Mag 28

Ascensione. Essere in Cristo

Di

Caro don Valeriano,

sarebbe giusto che questa lettera aperta, in un’occasione così speciale, fosse indirizzata a te, invece voglio dedicarla alla nostra comunità.

Se non mi sbaglio, secondo le regole della grammatica, nostra è un pronome possessivo, ma in questo caso non indica alcun possesso, bensì appartenenza. È la nostra comunità, nel senso che ne facciamo parte, che le apparteniamo, e come preti prestiamo in essa e per essa il nostro servizio.

È profondamente appagante sentire questo “nostra” così vero: in questi giorni mi ha fatto pensare che – al di là di quello che si vede o delle nostre valutazioni pastorali (spesso dettate da un giudizio solo umano e poco capace di riconoscere il corso segreto degli affetti) – in cinquant’anni tanti semi piantati con larghezza portano frutto e crescono. Quello che si raccoglie magari non sono i grandi successi pastorali, o i modelli di una chiesa trionfante, ma la qualità delle relazioni e la consapevolezza del valore di legami umani e spirituali tessuti nel corso di una vita.

È la meravigliosa realtà che Paolo descrive con l’essere in Cristo, ossia quel vincolo di comunione che costituisce la comunità, ben al di là dei legami visibili e ne fa una cellula del Regno di Dio.

Allora riprendo questo testo da capo e ricomincio così:

Cara Comunità,

non so davvero come ringraziarti per l’impegno di questi giorni, e in generale in questo maggio di fuoco.

Come parroco, alcune volte ho lo scrupolo di chiedere troppo. Poi vedo tanto entusiasmo, così tanta disponibilità e provo semplicemente a godermi questo fiume di gratuità che scorre e sana, e disinfetta la vita.

Sapete, alcune volte mi capita ancora di parlare del “parroco” e di pensare a don Valeriano. Non penso che sia mancanza di responsabilità o velleità di sfuggire al mio ruolo, ma solo l’esperienza affettuosa di sentire una presenza affidabile che mi fa compagnia.

Guardando la passione e la partecipazione di questi giorni penso che succeda lo stesso anche a voi e ne sono felice.

Nel riconoscere questi cinquant’anni di dedizione alla chiesa di don Valeriano, io penso anche a ciascuno di voi: ai ragazzi che fanno gli esami, a quelli che hanno assunto i primi incarichi nella nostra comunità, a quelli che hanno compiuto diciott’anni, a chi inizia l’università e a chi la finisce, a chi inizia o cambia il lavoro, a chi si fidanza, chi sceglie di sposarsi, chi vive giorno dopo giorno la sua fedeltà, chi cambia la vita perché sono arrivati dei figli, chi festeggia gli anniversari, o la pensione o, più semplicemente, il raggiungimento di qualsiasi obiettivo, o l’adempimento di un impegno.

Penso ad ogni traguardo, insomma, piccolo o grande, della vita o di questo tempo presente, con la consapevolezza che sono tutti  rispecchiati in quello di don Valeriano e nella grande partecipazione della nostra comunità.

Don Davide

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