Apr 23

L’esempio di Gesù

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Nella Chiesa siamo tutti pecorelle del gregge di Dio, dove il Pastore supremo è Gesù, pieno di cura affettuosa per ciascuno di noi. In questo averlo come punto di riferimento e guida sicura, inoltre, anche noi riceviamo l’incarico di essere pastori, come accade per un atleta che si metta ad allenare i più piccoli, o viceversa come ogni fanciullo di Estate Ragazzi che sogna di imitare il suo animatore o la sua animatrice preferita.

È l’esempio di Gesù, da mettere in pratica in molte forme, gli uni per gli altri.

Questo pastore ho quattro tratti, che lo descrivono, ci affascinano e ci incoraggiano ad imitare il suo esempio:

1)ha cura delle sue pecore, non è un mercenario, non fugge di fronte al pericolo, se serve dà la vita per loro;

2)conosce ed è conosciuto, ha stabilito una relazione consueta, potremmo dire che “ha una casa, ha un ovile”;

3)ha il cuore aperto, non coltiva i suoi in modo chiuso, soffocante, ma sente un istinto di bene magnanimo e verso tutti;

4)fa della sua vita un dono, non solamente “da morirne”, ma vive la sua esistenza con animo generoso. Non è un oppresso, ma è libero di dare.

Questa bellissima sequenza del buon Pastore, dunque, ci permette di fare un intenso esame di coscienza.

Tutti siamo suoi agnellini, ma tutti siamo anche pastori di altre pecorelle: possono essere la nostra famiglia, i nostri studenti, i ragazzi e le ragazze del gruppo di cui siamo educatori, i giovani, i dipendenti del mondo del lavoro; i pazienti, gli anziani, coloro che aiutiamo.

Senza volere affrontare ciascuno di questi tratti, desidero coglierli complessivamente e chiedere a me stesso che cosa ne è stato, sperando che altri abbiano voglia di mettersi in trasparenza di fronte a questa parola.

Sento in me la domanda: quando è venuto il lupo di questa pandemia, mi ha trovato mercenario o pastore? Riconosco le mille tentazioni di fuggire di fronte al pericolo, all’eccesso di impegno e di responsabilità. Ho cercato di mantenere le attenzioni, di fare una telefonata a chi non sentivo da tempo, di informarmi sulla salute degli ammalati e di accogliere chi desiderava parlare, ma… quanto si poteva fare di più, e con il cuore più sensibile e lieto?

E poi so che c’era bisogno di parole molto più illuminate dalla fede. Quante volte mi sono fatto chiudere in discorsi solo umani, in ragionamenti di buon senso o poveri di approfondimento, mentre sarebbe stato utile accogliere una luce profetica, penetrante, che squarciasse il buio e indicasse sentieri?

E infine, rimane la vocazione delle vocazioni: non c’è un tempo migliore di un altro per vivere il Vangelo, per fare della propria vita un dono. Ripenso a tutte le volte, in quest’anno e mezzo, in cui ho pensato: “Che sfortuna vivere un periodo così!” e, con le parole del Pastore nelle orecchie, capisco: “Ci sarebbe stato un tempo migliore, per fare della propria vita un dono? Ha più valore quando è facile o quando è difficile?”.

Sento rivolte l’appello ispirato di Pietro, nella prima lettura, quando interpella riguardo a Gesù chi dovrebbe essere pastore e saggio. Ecco: la sequenza del buon Pastore mi mette in rapporto a Gesù. Forse, più nitidamente che in altri tempi, riconosco che un lupo è passato e che ancora si sentono gli ululati del branco.

Fisso il buon Pastore, risorto, e ascolto la sua voce ripetere quello che ha detto a ciascuno solo pochi giorni fa: “Vi ho dato un esempio, perché come ho fatto io facciate anche voi, gli uni per gli altri” (cf. Gv 13,15).

Don Davide

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