Mag 06

Omelia 6° domenica di Pasqua

Di

“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi.” (Gv 15,12)

Esistiamo, perché un atto d’amore ci ha preceduti.

Veniamo generati da un atto d’amore.

Fino dal primo istante della nostra esistenza terrena, è lo sguardo d’amore e di tenerezza che si posa su di noi che ci mantiene integri e ci fa crescere.

Dopo, tutto facciamo nel bene e tante volte anche nel male, col desiderio di ricevere amore. Cerchiamo di compiacere i nostri genitori, di essere simpatici coi nostri amici, di lusingare chi stimiamo per stare nella dimensione rassicurante del loro amore. Oppure, viceversa, siamo ribelli e cerchiamo il nostro spazio, facciamo magari i bulletti e siamo fastidiosi, facciamo finta di disinteressarci dei nostri insegnanti, dei nostri maestri e dei nostri educatori perché speriamo che qualcuno riesca a convincerci che siamo amati così come siamo, che la grande ribellione può finire, che abbiamo trovato casa.

Poi ci si innamora per la prima volta, da ragazzi, e tocchiamo il cielo con un dito. Ogni cosa ci parla, ci parlano i fiori, gli uccellini, una bella canzone, il sole nella nostra città. Ci sentiamo avvolti e coinvolti in una comunione quasi cosmica, universale. Per quel breve e fugace attimo in cui il primo amore si manifesta, così immediato, genuino ancora non corrotto e non sovrastrutturato, con la persona amata siamo le persone migliori del mondo: ogni conflitto sembra risolto, ogni equilibrio ricostituito. Se idealmente potessimo dilatare quel momento per ogni persona, estenderlo, condensarlo in una pozione o formula magica, forse non ci sarebbero più le guerre.

Poi subentra il primo disincanto, a cui ne seguiranno mille altri, che possono o sorprendere la nostra percezione buona dell’esperienza dell’amore, disilluderci – come si dice – oppure confermare le nostre paure, le nostre fatiche, la percezione di non essere noi i fortunati destinatari dell’amore del mondo, e quindi, in ultimo, subentra la rabbia, il rancore.

Cominciamo a scoprire che l’amore è un lavoro faticoso, di ogni giorno, che può partire solo da noi stessi. Se abbiamo la fortuna di incontrare qualcuno che ci guida in questa consapevolezza, nella vita, siamo salvi.

Quando otteniamo un traguardo sperato – una vittoria sportiva, la maturità, la laurea, una professione che ci soddisfa – ci sembra di potere porre finalmente una parola di riscatto definitiva. Ci sembra di poter dire: “Finalmente le cose stanno così: posso essere amato”, ma poi ci dobbiamo subito mettere a lavorare di nuovo a tessere con l’ago e con il filo la nostra capacità di amare e la gratitudine totalmente libera da pretese di essere amati.

Quando incontriamo l’amore della vita e decidiamo di portarlo all’altare, oppure di consacrarlo, intuiamo sì qualcosa di definitivo. Io ti voglio amare e mi sento amato o amata nel modo giusto così, nel modo che mi fa bene e che ti fa bene. C’è una scintilla di verità profonda in quella scelta. A questa verità bisognerebbe cercare di stare ancorati e di essere fedeli.

Ma anche in questo caso, il lavoro dell’amore è solo all’inizio.

Sentiremo che ci alterniamo fra il desiderio di essere amati e il bisogno di amare, e che quando riusciamo a fare vincere il bisogno di amare, sul desiderio di esserlo, viene svelato un segreto nascosto, tocchiamo un mistero e scopriamo tesoro. Quando veniamo all’esistenza, l’amore ci precede e ci segue e ci circonda, ma in realtà non abbiamo tanto bisogno di essere amati, quanto di amare. Essere amati è una pedagogia per amare. Essere amati è l’inizio, amare è la meta.

Quando staremo per chiudere gli occhi, non ci rimarrà più niente a rassicurarci, se non questo conforto: “Ho amato”, oppure questo dramma: “Non ho amato”.

Se le cose stanno così, perché allora facciamo così tanto – talvolta in maniera scomposta – per essere amati e così poco per amare?

Il comando di Gesù va a intercettare questo punto onnicomprensivo dell’esistenza umana. Non è un comando oppressivo, sconveniente e privativo. La parola decisiva è ridotta all’essenziale, l’unica cosa necessaria: amate, amatevi! È un comando per la vita.

Lo Spirito Santo spinge la Chiesa ad assumersi nessun altro compito che tenere viva la memoria di questa via. Anche superando barriere o convenzioni che ci autoimponiamo.

Beata Vergine della Salute, Maria, nell’attimo in cui ti sei sentita amata e hai deciso di amare, non solo hai avuto la vita, ma l’hai generata. Sei stata costituita come donna completa: ragazza, giovane, adulta, donna, madre, anziana. Dona a ciascuno di noi, quasi come una fata delle favole, il tocco dell’amore che ci indica il tuo figlio, Gesù.

Don Davide

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