Fortezza

Forti come la roccia, teneri come un abbraccio

Tutta la forza del cristiano dipende dalla sua unione con Gesù. Possiamo e dobbiamo cercarlo nei sacramenti, vivere l’intimità con lui nella preghiera con la Parola e nell’Adorazione, e seguirlo e imitarlo in ogni nostra azione quotidiana. Si tratta di stare attaccati a Gesù, come i tralci alla vite, in modo da godere di quella linfa vitale che irrobustisce e dà vigore.

Senza di lui non possiamo fare nulla, non perché lui sia geloso o ce lo impedisca, ma semplicemente perché non avremmo forza. Senza di lui, i tralci diventano secchi e servono solo per essere gettati nel fuoco.

In questa unione si rende presente e si manifesta lo Spirito Santo, che “rivela nei deboli la sua potenza e dona agli inermi la forza del martirio” (Prefazio dei martiri).

Dall’insegnamento di Gesù sulla vite e i tralci, cogliamo anche una sfumatura importante tra la forza e la fortezza. Sicuramente la fortezza ha a che fare con la forza, ma è qualcosa di più. Possiamo giocare con le parole, per capirlo meglio. Una persona può essere forte, senza avere la fortezza. Pensiamo, ad esempio, a quel tipo di edificio che chiamiamo fortezza. Qual è la differenza tra un presidio militare e una fortezza? Il primo può godere di molti armamenti e di vari strumenti offensivi e difensivi, ma non essere sufficientemente robusto da resistere a un assalto strutturale. La fortezza, invece, è concepita con un impianto incredibilmente solido e robusto.

Ugualmente il dono della Fortezza. Esso non ci rende forti di una forza che potremmo usare prepotentemente o violentemente, ma solidi, robusti, capaci di resistere nelle avversità e di portare frutto.

La fortezza è quel dono che rende la nostra casa fondata sulla roccia e il nostro terreno buono.

Il dono della fortezza ci rende duri come la pietra o teneri come l’affetto, gentili o fermi, determinati o condiscendenti.

Ad esempio, come leggiamo nella seconda lettura, il dono della fortezza è quello che ci rasserena in Gesù, senza farci essere troppo indulgenti con noi stessi. Insieme al dono del Consiglio, di cui abbiamo parlato domenica scorsa, ci rende interpreti sensibili e adatti alle situazioni.

La Fortezza è anche il dono che ci aiuta a custodire la purezza: non solo rispetto alla volgarità del mondo, ma anche negli intenti, perché siano trasparenti, nei pensieri, perché non abbiano secondi fini, nelle relazioni, perché siano autentiche e sincere.

Questo tipo di purezza toglie dal nostro spirito le scorie dei materiali poco resistenti, come i vizi, la pigrizia, le cattive intenzioni,

e ci rende forti come una fortezza, appunto, e capaci di portare molto frutto.

Così, possiamo chiedere al Signore il dono di essere una “fortezza” dello Spirito, alcune volte, tenerissima.

Don Davide




Misericordiate

“Sia benedetto Dio, per la sua misericordia!” (1Pt 1,3)

Questa esclamazione della seconda lettura si intona perfettamente con il senso dei giorni di grande festa che viviamo.

È grande festa perché è la Domenica in Albis, la Domenica della Misericordia – appunto – che si celebra ancora con tutta la solennità di Pasqua.

È grande festa perché abbiamo le Prime Comunioni dei bimbi – ben 48! – e il Battesimo di quattro bimbi.

In questo periodo abbiamo celebrato abbondantemente la misericordia, sia attraverso il sacramento della Riconciliazione, sia nelle traboccanti liturgie del Triduo Santo.

Ricevendo grande conforto, ho incontrato tante persone in sincera ricerca della verità sulla propria vita e autentiche nella loro richiesta di perdono ricevuto e di riconciliazione data, anche quando quest’ultima è particolarmente difficile.

Gesù risorto, in mezzo ai suoi, consegna un mandato molto preciso: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi.” (Gv 20,23)

In altre parole: se non «misericordiate» voi, chi lo farà?

Se non testimoniate voi la compassione e la tenerezza di Dio, come potrà essere conosciuto?

Tutti questi bambini che fanno la Comunione e le loro famiglie, e i pupetti e le pupette che ricevono il Battesimo ci inteneriscono.

Abbiamo un compito preciso: testimoniare a loro, come chiesa e comunità parrocchiale, la bontà di Dio, la sua guida sicura, l’amore concreto di Gesù, il calore interiore dello Spirito Santo. Da questa meraviglia verranno educati.

Siamo certi che cresceranno orgogliosi e grati di essere figli e figlie di Dio.

E che questa compassionevole benevolenza della misericordia, che ricostruisce la fiducia nella vita, raggiunga ogni persona che conosciamo e si allarghi al mondo intero.

Troppi dolori e troppe atrocità, nascondono il vero volto di Dio.

Gesù risorto, che sta in mezzo a noi augurando e affidandoci pace e misericordia, vuole che tutti lo possano incontrare.

Don Davide




Lungo un corso d’acqua (Under 20 testo+video)

È la festa di San Valentino, una bella festa per la nostra parrocchia e per tutti voi, che siete innamorati.

Oggi ci consegniamo un bel video, ispirato da un’immagine del profeta Geremia: “È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici” (Ger 17,8). Questi obsoleti personaggi che sono i profeti… hanno ancora qualcosa da dire sull’amore!

Che cosa c’entra il versetto col video?

Entrambi, insieme, ci insegnano alcune regole preziose dell’amore.

Non regole “da osservare”, ma tesori per vivere.

1)L’amore ha bisogno di sorgenti.

2)L’amore ha bisogno di radici, che permettano di attingere alle sorgenti. Il modo, i pezzi e i passaggi con cui voi costruite la vostra storia sono queste radici.

3)L’amore ha bisogno di tempo. Potrebbe accadere tutto subito, ma quando si dà tempo all’amore ci sono sorprese.

4)L’amore ha bisogno di molta comunicazione.

5)Comunicare è ben più che parlare.

6)Comunicare è condividere i sentimenti e le emozioni.

7)Amarsi è sempre comunicare e sentirsi vicini.




L’anomala normalità

Della compassione come via

L’insegnamento di Gesù, nel vangelo di questa domenica, ruota attorno al tema della compassione. “Il padrone ebbe compassione del servo” e, al termine del racconto, chiede allo stesso servo: “non dovevi anche tu avere compassione del tuo compagno?”.

Questa domenica fa da spartiacque: iniziamo un periodo importantissimo e difficile. Domani riprendono le scuole, con le complicazioni enormi e i rischi inevitabili legati al perdurare dell’emergenza sanitaria. Tuttavia, i nostri ragazzi andranno finalmente a scuola, nel loro luogo più proprio. Era un assenza che durava dal 27 febbraio, una situazione davvero impressionante a pensarla in circostanze normali. Qualcuno ha vissuto i passaggi della fine dei cicli scolastici, che sono tra i più indimenticabili della vita, senza nemmeno potere fare una festa o salutare “in balotta” (come diciamo a Bologna) i propri amici.

Ci piacerebbe che tutti gli studenti e le studentesse sentissero una speciale vicinanza a quest’esperienza così difficile: una tenerezza per quello che è stato e come l’hanno affrontato, e quasi una commozione a vederli di nuovo varcare i cancelli dei loro istituti, in compagnia degli amici.

Anche il mondo universitario riprende con coraggio le lezioni in presenza. In generale, la fine delle vacanze estive segna inconfutabilmente un confronto con quella “normalità” che, dai mesi della quarantena nazionale, non era più stata piena: un’anomala normalità, nei mesi che ci attendono.

Ugualmente, anche la nostra parrocchia si cimenta con l’orario ordinario delle messe, che non era più stato tale dal 27 febbraio, con la ripresa del catechismo, la programmazione dei gruppi, il tentativo di fare ripartire il doposcuola, l’impegno della San Vincenzo e lo sforzo di non fermare gli aiuti della Caritas.

Vorrei che tutti avessimo uno sguardo di compassione su questi sforzi – nostri, del mondo ecclesiale, e quelli di fuori, dell’impegno della società civile – pensando che ognuno stia provando a fare il meglio che può, con la consapevolezza di sé, la maturità e l’equilibrio che è riuscito a raggiungere fino a quel punto della propria vita.

Questo atteggiamento esige che la compassione entri in circolo. Nelle istruzioni di Gesù, il rimprovero per quelli che arrestano questa circolazione della bontà è severo: “Non dovevi anche tu avere pietà del tuo compagno?”.

Non abbiamo bisogno di durezze, ma di un’umanità tenera.

Non abbiamo bisogno di convinzioni granitiche, ma di cuori aperti.

Non abbiamo bisogno di affermare noi stessi, ma di capire come possiamo fare i passi insieme.

Concretamente, credo che ci siano alcuni atteggiamenti molto pratici che possiamo tenere presenti.
1) Attenzione e delicatezza per chi si sente ancora poco sicuro rispetto alla pandemia e magari affaticato da qualche turbamento o ansia. Non bisogna sminuire affatto questi nostri fratelli e sorelle e non bisogna farli sentire in difficoltà. Occorre fare uno sforzo ulteriore di rispettare le norme sanitarie: l’utilizzo della mascherina, il rispetto della “giusta vicinanza”, il garbo e l’attenzione di mettere a proprio agio l’altro.

2) L’esercizio della comprensione. In parrocchia, a scuola, negli uffici e nei posti di lavoro… sicuramente c’è stato lo sforzo di provare ad affrontare le difficoltà. Anche dove l’organizzazione non fosse perfetta, magari c’era qualcuno che anelava al meglio. Non bisogna “farsi andare bene tutto”, ma provare ad essere radicalmente costruttivi.

3) Una sigla: ARP. Assoluta – responsabilità – personale. Cosa posso fare io? Questa domanda dovrebbe essere come una giaculatoria, o un mantra. Come posso dare una mano? Cosa posso fare io per migliorare la situazione o impedire altre difficoltà. Cosa devo fare io per tenermi centrato, in forma fisicamente e spiritualmente, per essere pronto a fare la mia parte in questa sfida che tutti stiamo vivendo?

Il padrone della parabola risponde a queste domande dicendo: “Io sono ricco e potente, una cosa posso esercitare: la compassione.” E lo fa.

Vale anche per noi.

La compassione è la nostra via.

Don Davide