Feb 04

La Giornata Mondiale del Malato

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Domenica prossima, giorno della B.V. di Lourdes, celebreremo la Giornata Mondiale del Malato, con una messa (quella delle 11) dedicata all’Unzione degli Infermi.

Già di per sé, celebrare la Giornata “del Malato” risulta essere un atto in controtendenza: primo, perché la malattia, come la morte, tende a essere rimossa, ad essere considerata un’infamia e una vergogna, oltre che una sfortuna, e quindi chiamare qualcuno “malato” risulta essere poco delicato, non rispettoso o discreto. In secondo luogo, perché associare la parola malattia all’idea di una celebrazione, potrebbe essere sgradevole, quasi blasfemo, come se fosse un rigurgito masochista della fede cristiana.

Invece, tenacemente, la Chiesa continua a non rimuovere le parole più scomode della nostra cultura, quali ad esempio “malattia”, e a celebrare questa giornata, per renderci sensibili ai problemi, e non farci percorre la via più facile, che sarebbe quella di trascurarli.

La prima cosa che la Giornata del Malato smaschera è il nostro rapporto difficile con la malattia, perché rischiamo di avere un approccio distorto alla vita. La malattia, quando compare, materializza tutte le nostre paure più recondite. Se compare in noi, rende concreta la percezione di essere più sfortunati degli altri, di non essere benedetti, di essere delle vittime. Se compare in qualcuno che ci è vicino, ci terrorizza per quello che potrebbe accadere, ci fa toccare con meno le nostre debolezze, quando vorremmo fuggirla eppure dobbiamo avvicinarla. La malattia, in qualunque modo, incrina la nostra speranza di una vita perfetta, priva di dolore, non toccata dalla difficoltà. Soprattutto, infrange il mito della vita per sempre, l’idea che il corpo non declinerà mai… La malattia, quindi, ci chiede di avere un rapporto onesto con l’esistenza e con la nostra vita. Spesso, oltre al dolore che diventa insopportabile, può essere questa mentalità sbagliata che crea le sofferenze più inaccettabili.

La seconda cosa su cui la presenza della malattia ci interpella, è che visione abbiamo di Dio. Perché è con lui che la facciamo, non appena siamo colpiti. Ci immaginiamo un Dio che tenga in mano un mondo dove non c’è nessuna esperienza negativa, ma non è così. Il mondo è creato, avviato e lasciato libero. Nemmeno il Figlio di Dio è stato risparmiato dall’ingiustizia, dalla sofferenza insensata, dalla violenza gratuita e dalla morte. E tuttavia, Dio prende posizione accanto a noi e ci dice che lui non sta mai dalla parte della sofferenza, ma sta dalla parte nostra, in questa lotta. Dio non vuole la malattia, ma lotta con noi, toccando il nostro cuore e la nostra libertà, per vincerla. La malattia, quindi, interpella la nostra responsabilità: ci mette in gioco nella solidarietà, nella cura, nella compassione… come fa lui stesso con noi. Lui non ci lascia soli; noi non dobbiamo lasciare solo nessuno. Lui si prende cura di noi; noi dobbiamo prenderci cura dei nostri fratelli e sorelle. È così che funziona.

Da ultimo la malattia associa chi soffre alla sofferenza di Cristo, e Gesù stesso viene a portare quella sofferenza. Gesù diventa il Buon Samaritano e il Cireneo al tempo stesso. Non significa che la malattia è una cosa buona. Significa che come la Croce di Gesù, che non era buona, ma Gesù l’ha cambiata per il bene degli uomini, così anche chi vive la sofferenza può scegliere di cambiarla in un cammino di purificazione, in un esercizio di pazienza, in un’offerta associata all’amore di Dio per la salvezza di qualcuno… Come avvenga questo, è un mistero che solo chi l’attraversa lo può dire. Tuttavia, molti santi e persone comuni hanno testimoniato che, ad un certo punto, anche la sofferenza peggiore poteva essere vissuta in modo buono.

A tutti quelli che non sono malati nel fisico, spetta il compito della vicinanza e dell’aiuto, perché nessuno sia lasciato solo, nessuno si senta troppo fragile o in difficoltà. Il senso del Sacramento dell’Unzione degli Infermi è esattamente questo: la sollecitudine della Chiesa che, nella fede, e con un sacramento del conforto, prova a fare sentire la sua vicinanza a tutti i malati, li affida alla grazia di Gesù e infonde loro la capacità di vivere la sofferenza come un’esperienza dell’esistenza, come una cosa che ci chiede di fare verità su noi stessi e su Dio e come una cosa che possiamo vivere insieme alla Croce di Cristo.

Il Sacramento dell’Unzione, nella fede della Chiesa, ha il potere di guarire. Alcune volte guarisce nel corpo e protegge. Ma sempre guarisce nel senso che infonde questa capacità di visione, che permette di affrontare quello che è, spesso, il più doloroso dei viaggi.

Don Davide

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