I giovani, maestri dell'”et et”

Celebriamo la Veglia, che non è breve, con le sette letture in versione integrale e i salmi cantati. Alla fine, ci si ritrova tutti a mangiare una colomba e un uovo di cioccolato. Ben oltre la mezzanotte le due ragazze si avvicinano per salutarmi: «Noi ci fermiamo solo un attimo, perché abbiamo una festa…».

Quattro pensieri

Primo pensiero: «Una festa? A quest’ora?! Dopo la Veglia di Pasqua?!».

Secondo pensiero: «E perché no?!».

Terzo pensiero: «Hanno celebrato la festa con la comunità cristiana. Cosa dovrebbero fare di più? Dovrebbero andare a casa a mantenere il clima spirituale?!».

Quarto pensiero: «Proprio ieri sera, Venerdì Santo, moltissima gente della mia parrocchia è venuta alla Commemorazione della passione di Gesù, e poi è andata a vedere il derby cestistico cittadino…».

Lo confesso: il derby il Venerdì Santo è una condizione limite. Il giovane parroco, che ha la chiesa affianco al Palazzo dello Sport, aveva qualche riserva e non ha ceduto alla tentazione. Ma il resto… perché no?!

Retaggi

In un baleno divento consapevole dei retaggi della mia formazione: alcune cose, solo ad immaginarle, non eri un buon cristiano. E se eri un giovane e volevi essere cristiano, quasi quasi dovevi guardarli un po’ dall’alto in basso quelli che si divertivano veramente… E se proprio volevi essere “moderno” e “vivo”, al massimo pensavi di fare “balotta” (= festa in allegria, nello slang) in parrocchia.

In un baleno, mi si apre anche il cuore: ma che belli questi giovani, che non rinunciano alla Veglia Pasquale, e poi raggiungono i loro coetanei per divertirsi. E magari si trovano a rispondere alla domanda: «Come mai sei arrivato solo ora? Dov’eri?» – «Ero in chiesa, alla Veglia di Pasqua!». E fanno in un secondo quella nuova evangelizzazione riguardo alla quale noi (Chiesa istituzionale) sappiamo solo riempire dei documenti.

Riconosco in questi miei retaggi una tentazione a cui gli operatori pastorali spesso non sanno resistere: quella di fare proposte valide, ma in opposizione alla vita concreta dei giovani. Un esempio lo riscontro nella recente Marcia della pace che si è celebrata nella mia città: la sera del 31 dicembre 2016, occupando dal primo pomeriggio alla sera inoltrata. Era una bellissima iniziativa, e sappiamo che la chiesa celebra la Giornata mondiale della pace il primo gennaio. Ma mi chiedo: c’era proprio bisogno di porre un mare di giovani, appassionati della causa della pace, di fronte alla scelta se festeggiare l’ultimo dell’anno insieme agli amici, magari in cose organizzate da tempo, o partecipare all’evento? Avrebbe davvero perso così tanto di significato farla, ad esempio, il 6 gennaio?! Alla marcia, per nota di cronaca, c’era molta meno gente di quanta avrebbe potuto essercene.

L’uno e l’altro

Si potrebbe definire una regola: l’uno e l’altro, ossia del non creare opposizioni. Un conto è un sano atteggiamento penitenziale il Venerdì Santo, o nei momenti giusti. Un conto è l’arte del discernimento che ci educa – dentro percorsi e sapientemente – alla radicalità della fede. Un conto sono i retaggi.

Allora penso a quel meraviglioso principio della dottrina cristiana dell’et et che regge i migliori dogmi che ci siamo dati, da quello cristologico: «vero Dio e vero uomo», a quello sacramentale: «natura e grazia», fino alle dimensioni pratiche: «misericordia e giustizia».

Ricordo quando ai ritiri spirituali o ai campi estivi non potevi portare la musica… Oggi non c’è minuto della vita di un giovane che non sia accompagnato da una qualche canzone. Ci viene la tentazione di pensare che così siano dispersivi, che non tengano il raccoglimento, appunto… ma è tutto diverso. Magari stanno operando una nuova sintesi e nuovi processi interiori. Sequeri ha scritto che «la musica è il luogo di vero discorso per l’intelligenza degli affetti».[1] Loro elaborano qualcosa di cui i grandi sono analfabeti, e lo fanno da maestri dell’et et, laddove noi, ancora, culliamo nostalgie per l’out out, in nome di una presunta radicalità che non convince.

Quale nuova radicalità, invece, si può trovare in questa capacità di abitare spazi e attraversare mondi diversi? Con una certa naturalezza, loro – i giovani – rendono testimoniale la forma di vita ordinaria del cristianesimo, senza farla percepire importuna e inopportuna, ma anzi con un tratto di amicizia che porta il vangelo in quelle famose periferie dell’umano che, altrimenti, raggiungiamo solo nei nostri proclami pastorali.

Non è questo un modo di vivere l’incarnazione? Un vero segno dei tempi.

Don Davide

 


[1] Sequeri, Gregoriano contemporaneo, in «Luoghi dell’Infinito», n. 169, gen. 2013, 19-23, p. 22.

 

Testo scritto per SettimanaNews il 28 giugno 2017




La sapienza

La liturgia della parola nella Veglia Pasquale giunge con la 6° lettura a una meravigliosa meditazione sulla sapienza. Il percorso che Dio ha fatto fare al suo popolo, a partire dalla riflessione sul senso dell’esistenza, passando per l’Alleanza, l’Elezione e l’esperienza del peccato e della misericordia, ci invita a maturare una saggezza del vivere, dove tutte questi elementi del rapporto con Dio sono raccolti e ci viene consegnato soprattutto il compito di rimanere nel legame con lui, attraverso l’ascolto attento e amorevole della sua parola. Chi si mette a questa scuola, anche se affrontasse mille difficoltà o contraddizioni, non sarà solo, non sarà abbandonato da Dio, anzi, sarà salvato.

E proprio su una estrema prospettiva di salvezza conclude questo intenso percorso attraverso la storia della salvezza, con la 7° lettura della veglia.

Il profeta Ezechiele dà voce a una dichiarazione solenne di Dio, il quale – in un linguaggio tipico dell’AT – rivendica per sé ogni azioni, l’intervento correttivo come quello salvifico. Ebbene, il Signore dice di agire non per riguardo all’uomo, ma per fedeltà al suo Nome santo (cf. v. 23). È una formula di rivelazione: Dio si rivela Santo, Misericordioso e Benevolo. Fa parte della sua natura, non è condizionato da come l’uomo agisce. In definitiva, Dio manifesterà in maniera potente e irrevocabile il suo intervento di salvezza: sarà un’azione di purificazione, di conversione e di rinnovamento, che ha come risultato “l’abitare” nella Terra Promessa, quella Terra Promessa che è, in realtà, il senso profondo della nostra esistenza e la nostra pace.

Questo viaggio conclude con l’affermazione: “Voi sarete il mio popolo, e io sarò il vostro Dio” (v. 28). Ci può essere un esito più efficace nel celebrare la Veglia Pasquale?

Don Davide




La notte più beata di tutte le altre notti

La Veglia di Pasqua è la messa di Pasqua per eccellenza. È la “madre di tutte le veglie” da antichissima tradizione. Si chiama “veglia” non perché sia qualcosa di aggiunto alla messa, ma perché si celebra di notte, dopo il tramonto del sole, all’inizio del “terzo giorno” (secondo il conteggio all’ebraica) dalla morte in croce di Gesù.

Celebriamo di notte quasi per intercettare il mistero più grande della storia del cosmo, ossia quando è successo che Gesù abbia spaccato le catene della morte e cosa sia successo realmente. La liturgia lo dice perfettamente nell’Annuncio Pasquale: «O notte veramente beata, tu sola hai meritato di conoscere il tempo e l’ora in Cristo è risorto dai morti!».

Così la Veglia di Pasqua inizia con la luce che dissipa le tenebre: la prima parte della veglia è infatti la LITURGIA DEL FUOCO. Questo fuoco è il simbolo dello Spirito Santo che opera la resurrezione di Gesù: è il mistero dell’amore di Dio che brucia, ma non consuma, come il roveto ardente di Mose (Es 3). Il Cero Pasquale acceso al fuoco nuovo è il segno della presenza reale di Cristo Risorto nella sua chiesa. Per questo il Cero è il protagonista assoluto di questa celebrazione: apre la processione iniziale solcando il buio, viene incensato e cantato nell’Annuncio Pasquale, sta accanto all’ambone nella lettura del Vangelo, viene usato per la benedizione del fonte battesimale e, infine, domina la scena sul presbiterio per tutto il tempo fino alla Pentecoste.

La seconda parte della veglia è la LITURGIA DELLA PAROLA, dove attraverso un ascolto prolungato e pacato dei grandi eventi della storia della salvezza, noi vediamo preannunciato il mistero della resurrezione di Cristo e veniamo preparati ad accogliere questo grande annuncio, che esplode nel salmo alleluiatico e nella proclamazione del Vangelo.

La terza parte della veglia è la LITURGIA BATTESIMALE, O LITURGIA DELL’ACQUA, nella quale celebriamo il momento che ci ha resi partecipi della resurrezione di Gesù, cioè il Battesimo.

La quarta parte della veglia è la LITURGIA EUCARISTICA, nella quale riviviamo tutto il mistero del Crocifisso – Risorto, offerto per la nostra salvezza, vivo e presente nella sua Chiesa e nell’Eucaristia.

Il senso di queste quattro tappe è un progressivo inserimento dei credenti nella grazia della resurrezione. Dapprima la resurrezione viene rivissuta nel suo “evento” (liturgia del fuoco); poi viene annunciata alla chiesa (liturgia della parola); quindi si ricorda che la realtà della resurrezione coinvolge i credenti mediante il Battesimo (liturgia battesimale); infine viene celebrata e riattualizzata in forma rituale (liturgia eucaristica).

Non c’è niente di più efficace per “fare” Pasqua – ben al di là delle nostre disposizioni e dei nostri buoni propositi – che partecipare alle celebrazioni del Triduo Santo, nelle quali, la grazia di Cristo che tutto vince ci raggiunge e ci salva, aiutandoci a compiere tutti i “passaggi” (= le pasque) che siamo chiamati a fare.

Don Davide