” consolatore, ma anche tutti coloro che questo Spirito lo accolgono e se ne lasciano trasformare, al punto di essere balsamo, per molte ferite.

Vorremmo rubare le parole attribuite a S. Francesco nella Preghiera semplice e parafrasarle:

“O Signore, fa di me uno strumento della tua cura.

Dove c’è una ferita, che io possa essere balsamo; dove c’è la guerra, ispirami la pace. Dove ingiustizia, rendimi giusto. Dove manca l’amore, aiutami ad amare.”

Allo stesso tempo, Signore, fa’ che io stesso sappia di avere bisogno di consolazione, per essere umile e affidato e sentire che il conforto è sempre essere gli uni assieme agli altri, e ciascuno insieme con te.

Don Davide




Il cuore trafitto

Il prodigio più grande operato dallo Spirito nel giorno di Pentecoste, non è probabilmente il miracolo delle lingue, ma la conformazione degli uditori della Parola a Gesù.

“Si sentirono trafiggere il cuore.” (At 2,36).

È Gesù l’uomo dal cuore trafitto (Gv 2,34): un varco per accogliere le ferite del mondo, da cui ne viene un parto di vita.

È, dunque, il suo cuore trafitto la porta delle pecore (Gv 10,7): non abbiamo altra possibilità, come dei novelli Tommaso, che entrare nel cuore di Gesù e imparare i suoi sentimenti, la sua sensibilità.

“Che voi avete crocifisso – dice Pietro – e si sentirono trafiggere il cuore.” (At 2,36).

Don Tonino Bello parlava dei «crocifissi della storia». Papa Francesco parla degli «scarti».

Chiediamo la grazia di sentirci trafiggere il cuore, perché ne venga un parto di vita.

Che il dispiacere sia così insopportabile da spingerci a fermare le guerre, da anelare alla giustizia, da farci carico del destino dei fratelli e delle sorelle in difficoltà e del pianeta avvelenato.

Chiediamo la grazia di sentirci trafiggere il cuore per la tanta sofferenza che ci circonda, l’amore ferito e tradito, l’amicizia affaticata, le vite che invece di espandersi incontrano difficoltà e i giovani angustiati o bloccati.

Chiediamo, infine, la grazia di sentirci trafiggere il cuore per i nostri peccati, perché possiamo riconoscerli e non restarne indifferenti, e perché la vita in abbondanza (Gv 10,10) entri in questo cuore trafitto, e quindi aperto, come esperienza e conferma della grande amorevolezza di Dio.

Don Davide




“Vuoi uscire con me?” (Under 20 video+testo)

Prima di tutto, ti invito a guardare questo video.

Lo Spirito Santo è una persona silenziosa, che sta accanto a noi anche quando non ce ne accorgiamo. Possiamo essere pensierosi, distratti, ogni tanto avvertiamo la sua presenza, ogni tanto percepiamo la sua assenza. Lui ci osserva rispettosamente e intanto prepara una storia.

Fino al momento in cui soffia il suo vento, solo per chiederti di “uscire” con lui.

“Tu hai fatto tutto questo solo per chiedermi di uscire?” potresti dire anche tu.

Lui, lo Spirito, potrebbe fare diverso, ma gli interessa la tua libertà.

Su questo punto è delicatissimo. Può accettare un rifiuto.

Il giorno di Pentecoste si è fatto sentire eccome! Dirai…

Ma è più vero che il giorno di Pentecoste ha soffiato il vento, per fare scorrere le pagine di quel taccuino e farti intravedere una storia di vita. Il rombo di tuono è ciò che ha provato la ragazza del video, nel cuore.

 

Post scriptum

È finita la scuola, sei più libero. Ti propongo una piccola magia spirituale.

Pensa alla tua vita fino a qui, e focalizza cinque passaggi o momenti che ritieni decisivi. Mi raccomando: cinque, né di più, né di meno. Puoi anche scriverveli, a mo’ di diario, oppure selezionare cinque foto che li rappresentano o li simboleggiano e incollarle su un foglio di carta o metterle in una storia del social che utilizzi.

Poi, pensando a quei passaggi/momenti, chiediti: che cosa significa, per me, oggi, che questa storia mi ha portato fin qui?

Potrebbe darsi che la domanda diventi: “Vuoi riuscire con me?” 😊




Nella responsabilità

Mentre Gesù ascende, c’è sempre un richiamo a rimanere coi piedi per terra e ad essere suoi testimoni.

Così, il salire “al cielo” di Gesù, il fatto che lui non sia più concretamente presente su questa terra, incarica noi suoi discepoli e discepole ad essere ben presenti a questo mondo, a questa nostra storia, come lo è stato lui, che si è spogliato della sua potenza divina per farci conoscere il Vangelo e cosa sia la vicinanza di Dio.

Per qualche motivo assai misterioso, dobbiamo essere noi i testimoni del Risorto.

Questo è meraviglioso e tremendo allo stesso tempo.

Non so cosa darei, per sapere cosa hanno provato i discepoli e le discepole di Gesù dopo la sua ascensione e prima della Pentecoste, in quel tempo intermedio in cui avevano sperimentato la pazza gioia di riscoprirlo vivo, ma ora si ritrovavano a doversi assumere la responsabilità di questo.

C’era tutta la storia della comunità del Risorto da incominciare. C’era tutta la storia della Chiesa da scrivere. Quante pagine luminose e quante che avrebbero dovuto non esserci!

Alla conclusione di questo anno pastorale e in vista di quello che si prepara, sento la medesima sensazione: quella di trovarsi nella gestazione di nuovo inizio e di avere chiara la responsabilità che comporta per tutti noi.

La Beata Vergine di S. Luca, in un certo senso, ascende insieme a Gesù, per essere sempre accanto a lui e vigilarci dall’alto. A lei, che è stata in mezzo a noi, affidiamo questa premura, mentre attendiamo, invocanti, umili e supplici, lo Spirito del Risorto.

Don Davide




Imparare ogni cosa (Under 20)

“Lo Spirito Santo vi insegnerà ogni cosa” (Gv 14,26) è una delle mie frasi preferite del Vangelo.

La dice Gesù, parlando della forza vitale che pervaderà i discepoli del Risorto.

C’è questo Maestro interiore, che si confonde con la nostra coscienza e la nostra personalità.

Come lo riconosciamo? Dalla capacità di essere padroni di noi stessi.

Dove e come possiamo allenare questa forza?

Vi suggerisco tre cose.

1-Linguaggio sicuro

Ultimamente, sia gli adulti che i più giovani, quando gli chiedi una cosa, ti rispondono: “In linea di massima potrei…” oppure “Quel giorno penso di avere un impegno…” o cose simili. Sono tutti modi di dire che tengono aperta una scappatoia e alla fine tradiscono insicurezza. Allenatevi a dire: “Sono libero, ma voglio valutare meglio se dirti di sì o di no”, oppure: “Ho già un impegno, quindi no.” Vedrete come è difficile, e allo stesso tempo come cambia la musica…

2-Padronanza di sé

Faccio fatica a studiare, ma mi sono dato questo tempo. Non riesco a rimanere concentrato, allora evito le distrazioni. Scelgo di non guardare il cellulare per il tempo che studio. Voglio leggere 20 pagine al giorno e ascoltare 2 belle canzoni. Sono tutti piccoli esercizi che servono a diventare padroni di se. Vengono tempi, nella vita, in cui ringrazierete di non essere dei pappamolli della volontà.

3-Interiorità

Partendo dall’ABC, fatevi un glossario delle emozioni. Quando chiedo a una persona come sta, mi risponde: “Bene” o “Sono arrabbiato”. Queste due risposte dovreste proibirle dal vostro linguaggio, cominciare a riconoscere esattamente qual è la vostra emozione dominante e imparare a chiamarla per nome, come se fosse la sfumatura di un colore: esiste il verde, ma può essere verde acqua, verde bosco, verde militare, verde pisello ecc. Qual è esattamente l’emozione che stai vivendo? Come si chiama?

Scoprirete che lo Spirito è capace di insegnarvi ogni cosa.

 




Il respiro dello Spirito – Omelia di Don Davide del 31 maggio 2020

Il supplizio della croce, all’epoca dei Romani, uccideva per soffocamento, proprio come farebbe il Coronavirus, colpendo i nostri polmoni, se non fosse combattuto.

Quando ha esalato l’ultimo respiro, Gesù ha effuso il suo spirito, per fare anche di quel momento di fatica a respirare un dono. Quanto volte diciamo: “Sono così impegnato che non riesco nemmeno a respirare…”? Forse, dietro agli affanni, c’è un atto d’amore che li riscatta.

Voglio immaginare quando Gesù è tornato a respirare nel sepolcro, voglio provare a visualizzare quel primo respiro, quando i suoi polmoni si sono riempiti d’aria e il suo petto si è gonfiato e il suo corpo, come percorso da una scossa, si è trasfigurato.

Tu, Spirito Santo di Pentecoste, sei entrato dentro di lui. Tu sei il respiro, dice la parola ebraica.

In uno slancio di audacia, vorrei andare a un altro momento ancora, all’origine del cosmo e della storia, quando le particelle erano nel caos e materia e antimateria si sfidavano per il dominio e il respiro di Dio faceva le capriole come il nostro fiato d’inverno, sopra quel nulla che poteva rimanere nell’abisso.

Soffio dello Spirito

Poi c’è stato il primo respiro della Creazione. E piano piano hanno cominciato a respirare lo spazio e le stelle, il sole e i pianeti, il cielo e la terra, il mare, i fiumi, le montagne, i prati, i fiori, gli animali, l’uomo e la donna. Se ci guardiamo bene, se ascoltiamo, tutto respira.

Mi sembra che in questa Pentecoste ci sia qualcosa che ci supera immensamente. Ci siamo noi, con le sorprendenti difficoltà di questi mesi e le nostre preoccupazioni, ma poi c’è il desiderio smodato di Dio che il mondo sia investito da un respiro spirituale e che riprenda fiato, e che questa boccata d’aria pura ravvivi la nostra intelligenza, ci renda operosi nella carità e ci doni una profonda empatia con ogni essere vivente.

Tutto il contrario di quello che è accaduto nell’uccisione di George Floyd, a Minneapolis.

Quell’uomo è morto perché gli è stato premuto un ginocchio sul collo, schiacciato a terra, per 8 minuti e 53 secondi. Non è l’unica vittima innocente, ma è diventato un simbolo. Quelle immagini hanno spaventato i bimbi, indignato i ragazzi e i giovani, scatenato proteste. Quelle immagini sono la negazione di tutto ciò che è la Pentecoste. Lo Spirito fa rinsavire, ti riempie di commozione per il dolore altrui, solleva non schiaccia e, soprattutto, infrange la durezza di cuore. Non puoi fissare la sofferenza di una creatura per tanto tempo e non sentirti spezzare il cuore.

Tu, Spirito Santo di Pentecoste, sei lo Spirito che fa respirare. Sei lo Spirito della vita.

Sento che siamo testimoni di qualcosa di misterioso che accade in questa Pentecoste, e che dobbiamo imparare qualcosa.

Caro Spirito Santo, bisogna pregarti sempre, perché tu sei il vero protagonista della preghiera, ma ogni tanto ce ne dimentichiamo. Oggi, però, vorrei dirti una preghiera speciale insieme a questa comunità radunata, e ho iniziato in modo se vuoi un po’ fanciullesco, scrivendo come a un amico, come un diario:

Caro Spirito Santo…
vorrei che tu ci insegnassi a respirare: che ogni uomo e ogni donna respirino.
Io so che noi non siamo capaci di parlare ai giovani, di coinvolgerli, di accendere il loro entusiasmo e di aiutarli ad uscire all’aria aperta piuttosto che stare davanti a uno schermo… ma mi piacerebbe che potessero respirare, ben al di là delle nostre asfissie ecclesiali e delle nostre afasie.
Ti prego affinché, come chi ha raggiunto la vetta in montagna, ciascuno di noi possa respirare gli orizzonti, riconoscere il percorso fatto e nuove destinazioni, rigenerarsi, desiderare e progettare nuove vie.
Se non oso chiedere troppo, vorrei che in questo giorno di grazia, come dono della grande effusione dello Spirito sulla Chiesa, i malati riprendano a respirare e guariscano. E chi li ama gioisca.
Vorrei che anche la Terra possa tornare a respirare dall’inquinamento che le abbiamo provocato; che possano semplicemente vivere i popoli indigeni dell’Amazzonia, oppressi troppo a lungo nel disinteresse di tutti, e che l’Amazzonia stessa ricominci a respirare, invece che soffocare tra le fiamme, provocate da uomini dal respiro corto.
Infine, Amato Spirito del Signore – radunati di nuovo nelle nostre chiese come cenacoli, spaventati, sgangherati, ma pieni di speranza – come se fosse la notte di Pasqua, come se fosse il primo giorno della Creazione, fai rivivere la tua Chiesa.

Amen.




Avrete forza dallo Spirito Santo

“Finalmente, Signore! È questo il tempo in cui rimetti a posto le cose? In cui si torna a messa senza mascherina, il catechismo riprende con migliaia di bambini, facciamo l’ER e i campi… ci abbracciamo e ci baciamo!”

“Ma, veramente… – obietta il Signore – io non ho detto questo!

Delusione dei discepoli. “Cavoli, ci avevamo sperato!” esclamano schioccando le dita.

“Quello che vi posso dire – dice il Risorto – è che vi sarà data la forza: sì avrete forza dallo Spirito Santo che vi sosterrà e vi aiuterà ad essere miei discepoli e testimoni anche in questa situazione che continua ad essere complicata.”

Ho riadattato questo dialogo tra i discepoli e Gesù, prima della sua ascensione, immaginandolo contemporaneo.

È un giorno di festa, questo, e strano, perché torniamo a celebrare insieme la Pasqua della settimana dopo quasi tre mesi. Non ci rendiamo mai abbastanza conto di cosa questo abbia significato e di cosa comporterà per il futuro. Basti pensare che dal tempo delle persecuzioni in poi, non era mai accaduto che non si potesse celebrate l’Eucaristia insieme.

È inutile fare finta di niente. Le nostre comunità ne escono e ne usciranno ferite. Al di là della retorica di una certa resilienza, questo fatto avrà conseguenze sulla vita della chiesa nei prossimi anni.

Il grande impianto della chiesa in occidente, che già scricchiolava in molti modi, è parso crollare da un giorno all’altro insieme a quello del mondo.

Tutto chiuso.

E anche adesso che qualcosa sta riaprendo… Come faremo? Le assemblee, le feste, gli incontri, gli abbracci, la vita insieme… Che ne sarà?

Spirito“Tranquilli! – siamo tentati di dire noi, come i discepoli – Ecco è passato! È questo il tempo in cui il Signore ricostituirà il suo regno!”. Il suo regno, che in realtà è il nostro regno, il nostro modo di pensare, sono le sicurezze dei discepoli.

Ma Gesù ci dice: “Tranquilli sì, non perché sarete confermati nelle vostre certezze rassicuranti, ma perché se scegliete di aprirvi allo Spirito, allora scoprirete orizzonti più ampi. Io intanto vin garantisco di esservi vicino, di stare con voi, anche di consolarvi, quando ne avrete bisogno. Per il resto, forse, bisogna accettare che appaiano altre urgenze, altri bisogni su cui riedificare la chiesa e ricostruire la nostra pastorale.”

Oggi abbiamo ripreso o riprenderemo a celebrare la Domenica insieme. Considerato questo sconquassamento, ho sentito l’esigenza di intervenire in modo vistoso sulla liturgia, soprattutto perché i testi possano esprimere il vissuto. Questo non è stato un tradimento della sublimità liturgica, ma lo sforzo di prendere sul serio la presenza concreta del popolo nella celebrazione. Come dirò anche a messa, per adesso vorrei esservi vicino e dirvi una parola affettuosa e di incoraggiamento, come fanno un papà o una mamma, semplicemente, dopo che i figli hanno passato un brutto spavento.

Il peggio magari è alle spalle, ma c’è come un’ombra lunga di quell’inquietudine, e quindi il bisogno di sentirsi garantiti in uno spazio dove si possa tornare sereni.

Don Davide