Ott 23

L’amicizia nel nome di Dio

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La parabola del fariseo e del pubblicano tocca uno degli aspetti più importanti in assoluto per i discepoli di Gesù e per chi voglia costruire la Chiesa così come lui l’ha voluta.

Gesù si confrontava spesso con i farisei, proprio perché il suo stile era quello di proporre un’autentica interpretazione della Legge; lui stesso, mentre prendeva radicalmente le distanze dai sadducei (i capi del popolo, la classe sacerdotale legata al culto del Tempio), si inseriva piuttosto nello stile dei grandi maestri e interpreti della Torà. Per questo prende un tema fondamentale come quello della santità di vita, che era fortemente legato al bisogno di non “mischiarsi” a chi aveva una condotta lontana dalla Legge, per riorientarlo al suo significato originale, più vero e più giusto.

Il pubblicano sta di fronte a Dio con l’intima presunzione di essere giusto, e disprezzando l’altro. Innanzitutto Gesù vuole correggere questa comprensione della fedeltà ai precetti della Legge come possibilità di autogiustificazione. La fedeltà e la condotta morale, infatti, neanche nelle Scritture di Israele sono un modo per rivendicare dei diritti di fronte a Dio, o per mettersi al pari di lui. Al contrario, se pensiamo al Decalogo e alla promulgazione della Legge a Mosè, sono una via concreta per cercare di custodire l’amore che Dio ha rivelato per il suo popolo e la libertà che gli ha donato. Questa tipica sensibilità risuona, aggiornata, nelle parole di San Paolo ai Galati: «Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi! State dunque saldi e non lasciatevi dunque imporre il giogo della schiavitù!» (Gal 5,1). Si cerca di fare il bene, dunque, perché siamo consapevoli che questa è una via per custodire quanto di meglio la vita ci può offrire.

In secondo luogo, Gesù ci dice che non si può stare di fronte a Dio da antagonisti con il nostro fratello. È il peccato originale di Caino, che il Signore vuole redimere. La storia di Israele, che attraverso l’Elezione è certamente anche una vicenda di separazione e di scelta, è finalizzata alla comunione di tutti i popoli. Questo esito è precisamente l’evento scatenato dal Messia. Non c’è alcuna possibilità quindi, di schierarci orgogliosamente tra le fila di Dio, quando questo atteggiamento è accompagnato dal disprezzo per chi è “fuori”. Non possiamo presumere che Dio stia dalla nostra parte, se in noi non c’è quell’acuta sensibilità che ci fa sentire partecipi della storia e del destino dei nostri fratelli e sorelle, e voler bene a ciascuno senza limiti né giudizio.

La cosa è tanto più forte in quanto il pubblicano era veramente un peccatore. Commetteva un’azione spregevole conosciuta da tutti, sbagliava pubblicamente. Proprio per questo Gesù dice che bisogna essergli ancora più vicino.

Ma chi è il vero pubblicano? È colui che sta in fondo al tempio battendosi il petto. Non c’è tracotanza, in lui. Solo la conoscenza dei propri limiti, la consapevolezza della contraddizione, l’amara esperienza di sbagliare. Ecco: a tutti costoro, che bevono ogni giorno il calice amaro della propria ingiustizia, Gesù è inequivocabilmente vicino. Ma chiunque non si pente, chi opera il male con superbia, chi pensa di ingannare Dio così come inganna gli uomini, costoro sono come il fariseo. Hanno la presunzione di potere stare davanti a Dio pensando di legittimarsi, invece se ne torneranno umiliati.

Don Davide

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