Nov 13

Tra l’Eucaristia e il mondo

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Il Congresso Eucaristico Diocesano, che inizia oggi, si apre in mezzo a sconvolgimenti e false promesse messianiche. Abbiamo sempre la tentazione di rifugiarci in qualche sicurezza a basso costo, purché nessuno ci obblighi a interrogarci seriamente sulla storia che, come cristiani, siamo chiamati a vivere e a interpretare.

Invece, tante volte abbiamo l’impressione che il nostro cristianesimo sia inefficace, collocato marginalmente rispetto alle grandi sfide del mondo, incapace a raccoglierne fino in fondo le provocazioni.

La seconda lettura, però, ci propone l’atteggiamento degli apostoli come modello: segnatamente Paolo. Un uomo che, dopo l’esperienza dell’incontro con il Risorto, non è rimasto ozioso. Ha lavorato seriamente per annunciare il vangelo, ma anche custodendo la pace e la tranquillità. Mi sembra che noi abbiamo oggi un esempio di questo stile in papa Francesco, che entra continuamente e con coraggio nei nodi dell’esistenza di oggi, e a farlo con sollecitudine e segnalando l’urgenza, ma allo stesso tempo lavorando con grande serenità e pace. La terribile diseguaglianza delle povertà mondiali; il problema delle migrazioni che – su scala mondiale – è ben più ampio e più drammatico di quello che noi percepiamo nel Mediterraneo; il bisogno di creare ponti e vie di incontro, in un vivere che è sempre più connesso tra tutti i popoli, le razze e le culture, e che si vorrebbe sempre più definire con muri e confini; la questione ecologica seria, per la salvaguardia del pianeta e il diritto di vivere delle generazioni future; l’esperienza di ferite micidiali nel mondo degli affetti personali, che hanno bisogno di essere curate; infine, la percezione netta della misericordia, come unica strada per sanare la rovina dell’esistenza, e collaborare alla redenzione del mondo e all’instaurarsi della nuova creazione di Dio.

Di fronte a tutto questo, Gesù ci dice di non farci spaventare, che non è la fine del mondo – perché “la fine” non sarà quando il mondo sfuggirà dalle mani amorevoli di Dio, ma quando lui deciderà di raccoglierne i destini – e che possiamo invece cogliere tutte queste sfide per dare testimonianza, anche con una certa semplicità e immediatezza.

Il Congresso Eucaristico Diocesano ci offre la sorgente per questo atteggiamento, nella celebrazione dell’eucaristia, che passa dal culto alla vita ordinaria. La tradizione dei Congressi Eucaristici non mette tanto al centro l’adorazione dell’ostia consacrata, come spesso erroneamente si pensa, ma il valore complessivo della celebrazione dell’eucaristia, di cui la Chiesa di Bologna è stata per molti decenni maestra ineguagliata riconosciuta a livello mondiale. I congressi eucaristici, si propongono, infatti, di recuperare il significato dell’atto del celebrare il culto in spirito e verità e in santità di vita, migliorando certamente lo stile della celebrazione, ma anche permettendo di raccoglierne la ricchezza da portare nella propria vita personale e nella pastorale della comunità.

Vorrei perciò, tra le altre cose, provare cogliere questa opportunità, radicandoci nell’essenziale della celebrazione, soprattutto nella celebrazione feriale. Sono appena stato un paio di giorni in un eremo camaldolese, dove l’eucaristia ruota attorno nella maniera più sobria possibile alle due mense: l’ascolto della parola e l’offerta del pane e del vino, in modo che ci sia più spazio per il silenzio (dopo l’ascolto della Parola e un breve commento radicato nella forza dei testi) e per unire la propria preghiera all’efficacia delle parole e dei gesti dell’offerta eucaristica. Non nascondo che alcuni accorgimenti in questa direzione mi sembrano interessanti, e che il tempo del Congresso Eucaristico Diocesano potrebbe essere l’occasione per tentare di caratterizzare ancora meglio lo stile della nostra messa feriale, in modo che anche la celebrazione festiva – che raduna tutta la comunità – possa guadagnarci e offrire la gioia di una preghiera e di una festa vissute intensamente.

 Don Davide

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