Il Cero

Nella Veglia Pasquale, cuore di tutto l’anno liturgico, alimento della fede e sorgente della nostra spiritualità, viene incensato il Cero, segno per eccellenza di Gesù risorto con la sua luce, che rischiara l’oscurità. Dalla Veglia in poi, il Cero domina il presbiterio, fino a Pentecoste, in posizione di particolare rilievo accanto all’altare.

Tutto l’anno pastorale, accanto ai ragazzi del catechismo e dell’ACR, è stato incentrato sulla metafora del gusto, come chiave di interpretazione dell’esperienza della fede. Una fede bella e significativa per la vita, positiva e appassionata: una fede “gustosa”, appunto. Sapida e sapiente, profumata e invitante anche per chi ci osserva e si avvicina.

Cero Pasuqlae

Il Cero pasquale di quest’anno è di cera d’api: lo abbiamo voluto così, particolarmente profumato e originale anche alla vista.

Il Cero, in questo modo, non è solo un “segno” di Cristo risorto; né è il racconto e un invito, per noi, a fare parte della storia che narra.

La luce del Signore illumina le tenebre, rischiara la notte, permette di orientare i propri passi, suscita emozione e speranza, profuma, invita alla preghiera. Ugualmente, l’incontro con il Risorto – l’intima esperienza spirituale della sua verità e vicinanza – si realizza ogni volta che questi processi accadono nella testimonianza dei cristiani. Quando qualcuno illumina una situazione buia e faticosa; quando siamo aiutati nel nostro cammino; quando si risvegliano le emozioni come l’amore, la gioia, la compassione; ogni volta che la vita di un uomo o una donna sono esemplari e quando ci sentiamo attratti alla preghiera e alla lode… allora Gesù risorto si rende presente e si fa incontrare da coloro che sono sensibili e hanno l’umiltà di riconoscerlo.

Questo è il compito dei cristiani, che dopo i giorni della Quaresima, si prendono un altro impegno per il tempo in cui bisogna testimoniare la resurrezione di Gesù: quello di sapere mostrare il gusto della vita cristiana e la bellezza della fede, senza presunzione o giudizi, ma con un grande senso di fraternità dilatata e di amicizia condivisa.

Mi ha sempre colpito che l’elemento che conferma la resurrezione di Gesù, dopo il sepolcro aperto e vuoto e la testimonianza delle apparizioni del Risorto, sia proprio la presenza di una comunità nuovamente radunata, viva nella vivacità dello Spirito Santo, amorevole e dedita all’evangelizzazione e al servizio dei poveri.

Sono i segni del buon profumo di Cristo.

Sono i segni dei cristiani che tengono accesa la fiamma profumata della fede. E noi chiediamo la grazia di essere tra questi.

Don Davide




Il Triduo e l’incenso

A partire da questa domenica ci prepariamo alle celebrazioni pasquali nella nostra parrocchia. Lo facciamo prendendo spunto dal fatto che nelle letture di questa domenica si comincia a parlare direttamente della Pasqua, prima attraverso il ricordo della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, poi in due immagini di riconciliazione, di cui la storia del figlio prodigo e del Padre misericordioso è una vera e propria resurrezione di quel figlio che era morto ed è tornato in vita.

Non si tratta soltanto di fare una catechesi sui giorni di Pasqua, ma di disporci a vivere le celebrazioni dei giorni santi come sorgente di una spiritualità personale e comunitaria. La liturgia, infatti, è il modello e l’alimento di ogni vita spirituale autenticamente cristiana. È importante riconoscere che tutta la nostra vita cristiana si arricchisce dalla liturgia del Triduo Pasquale e che non è indifferente celebrarla in una chiesa qualunque: la Pasqua, secondo la tradizione ebraica, si celebra in famiglia, perché i grandi possano aiutare i piccoli a comprenderne il vero significato. Lo stesso si può dire della parrocchia: nei limiti del possibile la Pasqua si celebra in parrocchia, con la propria comunità, con cui si condividono ideali, una storia e una ricerca di significato.

Che cosa significa questo rito? Questa è la domanda che dovrebbe sorgere dalla bocca del più giovane, e pronta dovrebbe essere la risposta dei più anziani: eravamo stranieri nel paese di Egitto… Ossia: la Pasqua ci riguarda, non parla della vita degli israeliti in Egitto, o dei primi cristiani al tempo di Gesù, la Pasqua parla di noi, di me e di te e della Chiesa.

È fondamentale, perciò, sapere che il Triduo Pasquale non è la ripetizione di un rito sempre uguale: ma ci sono delle scelte che facciamo come parrocchia, delle sottolineature che devono permetterci di cogliere la ricchezza dei segni che si celebrano, per essere poi trasportata nella vita.

Da domenica prossima vorrei dunque parlare dei tre segni per eccellenza della presenza di Gesù nel Triduo Pasquale:

1. Gli olii, l’altare e l‘eucaristia (giovedì santo)
2. la Croce (venerdì’ santo)
3. Il Cero Pasquale (sabato santo)

Questi tre segni scandiscono il ritmo delle celebrazioni dei tre giorni e ci richiamano al senso di quello che stiamo celebrando e al modo – se possiamo dire così – della presenza di Gesù in mezzo a noi. Questi tre segni sono anche gli unici che verranno incensati durante le celebrazioni, in modo che la solennità dell’incenso riservata a questi momenti, tra tutti quelli che la liturgia pasquale potrebbe prevedere, ci aiuti a focalizzarne subito l’importanza. Quando vedremo l’incenso, invece di pensare al pretesto di un’inutile sontuosità, la sobria solennità dell’incensazione dovrà risvegliarci l’attenzione e farci ricordare che quel segno è il simbolo riassuntivo e denso di significato delle celebrazioni che stiamo facendo. Così, a Dio non salirà solo la nostra preghiera, ma anche la nostra attenzione e da lui scenderà una forza che risanerà il nostro cuore e ci farà compiere tutti i passaggi necessari per vivere.

(continua domenica prossima)

Don Davide




La messa nella cena del signore

La Messa nella Cena del Signore, che ricorda appunto L’ultima cena di Gesù, è il grande portale del Triduo Pasquale; come il preludio di una meravigliosa sinfonia appartiene alla sinfonia stessa, anticipandone i temi principali e costituendo un’introduzione, così anche la messa del Giovedì Santo, appartiene al Triduo, ma lo anticipa in tutti i suoi temi.

È molto importante notare che il Segno della Croce che dà inizio a questa celebrazione, apre tutto il Triduo Pasquale e verrà rifatto solo alla fine della Veglia Pasquale, a indicare che in effetti è tutta una grande unica celebrazione della Pasqua.

Anche le campane suonano a festa durante il canto del Gloria, per poi tacere (una volta si diceva che venivano “legate”) fino a scatenarsi nuovamente il giorno di Pasqua.

Nella messa della Cena del Signore, la liturgia celebra ancora tutto il mistero di Gesù nell’Eucaristia («Annunciamo la tua morte – proclamiamo la tua resurrezione), ma nei tre giorni seguenti si interrompe questo ritmo misterico/sacramentale e il ritmo della liturgia viene caratterizzato – per l’unica volta nell’anno – da una scansione cronologica: Passione di Gesù (Getsemani); Morte (Venerdì Santo); permanenza nel sepolcro e discesa agli “inferi”, cioè il Regno delle Ombre, dove Gesù va a liberare tutti gli uomini dalle catene della morte (Sabato Santo); e Resurrezione (Domenica di Pasqua).

La messa del Giovedì, quindi, tiene insieme due aspetti: da una parte è molto festosa perché si ricorda il dono d’amore di Gesù e l’istituzione dell’Eucaristia (richiamando anche il significato della Messa Crismale del mattino), ma allo stesso anticipa i temi della passione di Gesù, il suo sacrificio, la morte in croce per noi.

Tutto questo è rappresentato meravigliosamente nel segno della lavanda dei piedi. Come ci dice il testo di Giovanni, in questo gesto Gesù mostra di amare i suoi fino al compimento della sua vita e di accettare di “spogliarsi delle sue vesti” (cioè morire) per compiere il suo passaggio da questo mondo al Padre (cioè risorgere).

Questo momento, nella liturgia del giovedì santo, dovrebbe catalizzare l’attenzione. Se fossimo in un teatro, dovrebbe essere sul fronte del palco, con tutte le luci spente e un potente faro che illumina la scena. Dovrebbe rapire gli occhi e, attraverso essi, il cuore.

I dodici “discepoli” a cui vengono lavati i piedi devono rappresentare tutta la comunità. In questo gesto entra una grande ricchezza di rappresentazione umana, che ci dice che nella liturgia (anche in altre liturgie) ci può essere spazio per momenti simili a questo.

Qui la comunità parrocchiale riconosce di crescere nel servizio offerto e accolto. Qui il prete trova la rappresentazione perfetta del suo ruolo all’interno della comunità: stare nel mezzo non come colui che ha potere, ma come colui che serve e che guida gli altri nel servizio. Qui tutti noi ascoltiamo il comando di Gesù che ci dice: se io che sono Maestro e Signore vi ho lavato i piedi, anche voi dovete farlo: dovete servirvi gli uni gli altri.

Il servizio reciproco è la chiave per celebrare la Pasqua.

All’inizio della messa vengono presentati a tutte le comunità parrocchiali gli olii santi, che sono stati consacrati nella Messa Crismale del mattino, in cattedrale. Sono gli olii che santificano la vita dei credenti: l’olio dei catecumeni, che li prepara alla lotta contro il male; l’olio crismale che li penetra con la forza spirituale di Cristo; l’olio degli infermi, che indica la sollecitudine di cura di Gesù e della Chiesa per tutti coloro che soffrono. Così si vuole dire che la Pasqua è la sorgente della vita cristiana, che viene accompagnata dall’unzione degli olii in tutti i momenti e le sfide della vita.

Il Triduo Pasquale è iniziato e questa liturgia, come abbiamo detto, tecnicamente non finisce, non si chiude. Essa continua nell’adorazione dell’Eucaristia, che è un richiamo a «vegliare almeno un’ora» con il Signore, nel momento in cui lui sceglie di portare sulle sue spalle il peccato del mondo e di compiere questo desiderio di amore che lui e suo Padre hanno. Una volta – non senza una grande contraddizione cronologica – questo momento di adorazione si chiamava: “I sepolcri”, mentre invece è un rimando alla veglia di preghiera di Gesù nel Getsemani. Chi lo vive desidera rafforzare il proprio spirito, per entrare con grande amore e raccoglimento, nella contemplazione della morte del Messia, il Venerdì Santo.

Don Davide