Ott 21

Poltrone e mandato

Di

Ricchezza e potere: un binomio micidiale per il Vangelo. Domenica scorsa Gesù aveva parlato della ricchezza, in questa tratta del potere: in entrambi i casi per esprimere un giudizio molto severo.

C’è un’esperienza “mondana” che Gesù addita senza mezze misure: chi è chiamato al governo e i capi finiscono nelle spire del potere, diventano dominatori e oppressori. Se si pensa alla situazione di alcuni paesi del mondo e alla tentazione costante di qualunque ruolo “di potere” si riconosce quanto queste parole di Gesù siano attuali e senza sfumature.

Ma questo pericolo può avvelenare anche la Chiesa, che rischia di diventare “mondana” ogni volta che il potere si afferma di più della disponibilità a dare se stessi «in sacrificio di riparazione» (Is 53,10).

Mi viene in mente questa scena, per spiegarmi. Un gruppo di ragazzini in cortile organizza le squadre per giocare a calcetto. Il più bravo dice a quello più brocco: “Tu vai in porta!”, ma si sa che nessuno vuole mai stare in porta. Così il brocco rifiuta e cominciano a litigare. “Vacci tu, chi ti credi di essere?!” dice il brocco dopo alcuni scambi poco garbati. A questo punto, quello della squadra che è bravo, ma non il più bravo, dice: “Vabbé dai, ci vado io…”. Sa di rinunciare a divertirsi e a fare goal… ma ci vuole qualcuno che sistemi la situazione. Questo significa “sacrificio di riparazione”.

Fin da piccoli, quindi, ci accorgiamo quanto ci costi rinunciare al potere. Invece, tutta la vita spirituale cristiana potrebbe essere descritta come un itinerario di liberazione da ogni volontà di potenza. Che non c’entra niente con l’ambizione o il sognare in grande. Il potere è qualcosa che, nei posti che occupiamo, anche i più piccoli, usurpa qualcosa agli altri. “Io voglio essere alla destra di Gesù – pensano Giacomo e Giovanni – e peggio per gli altri!”.

Se io vinco una partita, quello non è potere, perché l’ho conquistata, me la sono meritata; ma se rubo, inganno o non sono corretto, questo è potere. Se io vinco un concorso per avere un posto di lavoro importante, quello non è potere; ma se io cerco una raccomandazione o una via preferenziale, questo è potere. Se in chiesa io curo i fiori dell’altare, pensando di farlo con grande spirito di servizio, ma una volta che qualcuno mi vuole dare una mano o un suggerimento lo mando via in malo modo, questo è potere.

Da questo ci dobbiamo spogliare.

Oggi la nostra comunità parrocchiale conferisce il “Mandato” a tutti i catechisti, gli educatori e i responsabili delle attività. È un riconoscimento ufficiale del servizio che, come parrocchia, chiediamo loro a nome di tutti, e che orienta la vocazione di ciascuno alla santità.

Questa chiamata al servizio scaturisce direttamente dal Battesimo: è un potere che non ci deve conferire nessuno, se non Gesù stesso che ci chiama ad essere attivi costruttori della sua casa. La comunità – la Chiesa – opera un discernimento di questa disponibilità e la riconosce, con gratitudine.

Proprio per questo motivo, ogni incarico assunto nella Chiesa dev’essere completamente libero da ogni gusto del potere. Gesù lo dice con una semplicità così disarmante che siamo sempre portati a travisarla: «Chi vuole essere il primo, serva, non per modo di dire, ma come gli schiavi» (Mc 10,44).

A chi riceve il “Mandato”, quindi, facciamo gli auguri con le parole della seconda lettura: che sappiate prendere parte alle debolezze soprattutto dei più fragili, dei meno coinvolti e dei meno simpatici, e che possiate avere il cuore benevolo come Dio Padre, ed essere graziosi e gentili verso tutti (cf. Eb 4,15.16). E così dicendo, vi ringraziamo anche del vostro servizio.

Don Davide

image_pdfimage_print
, ,

Lascia un commento

Name *

Email *
Commenta *