Feb 06

Guarire la solitudine

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Il Vangelo di Marco ci presenta un’umanità afflitta da molti mali, alcuni più simbolici come una febbre che non ci fa essere attivi, altri più seri come delle vere e proprie malattie mortali. La parola, i gesti e la presenza stessa di Gesù vengono indicati come una liberazione da tutto ciò: appena uscito dalla sinagoga, si sprigiona da lui la potenza del Regno di Dio.

Ascoltando l’amara riflessione di Giobbe nella prima lettura, siamo spinti a riconoscere che c’è un male attuale più di ogni altro: la fatica del vivere, lo smarrimento del senso, la solitudine.

Anche chi – per fortuna o per merito – non conosce queste esperienze e le opprimenti situazioni emotive che provocano deve fare spazio nel proprio intimo e ascoltare il grido di chi ne soffre. È un’empatia necessaria. Ci sono tanti nostri fratelli e sorelle che gemono schiacciati da difficoltà troppo grandi per loro, che si chiedono come Giobbe che senso abbia esistere ed esistere così, e che sanguinano per la solitudine.

L’espressione più estrema di questa esperienza, qualcosa di analogo alle dimesse parole di Giobbe di oggi, è descritta da un grande scrittore e filosofo, che indica senza individuarlo il punto di rottura, quello che lascia molti essere umani come naufraghi solitari nel mondo:

«Ci dev’essere stato un momento di comunione in cui non avevamo alcuna obiezione da fare al mondo; com’è allora che la nostra solitudine è così profonda?

Dev’essere successo qualcosa, ma le radici della deflagrazione ci restano impenetrabili.

Noi ci guardiamo attorno, ma più nulla ci sembra concreto, più nulla ci pare stabile.» (Houellebecq, Cahier).

Oggi la Chiesa Italiana celebra la 43° Giornata per la Vita. A ben guardare, tutte le situazioni difficili o addirittura tragiche per la Vita hanno a che fare con la solitudine e con la fatica del vivere. Assumere la propria responsabilità per la Vita e per aiutare chi è in qualsiasi tipo di crisi significa soprattutto soccorrere questa solitudine, alleviare con dolcezza, amicizia e ogni premura quella sensazione che l’esistenza sia troppo grande e difficile da affrontare.

Il Vangelo risuona come una medicina alla malattia mortale di questo tempo: la solitudine. È importante ricordare che questa cura non avviene solo con l’annuncio della parola, ma anche con gesti concreti e con la presenza, proprio come faceva Gesù.

Per questo l’apostolo Paolo, nella seconda lettura, scrive che annunciare il Vangelo è una necessità che si impone: per quel desiderio di soccorrere coloro che hanno bisogno di essere aiutati a riconoscere o a riscoprire la Vita, propria o altrui, come una benedizione.

Don Davide

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