Set 18

I furbi, chi governa e gli amministratori

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È davvero un saggio di attualità la liturgia odierna, la quale ci propone un campionario di situazioni che sentiamo molto vicine.

La prima lettura ci presenta la figura dei “furbi”: quelli che all’esterno, o apparentemente, vogliono apparire corretti, ma poi tramano nel cuore le peggiori empietà. Il pensiero che costoro fanno sulla legge del Sabato è spaventoso: “Vabbè, ci tocca aspettare il Sabato, ma speriamo che passi presto così possiamo tornare a fare gli impostori!”. La loro colpa è di svuotare completamente il valore della rettitudine e che osservano la Legge pensando in realtà che non ci sia un Dio in cielo, o illudendosi che egli non veda. Invece lui giura: «Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere!» (Am 8,7).

San Paolo, al contrario, valorizza al massimo la responsabilità e i suoi significati, al punto da chiedere con insistenza che si preghi per chi è incaricato di governare. Ben lungi dall’essere un conservatore o un difensore dello status quo, Paolo sa che tali incarichi necessitano della più grande serietà, umanità, onestà e competenza; per questo invita i credenti ad accompagnare un compito così importante con la forza della preghiera. La posizione di Paolo è l’esatto contrario di quella dei “furbi”. Non ci deve essere nessun interesse per le proprie cose, nessuna smania di dare sfogo alle frustrazioni o alle proprie preoccupazioni; il governo riguarda il bene di tutti (in positivo) o il male di tutti (in negativo), quindi il cristiano deve tenere lo sguardo fisso sull’opportunità di superare i personalismi per favorire il più possibile il bene.

Nel vangelo, Gesù loda un amministratore “disonesto”. Scelta politicamente scorretta: ce lo immaginiamo cosa succederebbe oggi se Gesù avesse rilasciato una dichiarazione di tal fatta? Sarebbero comparsi titoli del tipo: “Gesù provoca ancora!”, oppure: “Leader carismatico religioso invita pubblicamente alla disonestà” ecc. ecc. Eppure, con una delle sue sagaci parabole, Gesù smaschera la micidiale ambiguità del denaro e ci obbliga a considerare il rapporto ossessivo e deviato che abbiamo con esso: «Non si può servire a Dio e al Denaro» (Lc 16,13).

Questi tre scenari di incredibile attualità mi fanno pensare ad altrettante situazioni in cui la parola di Dio ci edifica: la ripresa delle attività dopo il tempo dell’estate (lavoro, parrocchia, sport, interessi); la scuola; la drammatica recente esperienza del terremoto.

Il compito educativo di tutte le realtà coinvolte nella formazione della persona, dovrebbe essere quello di favorire un’autentica dignità umana e un profilo morale esemplare, non quello della “furberia”. I furbi ci stanno così antipatici perché sono degli “omaruncoli”, dei “poveretti” direbbero i ragazzi, eppure ogni tanto ci lasciamo tentare dal pensiero di “voler fare come loro” (attenzione: non di “voler essere” come loro!), per avere la strada in discesa, e perché ci sembra che rimangano sempre impuniti, che la facciano sempre franca, che cadano sempre in piedi. Ma invece non è così: per dirla con le parole di Gesù: “Non c’è nulla di nascosto che non debba essere manifestato!” (Lc 12,2).

La meravigliosa avventura della scuola, dovrebbe essere per ragazzi e docenti l’opportunità di allargare gli orizzonti al bene comune e al desiderio/bisogno di costruire le basi (culturali ed umane) per assumere incarichi anche gravosi con la massima coerenza e competenza. Sono stato colpito, in questi ultimi giorni, dal botta e risposta su sociale e quotidiani polarizzato intorno a due questioncine di poco conto, ossia sulla simpatica iniziativa di un professore di latino di proporre la traduzione del tormentone dell’estate: “Andiamo a comandare” (se non sapete di cosa si stia parlando, fermato un qualunque giovane per strada e chiedete!), oppure sulla vicenda del papà che non ha fatto fare i compiti al figlio scrivendo la lettera di motivazioni ai professori. Senza entrare nel merito segnalo, come sia facile perdere di vista i veri tesori della scuola e smarrirsi in polemiche di nessun conto.

Infine, l’eterna opera di divisione operata dal Denaro (nome proprio di un dio negativo), mi ha fatto pensare al terremoto recente. Oggi, in tutte le chiese d’Italia, facciamo la raccolta per aiutare le popolazioni colpite, ma attorno al denaro si consumano sempre le crisi e le fatiche: soldi destinati a mettere in sicurezza le strutture spesi per altre cose; sciacallaggi (reali e mediatici) e la grande sfida dell’aiuto alle popolazioni colpite per affrontare l’inverno, la ripresa delle scuole e il lavoro, insieme alla ricostruzione. Non si può servire a Dio e a Mammona, anche in questo caso possiamo decidere chi dei due vogliamo servire.

Don Davide

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