Irrompe il Vangelo

A Ninive era dilagato il male, tanto da ricevere una sentenza che non è una condanna, ma una profezia: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta” (I lettura). Se Ninive avesse continuato così, l’esito della sua convivenza come città sarebbe stata l’autodistruzione.

Purtroppo questa descrizione è più attuale di quanto pensiamo:

quante sono le città degli uomini o in generale le realtà umane così tanto devastate da prospettare un esito di autodistruzione? Per questo motivo, innanzitutto, dobbiamo prendere seriamente il nostro convivere civile e sociale e impegnarci per il bene, la rettitudine e l’amicizia.

Ci incoraggia la testimonianza di San Paolo: “Passa la scena di questo mondo” (II lettura). Non è, infatti, un invito alla rassegnazione. L’apostolo ha sperimentato che c’è qualcosa di nuovo e potentissimo all’opera nel tempo che ci è dato, tale da convincere il re di una città a vestirsi di sacco e cenere, e da mettere nel cuore di poveri pescatori il desiderio di cambiarlo, questo mondo.

Irrompe il Vangelo.

Stupisce che nel periodo di Natale abbiamo celebrato i misteri tra i più alti della fede, ma la liturgia ci dice che il Vangelo irrompe nelle parole di un uomo adulto, consapevole di sé, nella ferialità delle giornate di pescatori e di ciascuno di noi.

Irrompe il Vangelo, quando i ragazzi vanno a scuola.

Irrompe il Vangelo nel traffico cittadino, mentre si raggiunge il lavoro.

Irrompe il Vangelo nel tempo di una casa, di una parrocchia, di un’associazione di volontariato o sportiva.

Irrompe il Vangelo nelle ferie dei nostri giorni e nell’ordinarietà della nostra vita.

Voglio proporre chiasmo dell’annuncio di Gesù: “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino” e trasformarla così:

“Il tempo è vicino e il Regno di Dio è compiuto”.

Ogni attimo è l’istante per scegliere ancora il Vangelo, come se fosse la prima volta.

Ogni attimo e il momento per riconoscere l’amore di Dio che ci trasforma.

Don Davide




Vertigine

“Pur essendo nella condizione di Dio
[…] svuotò se stesso,
[…] umiliò se stesso
fino a una morte di croce…” (Fil 2, 6-9).

Impressiona questo antico inno ripreso da San Paolo, perché sembra di essere in una cengia di montagna e guardare giù nel burrone.

Così è il Dio di Gesù Cristo.

Ancora più vertiginosa è la considerazione che l’apostolo collega questo testo – precedentemente tramandato oralmente – non alla pagina principale della sua teologia più complessa, ma in un ambito di riflessioni affabili e di indicazioni quotidiane sui rapporti personali nella vita comunitaria.

In altre parole, sono le relazioni più quotidiane e concrete che ci portano sul bordo vertiginoso del Vangelo.

Vertiginosa è anche l’affermazione di Gesù: “I pubblicani e le prostitute vi passano davanti nel regno di Dio” (Mt 28,30). Il Maestro la dice in faccia ai sacerdoti e ai capi del popolo, dopo avere fatto un esempio del tutto comprensibile. Per tornare alla metafora precedente, è come se Gesù avesse accompagnato i suoi interlocutori attraverso un bel prato verde di montagna, scosceso, e poi svoltata la curva improvvisamente li avesse lasciati lì sopra una cengia degna dell’uscita dalla via ferrata Tommaselli sul Lagazuoi e avesse detto loro:

“Sperimentate l’abisso. Ma contemplate anche la vastità e la bellezza. Questo è il Vangelo di cui io sono profeta.”

Ma perché è così?

Perché proprio queste persone così compromesse ci sorpassano come una Formula 1 sul rettilineo, mentre noi, attoniti, guidiamo la nostra Panda?

Perché costoro sono sempre a contatto, volenti o nolenti, con l’amore spregiudicato e misericordioso di Dio.

Egli, pur essendo nella condizione divina, non considera nessuno indegno di sé, e si abbassa lui, salta nel vuoto pur di offrirgli vicinanza, consolazione, riscatto, condivisione, tenerezza, perdono e salvezza.

Questo fa la differenza. Dovremmo essere sempre consapevoli della bontà misericordiosa del Padre, che si manifesta in Gesù. Sempre sentire il suo amore. Sempre sapere che ci vuole bene e che apre per noi qualche possibilità. Mai pensare che ha chiuso con noi, o che ci considera distanti: lui addirittura scende dal Cielo e raggiunge il punto più basso della terra pur di trovarci e di stare vicino a noi.

Gesù conclude il suo insegnamento dicendo: “Avete viso queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti, così da credergli” (Mt 21,32).

Voglio trasformare quest’ultima considerazione in una preghiera per l’inizio dell’anno pastorale.

Per tutti i gruppi, per le persone che collaborano nella nostra comunità e per quelle che la incontreranno, anche attraverso di noi: che il Signore ci purifichi gli occhi, perché possiamo toccare con mano questo riconoscimento incondizionato e trasformante del Padre, che ci ama e del suo Figlio che ci si fa vicino. Sempre.

Don Davide




Piccolo e nascosto

È una storia di incontri intimi quella di questa domenica: lo spirito del Signore che si posa su germoglio… (Is 11,2)

Chi può descrivere che cos’è l’esperienza spirituale e l’efficacia che questa ha su un piccolo germoglio rispetto alla potenza della pianta, al vigore dell’albero cresciuto, o agli effetti che il profeta descrive di un cambiamento del mondo intero e di una conversione del cuore di tutti i popoli?

Pensiamo a che cosa significhi oggi la conversione del cuore di tutti i popoli, in prospettiva di giustizia e di pace.

Porterebbe una rivoluzione planetaria come mai ce ne sono state nella storia del mondo.

Poi c’è una voce che grida in uno spazio silenzioso – il deserto, il silenzio della nostra anima – dove i suoni si amplificano, ma possono anche disperdersi, e questa voce ci invita a “preparare la via del Signore” (Mt 3,3) a lasciarlo venire nel nostro spirito, a raddrizzare i nostri sentieri; se c’è qualcosa che non è andato bene, il Signore lo scruta, ci guarda con sguardo di misericordia, è in grado di perdonarci.

Giovanni fa questa preparazione, e il momento più intimo sembra quello anche più terribile.

Il signore tiene in mano la pala per pulire la sua aia dagli scarti e delle scorie (cf. Mt 3,12). La sua aia siamo noi! È il nostro cuore, il nostro intimo! Lui vuole raccogliere i frutti preziosi che noi sappiamo dargli e purificare, bruciare tutto quello che c’è di sbagliato, di impuro, che corrompe la bontà del frutto.

In questa storia intima ci siamo noi, con i nostri desideri di bene e la nostra speranza che questo Natale ponga questo germoglio, ci faccia fare l’esperienza spirituale e generi un cambiamento radicale che non è nelle nostre mani, ma nelle mani e nella potenza del Signore.

Don Davide




Vicino o pieno?

Lucia deve presentare Fabio ai genitori. Si sono conosciuti in vacanza con gli amici, d’estate. Lucia sembra serena, da allora, e la sua famiglia è aperta e gioviale, ma anche protettiva, non troppo incline alle smancerie.

La tavola è preparata, apparecchiata bene. C’è anche, pronta da stappare, una buona bottiglia di vino; in fondo Lucia ha 19 anni e il suo ragazzo 21. Il papà di Lucia pensa che sia giusto offrire un bel gesto di ospitalità.

Nell’attesa, Lucia è serena: ha aiutato i suoi genitori, si è truccata; conosce Fabio e si trova perfettamente a suo agio. Non pensa minimamente a cosa dovrà dire, a come dovrà comportarsi. Semplicemente, non vede l’ora che arrivi.

In cucina, invece, mentre armeggiano e si aiutano con le ultime cose, i suoi genitori bisbigliano. Sono curiosi di sapere qualcosa di questo ragazzo di cui non conoscono nulla: non sanno da dove sia saltato fuori, che gruppi frequenti, che tipo sia, perché fosse in quella vacanza con gli amici della figlia.

Quando squilla il campanello, l’atmosfera si ravviva e si scioglie. Fabio è vestito bene, ma sportivo. Non si è preoccupato di eccedere per fare bella figura. Si presenta ai genitori, offre una piantina alla mamma di Lucia e saluta la sua ragazza con un bacio disinvolto.

Durante la cena apprezza la cucina, gusta il vino e parla di tutto. Di quello che non sa, chiede, senza fingere. Lucia fa squadra con lui, alimenta il dialogo e rallegra la serata. I suoi genitori sono sorpresi e distesi e, decisamente, non sono abituati a vederla così aperta a chiacchierona anche con loro. Prima del dolce, Fabio fa una carezza a Lucia, e lei si appoggia lievemente alla sua mano. È stato un istante, ma sufficiente per essere notato.

In questa immagine possiamo cogliere la differenza tra quelli che dicono “il tempo è vicino” (Lc 21,8), da cui Gesù ci mette in guardia, e lo spirito autentico del Vangelo, che dice: “il tempo è pieno” (Mc 1,15) oppure “oggi!” (Lc 4,21).

È una differenza sottile, ma fondamentale.

Nella metafora, la differenza è fra la sicurezza di Lucia, che conosce il suo innamorato, e i genitori che ancora non l’hanno incontrato. Lucia non ha bisogno di preparare le cose da dire, perché è pronta a viverle. I genitori di Lucia sono in apprensione, ma la presenza si rivela una sorpresa rispetto alle aspettative.

Allo stesso modo, la presenza del Signore è piena di buona potenza per il tempo che viviamo adesso.

Certo, anche noi usiamo espressioni relative al Signore che “viene”, soprattutto in questa parte conclusiva dell’anno liturgico e in Avvento, ma è un’attesa conosciuta, che “non vede l’ora” come quella di Lucia, non minacciosa.

“Il tempo è vicino” invece, è il linguaggio di chi ama la minaccia e abdica alla speranza. Sono le parole di chi si spaccia per profeta e messia, come se solo lui o lei avessero capito le cose, che vedono nella guerra, nelle carestie e nelle pestilenze il segno della fine del mondo e si compiacciono di terrorizzare attraverso questo.

Ma questo non è cristiano. Scusate, c’è bisogno di elencare gli orrori del passato, per dire che anche allora sarebbero stati sufficienti per parlare della fine del mondo? Anche se pare che invitino a cambiare, Gesù dice: “Non andate dietro a loro!” (Lc 21,8). Perché, appunto, affermano che le cose sono vicine e spaventose, come quelli che si ritrovano a parlare del clima e dicono: “Se nei prossimi anni non faremo…” E oggi?!

Invece, la presenza di Gesù marca il tempo in maniera diversa.

Il tempo non è più vicino – anche vicinissimo – ma fra un po’… Il tempo – paradossalmente, rispetto alle tentazioni desolanti di ogni tempo – si è arricchito. È opportuno adesso. Abbiamo già tutte le risorse che ci servono: per fare la pace, per cessare le guerre, per dare da mangiare a tutti, per accogliere i forestieri.

Don Davide




Splendida misericordia

“Splendida è la misericordia nel momento della tribolazione,

come le nubi apportatrici di pioggia nel tempo della siccità.”

(Sir 35,26)

C’è bisogno di parole dense e degne di stare di fronte alla complessità dei giorni che stiamo vivendo.

Le parole della fede cristiana vengono accusate di essere friabili, ripetitive, tanto svuotate da lasciare solo il guscio. Talvolta questa accusa è pertinente; più spesso, con una certa superficialità, non se ne coglie la ricchezza e, soprattutto, la portata.

La realtà e l’esperienza della nostra fede, infatti, tendono a dare consistenza alle persone e ai sensi spirituali che sono necessari per abitare il mondo, per vivere bene le relazioni così numerose, mutevoli e complesse, e per conoscere la sfera misteriosa dei sentimenti e delle emozioni.

Nelle esistenze che Dio ama e di cui si prende cura, non c’è spazio per tutti quegli atteggiamenti che vanno di moda in tutte le epoche: la tracotanza dei potenti che umiliano i poveri, l’ipocrisia di chi si sente giusto contro gli altri e la mancanza di qualsiasi sensibilità spirituale di chi ostenta davanti a Dio come se potesse in qualche modo sedurlo o, peggio, ingannarlo.

Il punto è che non sono gli altri che corrono questo pericolo.

La prima lettura è netta nel dire in favore di chi Dio prende parte; invece, Gesù nel Vangelo stereotipizza il fariseo e il pubblicano per ricordarci che in tutti noi alberga l’ombra del fariseo e che dobbiamo sempre fare i conti con le sue seduzioni maligne.

Mentre lottiamo contro il fariseo in noi, sentiamo il bisogno di misericordia del pubblicano.

Come le nubi che si addensano di pioggia, così le parole della nostra fede diventano vere e dense, quando riconosciamo l’obiettivo – quello di essere umili e veri davanti a Dio – e ci sforziamo di non smarrire la direzione.

In questa quotidiana lotta per identificare in noi il fariseo che addita il pubblicano, sentiamo il bisogno di un grande manto di misericordia, come una pioggia diffusa in una stagione di siccità.

Don Davide




Autunno

Spensierati, proprio no!

La prima lettura di questa domenica inizia con parole molto severe del profeta Amos che rimprovera chi è spensierato e a chi si considera sicuro sulle proprie ricchezze.

Queste parole potrebbero turbarci, invece ci fanno sentire in sintonia con la preoccupazione di Dio per il suo popolo. Spensierati, in questo periodo storico, non lo siamo davvero!

È iniziato l’autunno e tutte le comunità cristiane sono angosciate dalla preoccupazione di non fare fronte al pagamento delle utenze. È un problema serissimo, perché va molto oltre la questione economica: riguarda, per il terzo anno di fila, una difficoltà concreta a radunare la comunità e a trovarsi per le attività in una condizione non disagiata.

Almeno, ascoltando queste parole, siamo sicuri di avere quella santa inquietudine di cui parla il profeta.

Sicuramente non ce ne possiamo stare in panciolle e dobbiamo cercare le strade per una nuova sobrietà.

La parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro ci aiuta a ricordare che, in questa circostanza drammatica, non siamo noi contro altri, ma le comunità cristiane insieme a tante persone che ugualmente soffrono di una situazione sociale divenuta quasi insostenibile.

Dalla parabola di Gesù impariamo che è necessario accorgerci delle sofferenze, essere solidali e condividere i pesi gli uni degli altri.

La realtà di questo periodo, quindi, può essere letta come un modo per vivere il Vangelo più radicalmente e vogliamo focalizzare lo sguardo su questo stimolo buono.

Don Davide




I passi del cammino

Essi lo sanno che lapidare una donna è un atto inconcepibile e sanno che il Maestro non potrebbe mai legittimarlo.

“È giusto?”.

Se dirà di sì: “Vedi, il Maestro legittima una cosa atroce”.

Se dirà di no: “Vedi, il Maestro tradisce Mosè”.

Lo sanno perfettamente anche loro che sarebbe atroce. Ma allora perché lo fanno?

Forse, hanno bisogno di essere liberati.

Sarebbero disposti ad uccidere per le loro prigioni. “Armiamoci di più! Ancora un’altra pietra!”. Non capiscono e non sono in grado di immaginare come fare diversamente.

Ma non c’è nessuna supplica in loro, se non l’ignoranza. “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno.” (Lc 23,34)

La mente è piccolina. La pietra che tengono in mano è il loro cuore.

Da una parte la religione, dall’altra le persone. In cielo Dio, in terra una donna. Come se non potessero stare insieme. Come se fossero dai lati opposti.

Gesù vede tutte le catene, colpevoli e incolpevoli, e scrive: “Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” (Ez 36,26-27).

Lentamente, si ode lo schianto secco della pietra su pietra e lo spirare del vento, perché si è sciolto il cerchio.

“Eppure vivo” pensa la donna.

“Sì, vivi tu, e adesso anche loro” dice Gesù.

Questo è ciò che accade nel Tempio, nel luogo santo.

Questo è ciò che deve accadere nella Chiesa.

Questi sono i passi del cammino.

Ora è possibile celebrare la Pasqua.

 




Re di un mondo diverso

“Il mio regno non è di questo mondo;

se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto…” (Gv 18,36).

Ho letto di recente una riflessione di Anita Prati:

http://www.settimananews.it/societa/mysterium-iniquitatis/

che consiglio come meditazione proprio in questa Solennità di Cristo Re.

In relazione al problema dell’economia che ruota attorno alla produzione di armi, e che vede l’Italia “che ripudia la guerra” (Costituzione della Repubblica Italiana, Art. 11) in un primato assai problematico, l’autrice cita la celeberrima testimonianza dei martiri dei primi secoli cristiani, che rifiutavano di fare i soldati, per non dovere uccidere.

Lo spunto evidenzia la forza profetica dello spirito evangelico e permette di cogliere qualcosa del mistero di questo Messia Re, così diverso da tutto.

È re di un regno che evidentemente non si è ancora insediato, ma i cui fedeli sono presenti fra gli uomini e le donne di tutti i tempi. È un re che “conquista” non il potere, ma il servizio come il trono più bello in cui collocarsi.

I suoi servitori non “combattono” nel senso bellicoso del termine: non vogliono apparire come altri competitori, ma come coloro che aprono nuove strade a una fraternità praticabile.

Quel Regno di Pace (nel senso assoluto della parola) non c’è ancora, ma il suo mondo si fa strada inesorabilmente nei regni mondani.

Questa solennità conclude l’anno liturgico in modo da permetterci di ricordare i tanti segni di questa presenza, nascosta ma efficace, quando si è palesata al nostro spirito, e di continuare il percorso della nostra vita personale e comunitaria con il desiderio di mostrare che c’è tanta energia buona e inedita del Vangelo ancora da sprigionare.

Don Davide




Poveri, Vangelo e Gandalf il Bianco (Under 20 testo+video)

Oggi, per la Chiesa, è la Giornata mondiale dei Poveri.

L’ha voluta papa Francesco, cinque anni fa, perché non ci dimenticassimo di quasi tre miliardi di persone che vivono al limite della dignità umana.

“Povertà” è una parola controversa.

Ci fa pensare a un bisogno di giustizia e al desiderio di un mondo migliore, ma qui nella nostra società, abbiamo sempre la tentazione di pensare che chi è povero abbia delle sue responsabilità.

San Francesco piace a tutti, ma nessuno sceglierebbe di essere povero come lui.

Si tende piuttosto ad ammirare i ricchi, e la parola sobrietà ci mette a disagio, ci inquieta.

Eppure, al fondo delle manifestazioni sul clima, che anche in questi giorni si sono svolte a Glasgow e a Roma, e che trovano grande consenso in tutto il mondo giovanile, c’è il tema della povertà. Saranno i più poveri a subire in proporzione gli effetti più disastrosi dei cambiamenti climatici, ma non solo loro!

Celebrare la Giornata mondiale dei Poveri, imparare essere vicini, amici e fratelli dei poveri, significa risvegliare la nostra coscienza, prendere parte ai cavalieri della luce, in una lotta per la giustizia che sembra impossibile vincere, ma non lo è.

Mi è venuta in mente una scena de Il Signore degli Anelli, quando i pochi sopravvissuti guidati da Aragorn e Re Theoden, decidono di uscire dall’assedio del Fosso di Helm, all’alba. È il gesto estremo di chi si oppone con tutte le sue forze al male, rappresentato dagli orchi. In quel momento disperato, Gandalf il Bianco emerge dal monte. Sembra solo, ma con lui c’è un esercito del bene: pieno di giovani e di coraggio.

Il resto ve lo lascio guardare: QUI

Anche perché sono le immagini che mi evocano meglio la descrizione che fa Gesù nel Vangelo di oggi: un intervento clamoroso di Dio con i suoi angeli per ristabilire il bene e la giustizia.

Immaginatevi la scena vista al cinema davanti a uno schermo più grande della nostra chiesa, con la musica a trascinarti dentro a quella cavalcata dove la Luce arriva ancora prima dei suoi testimoni. Ce n’è abbastanza per pensare e per divertirsi.

Don Davide




La sapienza evangelica

“Un tale corse incontro a Gesù”: aveva urgenza quell’uomo!
Vi leggo, simbolicamente, la stessa urgenza di cose buone che hanno gli uomini e le donne di oggi.
Non importa che le analisi ci dicano che nell’Occidente cristiano, semmai, si corra in direzione opposta a Gesù, e il fatto che alcuni, più in generale, non cerchino cose buone e pratichino quelle cattive non ci deve trarre in inganno; in quest’ultimo caso, spesso, si tratta di un’espressione molto disordinata del desiderio di una vita che valga la pena di essere vissuta.

Tuttavia, proprio in quell’incontro tanto desiderato (e probabilmente a lungo atteso) si consuma una crisi. L’uomo si trova disorientato. La sua motivazione inspiegabilmente crolla: rifiuta le possibilità aperte da Gesù, ma rimane tremendamente perplesso. È triste.

C’è una cosa che possiamo imparare, fondamentale e decisiva: la disponibilità di rimanere aperti a prospettive diverse dalle nostre, di imparare qualcosa che non sappiamo ancora, di essere condotti su territori nuovi. Abramo lo fece a novant’anni: non c’è vecchiaia che tenga!

Gesù ci indica la sapienza evangelica. È una via non omogenea al mondo. Si può apprendere solo se disponibili, si può apprezzare solo se la si pratica. Quello che accade nel nostro cuore è un’opera spirituale, non spiegabile con altre esperienze umane. La sapienza evangelica “è viva, efficacie, più tagliente di ogni spada a doppio taglio”: tocca la nostra esistenza, ci aiuta a fare le scelte, se non siamo anestetizzati ci fa sentire spesso un acuto bisogno di conversione.

Penetra in un luogo profondissimo “dentro” di noi, raggiunge nodi complessi che nemmeno siamo capaci di districare, e opera percorsi di guarigione e di consolazione.

Alla fine, o nel cammino, uno sperimenta un dono sovrabbondante (“cento volte tanto”, dice Gesù), non perché tutto vada alla perfezione, ma perché ci si può sentire completi e integri, anche in mezzo alle turbolenze del mondo.

Don Davide