Rinascere dall’alto

Pochi versetti nel vangelo di oggi per esprimere un grande senso di appartenenza.

Gesù vivo è una guida alla quale avremmo tutti bisogno di modellarci: è potente, ma di quel “potere” non violento, che genera vita e aiuta a scoprire il significato misterioso dell’esistenza; non il potere che toglie la vita e distrugge. Gesù è premuroso, consegnando spazi di libertà e riavvicinando continuamente a sé chi è finito in pericolo. Gesù è protettivo contro le insidie e le tentazioni del male.

Sabato scorso abbiamo passato un bellissimo pomeriggio con i bimbi e le bimbe di seconda e terza elementare e le loro famiglie. C’era il sole, camminavo nel campetto che brulicava di attività e ho pensato: di più, di più! Voglio che il campetto torni come quella sera che abbiamo festeggiato il 50° anniversario di ordinazione di don Valeriano, che c’eravamo tutti ed eravamo tantissimi!

Ci vuole ancora più vita.

Abbiamo abbandonato le ultime restrizioni dello stato di emergenza e ci affacciamo a un tentativo di vera normalità.

Speriamo di lasciarci presto alle spalle l’aggressione della Russia all’Ucraina e di maturare, da questa bruttissima esperienza storica, una sensibilità ancora più acuta per la pace.

Sogniamo un’Europa con una consapevolezza storica ispirata all’inclusione, alla comunione e all’integrazione delle diversità, come stile di una vera cultura per il futuro.

In questa domenica abbiamo l’ultimo incontro del cammino spirituale che abbiamo iniziato in Quaresima, guidati dall’Azione Cattolica parrocchiale, e concludiamo la preghiera affettuosa a Maria dell’annuale Ottavario.

Sento crescere e rinnovarsi, da tutto questo, un grandissimo senso della comunità.

Mi auguro (e mi impegno) perché prendiamo lo slancio per riconvocarci davvero tutti e tutte; perché sappiamo ridire il Vangelo anche per i più giovani e perché possiamo offrire una testimonianza profetica e ispirata a questi tempi, in cui abbiamo bisogno di rinascere “dall’alto” (Gv 3,7).

Don Davide




Noi e il Risorto (Under 20 testo+video)

L’apostolo Tommaso è stato cristallizzato come quello cocciuto e incredulo, ma in fondo desiderava solo avere un incontro vero e personale con Gesù risorto, come tutti gli altri.

Per questo, in realtà, mi sta simpatico: perché non si accontentava per sentito dire, perché cercava qualcosa di autentico.

Un incontro così è descritto meravigliosamente nell’inizio del Libro dell’Apocalisse. Uno pensa a una cosa spaventosa, che precede catastrofi degne di un disaster movie americano…

Gesù risorto, invece, ci incoraggia con una mano sulla spalla.

“Egli, posando su di me la sua destra, disse: Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente!” (Ap 1,17-18).

Lui è vittorioso sulle forze inquietanti della nostra esistenza e della storia che viviamo.

Però non pensate a un Gesù risorto come a una specie di supereroe religioso inquietante… immaginatelo piuttosto come Baymax quando consola Hiro (VIDEO).

Come dice il dialogo, potrebbe accadere che non ci siano evidenze di mali fisici, ma non conta.

Alcune volte può far male in un modo diverso.

In quei momenti, siamo tentati di pensare che non ci sia nessuno capace di aiutarci.

Per superare questi pensieri, abbiamo bisogno di un incontro vero, di rassicurazione e di contatto fisico, come Tommaso. Ecco, allora, la mano di Gesù su di noi: “Non temere, io sono il Vivente!”.

 




I luoghi vivi

Mi è stato chiesto di scrivere l’omelia della Veglia di Pasqua. Ho trascritto gli appunti che avevo, nel modo meno schematico possibile, consapevole che rimane un testo che avrebbe ancora bisogno di molte rifiniture.

Introduzione. Il fuoco.

La Veglia di Pasqua inizia con il fuoco dello Spirito, come simbolo di un nuovo vigore e di una luce calda e piena di energia nella notte e, nella liturgia, non si sa se prepari la resurrezione di Gesù (perché serve per accendere il Cero Pasquale) o ne sia il frutto (perché è il segno che rinnova tutto), ma divampa!

Questo vigore, che Dio immette nella storia e con cui rinnova il mondo, è espresso nella potenza con cui Dio ha liberato il suo popolo dalla schiavitù (I lettura: Es 14), nella tenerezza che Dio esprime al suo popolo (II lettura: Is 54), nella forza con cui trasforma continuamente il nostro cuore indurito, lo intenerisce e ci rende più capaci di amare (III lettura: Ez 36), infine, nella vita nuova che ci fa vivere, anche quando meno ce l’aspettiamo (Epistola).

Sono convinto che se noi pensiamo al punto in cui siamo arrivati adesso nella vita, scopriremmo con meraviglia tanti traguardi, tante cose buone che ci troviamo a vivere, magari continuamente nascosti o offuscati dalle fatiche e dalle cose che non vanno, che però non devono coprire tutta la prospettiva.

Ma, in concreto, che cosa significa tutto questo per noi?

Il Vangelo ci fa ascoltare la domanda dei testimoni della resurrezione alle donne: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” (Lc 24,5).

Ci chiediamo: che cosa è vivo? Che cosa trasmette vita?

Che cosa, quindi, da vita alla Chiesa? Che cosa dobbiamo praticare, lasciando indietro quello che non dobbiamo più cercare?

Seguendo il racconto del Vangelo possiamo raccogliere tre indicazioni.

Primo. La tenerezza.

Le donne vanno al sepolcro, non perché sono animate dalla fede nella resurrezione, ma perché sono mosse dalla tenerezza: vogliono compiere un gesto buono nei confronti del Maestro. Non possono fare più niente per lui, ma hanno ancora affetto, e lo vogliono esprimere con l’azione di sciogliere le bende e ungere il suo cadavere, come segno di rispetto ai morti. È un gesto e un pensiero che ci riempie il cuore di tenerezza.

Paradossalmente, questa tenerezza è in grado di riscattare anche le dimensioni abitate dalla morte. I testimoni dicono che non bisogna cercare tra i morti, ma loro – andando a compiere un gesto tenero per un defunto – scoprono la via della vita.

Poco prima della Quaresima abbiamo celebrato il funerale di una bimba. In quel momento drammatico possiamo raccogliere tutte le fatiche della vita e gli orrori che si consumano, anche nelle guerre presenti, che si esprimono nella loro forma più acuta, ingiusta, dolorosa e radicale nella morte di una piccolissima bimba. Oggi pomeriggio, nel silenzio del Sabato Santo, i suoi genitori sono venuti a dire una preghiera per lei.

Una delle profezie più intense della resurrezione, nel profeta Isaia, recita così: “Non ci sarà più un bimbo che viva solo pochi giorni; né un uomo che dei suoi anni non giunga alla pienezza” (Is 65,20).

Mi tengo queste attese e queste speranze nel cuore.

Vedo, però, che in qualche modo misterioso, quando tu esprimi tenerezza, una vicinanza sincera, amicizia, lì c’è il Signore risorto che si fa raggiungere e si svela.

Secondo. Alleanza.

Nel Vangelo di Luca, per esprimere la passione, morte e resurrezione di Gesù, si usa di continuo il campo semantico del “dovere”: bisogna, bisognava, doveva… I testimoni richiamano le parole di Gesù quando era ancora in Galilea “e diceva: Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato…” (Lc 24,7).

È uno dei concetti più difficili del Nuovo Testamento e del mistero della vita di Gesù, ma sicuramente esprime il fatto che Dio, attraverso Gesù, si impegna con l’umanità. Non difende la sua libertà assoluta, si prende un impegno per salvarlo, per liberarlo dal peccato e dalla violenza che lo attanaglia, si condiziona, anche a costo di morire in croce.

Questo esempio di Dio, ci dice che l’Alleanza, allearsi, è un luogo della vita

Io mi impegno con te. Mi lego. Tu sei una cosa che mi riguarda. Ci tengo, non cambio alla prima fatica, lavoro sul nostro legame. Se serve, chiedo scusa e lo faccio prontamente.

Ho voglia di lavorare con te, pensare con te, costruire con te.

Per creare un’alleanza vera, secondo la testimonianza del Vangelo, ci vuole sacrificio, questa parola obsoleta e rifiutata, ma che è legata alla consegna che Gesù fa di se stesso. E insieme al sacrificio ci vuole condivisione: le donne che andarono al sepolcro, secondo il racconto di Luca, erano molte e compirono quella piccola spedizione insieme.

Terzo. Mediazione.

È opinione condivisa che la nostra è l’epoca delle non mediazioni, quella che non solo le ha rifiutate, ma abbattute. C’è un fondo di verità, in questo, ma adesso ci si scopre ad andare a cercare altre mediazioni, diverse da quelle precedenti, nuove, ma utili e necessarie.

Possiamo accedere a qualunque notizia, ma se ti vuoi informare decentemente, ti affidi ad un aggregatore, a un giornale o a una rivista di cui ti fidi, che faccia un po’ di mediazione dello scibile, per te. Puoi ascoltare tutta la musica che vuoi, ma utilizzi le playlist per conoscere quella più di tendenza, in mezzo alla vastità di tutto quello che è disponibile. Si potrebbero fare tanti altri esempi.

L’idea di una mediazione è fondamentale perché nel Vangelo di Luca, per comprendere la resurrezione ci vuole sempre una mediazione: dei testimoni al sepolcro (Lc 24,1-7), del pellegrino misterioso (Lc 24,13-35) o del Risorto stesso, che palesato, spiega ai suoi discepoli il mistero della resurrezione (Lc 24,36ss.).

Mi sembra che questo valga soprattutto per la responsabilità degli adulti nei riguardi dei ragazzi e dei giovani.

Per comprendere la vita, ci vuole qualcuno che medi l’esperienza, che sia capace di darne un’interpretazione significativa, che ti restituisca il vissuto e poi che sappia ad un certo punto sparire, farsi da parte, sottrarsi.

I testimoni della resurrezione nel Vangelo di questa notte spariscono dalla scena e dalla narrazione senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Il pellegrino misterioso scompare dalla vista dei discepoli non appena lo hanno riconosciuto. Il Signore risorto ascende al cielo.

Questa è davvero l’opera decisiva: la capacità di offrire una mediazione, per comprendere la vita, e poi lasciare sgombro il campo di gioco.

Conclusione. “Porrò il mio spirito” (Ez 36,27)

Il profeta Ezechiele, nella lettura che porta il percorso dell’Antico Testamento fin sulla soglia del Nuovo, parla di un’effusione dello Spirito nell’intimo di ogni essere umano, come gli inizi di una Creazione Nuova (cf. Gn 1,2).

È solo l’inizio, dunque.

Al sepolcro noi abbiamo gli attrezzi del mestiere di vivere, come si diceva una volta andiamo a imparare a bottega.

Nella celebrazione di questa Pasqua, allora, possiamo tenere una preghiera nel cuore che suona così:

Su di lui, su di lei si posi lo Spirito del Signore.

Su questi miei fratelli e sorelle, su queste mie amiche ed amici si posi lo Spirito del Signore.

Sulla mia famiglia, su mia moglie, mio marito, su questo mio figlio e questa mia figlia si posi lo Spirito del Signore.

Su questa comunità posa, Signore, il tuo Spirito.

 

Don Davide




Vita, sostanza purissima (Under 20 testo+video)

Oggi è un giorno speciale, per i cristiani il più speciale dell’anno, perché la Pasqua ha a che fare con la vita, la cosa più difficile, bella e preziosa che abbiamo.

Il messaggio di oggi è come un libro-game (ho sempre sognato di scrivere un libro-game!).

Prima di procedere, devi pensare un attimo se sei ok con la vita, oppure no.

Se non sei ok, con la vita, allora salta questa prima parte e vai al punto 2.

Se sei ok, procedi.

Punto 1. Sono ok

Se è un periodo che sei ok, con la vita, allora CLICCA QUI .

Tutte le luci che si accendono, miliardi di pixel che si infiammano e si muovono al ritmo del battito del cuore di Gesù che torna a vivere è un’ottima immagine della resurrezione. La resurrezione la capisci quando sperimenti che la vita non è solamente retorica, ma sostanza purissima, che ti nutre le cellule e ti fa venir voglia di vivere.

Punto 2. Non sono ok

Se non sei ok, fai parte di tutti quelli che dicono: “Ci vorrebbe un’altra vita… Se fosse mai esistita, un’altra vita…” come puoi trovare in QUESTO VIDEO INTENSISSIMO, minuti 3’30”-6’40”.

Ma con la resurrezione di Gesù è esattamente questo che accade: abbiamo un’altra vita! Sembra incredibile, ma è generata dallo Spirito, succede qualcosa di inaspettato, siamo salvati e cominciamo a vivere una vita nuova.

Se ti fidi, lo puoi sperimentare seguendo Gesù risorto.

Vi auguriamo di scoprire che la vita non è solamente retorica, ma sostanza purissima, che vi riempia le cellule e che possiate viverla appieno, sentendovi nuovi se necessario.




Sulla soglia

La resurrezione è una soglia.

Non c’è più un sasso duro a chiudere il passaggio, ma una porta aperta, che si può varcare.

Questa soglia apre una ricerca, obbliga a fare ipotesi, suscita pensieri nuovi. Più che fare un giretto nel sepolcro, le discepole non possono fare altro.

Che cosa c’è altrove?

Lì, sulla soglia, incontrano degli uomini, forse degli angeli mascherati. Sono un confine di passaggio tra il mondo di Dio e il nostro: messaggeri che con la loro parola ci portano continuamente alla sorgente dell’annuncio: “Non è qui, è risorto!” (Lc 24,6).

Anche nella versione di Giovanni c’è un gioco liminare.

Persino il tempo è una soglia: letteralmente “il primo dei sabati” (Lc 24,1 e Gv 20,1), il primo giorno di una Creazione rinnovata, l’universo nuovamente ricco di promesse di bene.

Gesù queste soglie le varca tutte.

Per lui non c’è più distinzione tra l’essere in life e on line, nel mondo ma non del mondo. Si rende presente entrando nelle stanze anche a porte chiuse, mangia con noi nell’Eucaristia, ma appena i nostri occhi cominciano a riconoscerlo e noi ad abbracciarlo, ecco che lui si sottrae e ci lascia di nuovo su quella soglia a provare nostalgia per il mondo della resurrezione.

Sulle Dolomiti c’è la via ferrata “delle Trincee”, che si sviluppa spostandosi continuamente da una parte all’altra del crinale di Porta Vescovo, affacciandosi sulla Marmolada o sulla valle di Arabba e Livinallongo. Lassù, con una buona dose di vertigini, varchi continuamente la soglia da cui ammiri uno spettacolo incredibile, di cui eri a conoscenza, ma che era quasi impossibile immaginare prima.

Uno dei salmi più belli del salterio recita letteralmente così: “Un giorno nei tuoi spazi / ne vale mille! / Ho scelto / abito sulla soglia di Dio” (Sal 83,11).

La resurrezione non è, dunque, abitare stabilmente in un luogo risolto, dove tutto è chiaro e sereno. È sempre un cominciamento, il tornare a vedere orizzonti possibili, prospettive nuove e un panorama che ti fa vivere.

Anche se questa soglia è sempre da recuperare, finché siamo qui, è importante raggiungerla.

Avere anche solo la possibilità di stare per il tempo di un battito nel cuore di Gesù che torna a vivere, e pulsa nelle vene della storia la vita divina, e srotola sotto i miei piedi un universo che si rinnova, questo vale più di ogni altra cosa.

Don Davide




Sulla pietra, per te (Under 20)

Voglio scrivere per te sulla pietra
del Tempio,
che rimanga inciso in eterno
il ricordo.

Voglio scrivere
della tua giovinezza pulita,
deturpata da quelli
che osano giudicarti.

Scrivo per terra
che non sono questi i passi.

Che non bisogna umiliare
nessuno.

Vorrei scolpire sulle mura
un voto
per la tua fioritura
di appartenuta bellezza.

Che male ti faccia
nessuno.

Scrivo ancora su questo cortile:
è luogo santo,
che tu possa abitarne gli spazi
felice.

Del Tempio
rammenta le pietre deposte
sulla pietra
l’amore impresso
nel tuo giovane corpo.




Cammino di Nicodemo, cammino della Chiesa

Il Maestro e il discepolo

 

Il nome Nicodemo è un nome greco composto da ‘vittoria’ e ‘popolo’. Dal greco in italiano si può declinare il suo significato traducendo: 

‘Vincitore del popolo’ 

‘Vincitore fra il popolo’ 

‘Vittoria del popolo’. 

È chiara l’idea di Giovanni che, nel percorso di Nicodemo, vuole rappresentare una vittoria: quella del popolo, della gente comune. 

Il dialogo con Gesù non è solo l’inizio di un percorso; le ragioni di Gesù sono ‘con-vincenti’. Si vince insieme; non io sì e tu no, o viceversa. Con Gesù vincono tutti, anche chi vuole distinguersi dalla gente comune, ma è pur sempre del popolo. 

Il Vangelo ci aiuta a riflettere anche su questi tempi avversi, dove si possono contare almeno 18 guerre nel mondo (secondo altre stime 34), una ora anche in Europa: in queste guerre perdono tutti, anche se nella contrapposizione finale dovesse apparire un vincitore.  

Nella trasformazione che Nicodemo compie al seguito di Gesù, il Maestro indica la via per essere vincenti tutti.

Maestro e discepolo ci fanno strada, noi li seguiremo ancora.




Oltre (Under 20)

Ricordo perfettamente il giorno in cui per la prima volta ho letto di Mosè.

Prima era il nipote del Faraone, ma nella parte iniziale del racconto, non gli viene dato nessun risalto. A un certo punto uccide un egiziano, la sua famiglia gli si ritorce contro e lui scappa.

Torna ad essere uno qualunque. Trova moglie, fa il pastore.

Pensate: dalla famiglia del Faraone a pecoraio nel deserto.

Tutto ha inizio dal suo osare di guardare di nuovo “oltre”.

Cosa c’è ancora da scoprire? Come va avanti la storia?

Non ve lo dico, spero che la andiate a leggere (Esodo 3, per i lettori) o che veniate a messa (trucchetti da prete).

Forse l’avevo ascoltato mille volte e quel giorno l’ho solo focalizzato. Ricordo l’anno, il mese, il giorno della settimana, l’orario del mattino, i luoghi, la luce, i profumi, gli amici con cui ero.

Ma voi direte: “Ok, don Davide…” e perché, di preciso, me ne dovrebbe fregare qualcosa?

Perché è importante il fatto che possa accadere: che una cosa, all’improvviso, ti possa cambiare la vita, senza che tu te ne stia rendendo conto.

Se me ne fossi reso conto, quel giorno, ne avrei avuto una paura pazzesca; invece, adesso ne sono grato.

Spesso, quando noi adulti parliamo su di voi e non con voi, diciamo che il futuro vi fa paura.

Non so se sia vero del tutto. Secondo me, siete molto più coraggiosi di noi.

Ma la cosa che mi interessa è questa: da lì in poi, il racconto di Mosè rivela il vero nome di Dio, per ciascuno che ingaggia l’avventura della vita con lui. Lui si chiama: IO CI SONO CON TE.

 




Nicodemo e la nuova vita

La parola autorevole di Gesù

Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio». (Gv 3,3)

La solennità di questa frase è un’autorevole dichiarazione a partire dal suo incipit.

Nicodemo aveva solo iniziato ad argomentare quello che voleva dire a Gesù pensando come ogni buon fariseo, di sapere con chi aveva a che fare. Ma non ha ancora abbastanza luce: è nella notte ed è appena iniziato il suo percorso di vera conoscenza di questo uomo. Dovrà ricredersi subito delle sue convinzioni, mentre il Maestro avvia con lui un processo educativo.

È necessario rinascere, nascere nuovamente anche al sapere. L’incontro con Gesù non può lasciarci come prima. Questa esperienza può mettere ognuno in condizione di vedere il regno di Dio in maniera completamente differente. Ma rinascere da solo non basta. La novità viene concepita dall’alto e accolta nel profondo della propria vita.
All’ascolto della Parola, alla sua scuola, si rinnova la vita di ciascuno e solo così riusciremo a vedere cieli nuovi e terra nuova (2Pt 3,13).




La vita in ballo (Under 20)

L’inizio.

C’è qualcosa che ha più fascino degli inizi?

Vi ricordate le vostre prime volte? La prima volta sulla bicicletta, il primo giorno di scuola, la prima volta che avete praticato lo sport che vi appassiona, il primo amore, il primo bacio?

Quando siamo stati chiamati all’esistenza, ci è stato dato un inizio che non avrà più fine: non con le esperienze che si aprono e si chiudono, non con il trascorrere del tempo, non con la morte.

Oggi vi porto a quel tipo di inizio lì: quando qualcuno ti ha comunicato la resurrezione di Gesù (e la tua) o quando tu hai sentito che, nonostante tutte le apparenze e contraddizioni, era vera.

In quel momento una luce è andata a ritroso all’inizio della tua esistenza e ti ha detto: tu esisti.

Prima non c’eri, e adesso sì. Ed è un gran bene che sia così e che questo bene non finisca più.

Non c’è interruzione che possa essere decisiva. “Questa è la fine?” dice il protagonista di uno dei miei libri preferiti, in un dialogo indimenticabile con la ragazza che ama. “No, è l’inizio” risponde lei.

Tu ci sei, la tua esistenza è una stella irreversibile accesa nell’universo. Splendi, a partire dal nucleo per irraggiare all’esterno, per rendere bellissimo e nuovo, con la tua sfumatura, l’eterno.

Don Davide