Rebecca e l’Ascensione

In settimana sono passato davanti a un bar alle 18 dove un gruppo di giovani stava facendo aperitivo. Sembravano minorenni, ma questo non coincideva con lo spritz che ciascuno aveva davanti a sé, e parevano sereni e senza tipizzazioni eccessive. Nell’istante di passargli accanto ho intercettato l’unica ragazza presente che diceva: “Cioè, il giorno del tuo compleanno devi bere fino a ubriacarti, questo è fisso. Poi se sei da sola o in compagnia non fa differenza…”

Chiameremo questa ragazza Rebecca.

Io stavo pensando a cosa avrei potuto scrivere per questa Domenica dell’Ascensione e mi sono chiesto: perché Rebecca pensa che ci sia gusto a ubriacarsi, magari anche da sola? Oppure: che cosa cerca, o viceversa, che cosa vuole nascondere?

Non voglio fare il paternalista, ma non posso fare a mano di ritenere che sia un pensiero non elevato. Non voglio giudicare, sto solo raccontando quello che ho ascoltato e la mia reazione emotiva e mi chiedo: come possiamo fare ad “elevare” la nostra vita?

Gesù che “sale” al cielo è una specie di metafora: il messaggio è che Gesù trascende questo mondo, attratto dall’amore del Padre e trasformato dallo Spirito Santo.

Con tutta la sua umanità, Gesù porta la nostra umanità nel regno di Dio. Questo avvenimento è certamente una grazia e un dono di Dio, ma non per questo deve farci stare con le mani in mano o imbambolati a “guardare il cielo” (cf. At 1,11)… Tutto ciò che Gesù ha compiuto, con la sua umanità, è per darci il potere di realizzarlo nella nostra.

Infatti, il mandato Signore ai discepoli è di compiere le sue opere prodigiose attraverso la fede e di farne “di più grandi” (Gv 14,12).

Sta a noi, dunque, accogliere questo dono ed elevarci.

Henry David Thoreau scrisse: “Non conosco nessun fatto più incoraggiante che l’indubbia abilità degli esseri umani ad elevare la propria vita attraverso un impegno consapevole”.

Scrivevo, prima, che Gesù si è elevato nel mondo di Dio, nel reame del divino, per elevarci verso di lui. Elevarsi, per elevare: questo è anche il nostro compito.

Ci sono quattro regni interiori che possiamo elevare: il regno spirituale, il regno dell’anima, il regno corporeo e il regno della nostra mente.

Siamo chiamati ad elevare questi regni interiori con un impegno consapevole. L’amore del Padre ci chiama e ci sospinge, lo Spirito non ci abbandonerà in questo proposito.

Allora, cara Rebecca,

senza biasimo né giudizio, ti auguro di potere fuggire dalla tentazione di trangugiare il vino per stordirti, ma di imparare a gustare la bellezza di riconoscerne i profumi, di rimanere incantata dai riflessi del suo colore rubino, ambrato, rosa o giallo paglierino e di sapere distinguere al primo sorso un Franciacorta da un Valdobbiadene.

Sarei felice se potrai brindare in compagnia, mentre festeggi la tua Maturità o la tua Laurea, o sorseggiarlo nel tuo posto preferito in compagnia della persona che deciderai di amare; e – se ti troverai a bere un calice da sola – spero che tu voglia farlo con un bel libro, ascoltando la tua musica preferita, o semplicemente apprezzando il silenzio e ammirando il panorama che prediligi.

Tutto ciò che vuoi, cara Rebecca, purché ti elevi e non ti abbassi.

Don Davide




La saldezza e le sorgenti

La profezia della prima lettura conclude con il famoso oracolo: “La mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli.” (Is 56,7). Pensiamo subito alla scena in cui Gesù scaccia i mercanti dal Tempio, citando proprio questo versetto di Isaia. La casa a cui fa riferimento la profezia è il Tempio e per capire quanto fosse estrema questa visione, dobbiamo ricordare che il culto nel Tempo era riservato agli ebrei. All’epoca di Gesù, il Tempio aveva un cortile in cui potevano accedere anche gli altri popoli, ma non era concesso loro di procedere oltre.

Tuttavia, questo raduno degli stranieri “che hanno aderito al Signore per servirlo e per amarlo” e degli ebrei “che si guardano dal profanare il Sabato e restano fermi nell’alleanza” (Is 56,6), secondo il Nuovo Testamento avviene non solo nella casa fisica del Tempio, ma anche nella casa spirituale che è la Chiesa. (Non le chiese di mattoni, che sono venute molto più tardi, ma la Chiesa fatta dei battezzati!)

Da qui vorrei trarre lo spunto di oggi, che possiamo parafrasare così: “La mia casa (cioè la Chiesa) sarà chiamata casa-di-preghiera per tutti i popoli.”.

“Casa – di – preghiera”: mi chiedo se non sia proprio quello che abbiamo perso e che, quindi, dobbiamo recuperare. Spontaneamente, infatti, pensiamo alla chiesa edificio di mattoni, come il luogo dove si va a pregare e di conseguenza alla Chiesa di persone come quelli che pregano, che fanno cose spirituali… è tipico dei ragazzi più giovani, ad esempio, pensare la chiesa (con l’iniziale minuscola o maiuscola è indifferente) come il luogo dove si prega, perciò noioso. Quante volte ho sentito studenti intorno alle scuole chiedere ai propri amici che avevano fatto i campi estivi: “Ma cosa fate durante i campi, pregate sempre?!”.

Già il fatto che questo tema della preghiera sia interpretato quasi sempre in senso negativo o riduttivo, come una cosa per pochi nostalgici, la dice lunga sulla situazione.

Ma vorrei provare a dire di più. Pensando alla preghiera come moto dello spirito, come elevazione della persona nel dialogo con il Divino, si potrebbe parafrasare la profezia di Isaia anche così: “La mia casa (cioè la Chiesa) sarà chiamata luogo di esperienza spirituale per tutti i popoli.”

Nonostante quello che si pensi, c’è molto bisogno di insegnamenti spirituali, regole o consigli per vivere meglio. Qualcuno sente il bisogno e lo cerca, qualche altro non lo cerca affatto ma non si rende conto che ne ha bisogno lo stesso.

Con rammarico, registro che questa “ricerca” è ormai affidata agli psicologi, alle religioni orientali o alle discipline olistiche, ai mental coach, ai motivatori, ai guru…

Non è una questione di competizione e lo dico con il massimo rispetto e amorevolezza: ma sembra che la Chiesa si sia ritirata da questo campo, sembra che al di là di qualche ripetizione di concetti stantii e moraleggianti, non siamo più capaci di appassionare all’esperienza spirituale come a un’arte, un tesoro prezioso e pieno di benefici che va ricercato, una scienza che va anche imparata.

I giovani meno che mai sembrano chiederla, così nella pastorale ci siamo settati su altre cose.

Mentre pensavo a queste riflessioni mi risuonava in mente lo splendido versetto di un salmo, che a proposito del ritrovarsi di Israele insieme agli stranieri nella luce del Messia a Gerusalemme, nella “Casa – di – preghiera”, dice:

sorgentiSi dirà di Sion: “L’uno e l’altro è nato in essa e l’Altissimo la tiene salda.”.
E danzando canteranno: “Sono in te tutte le mie sorgenti.” (Sal 87,5.7)

Mi piace pensare alla “saldezza” nelle nostre vite complicate, come qualcosa che ci viene dall’Altissimo. Se dovessi dare indicazioni cristiane per la vita concreta direi proprio questo: se cerchi di rimanere saldo nella vita, ascolta le indicazioni dell’Altissimo. Lì troverai tutte le “sorgenti” per la tua esistenza.

Don Davide