Nella festa dei Santi ascoltiamo le Beatitudini, come indicazione di chi siano le persone sante: sono coloro che sono “felici” secondo i criteri di Dio, non quelli del mondo.
Non sono, ad esempio, i ricchi, ma i “poveri nello spirito”, cioè chi sa di dovere ricevere o imparare, chi non si sente superiore agli altri ed è semplice, amichevole e gentile con tutti.
Nelle parole di Gesù, però, c’è anche un altro segreto: un significato nascosto che si palesa solo a chi è disponibile a lasciarsi interpellare, a chi – come dice il prologo della Regola di San Benedetto – alla domanda del Signore: “C’è qualcuno che desidera la vita e brama lunghi giorni per gustare il bene”, risponde prontamente: “Io!”.
In molte delle beatitudini Gesù usa il verbo al passivo, principalmente per indicare che il soggetto di quell’azione è Dio. Nell’esegesi viene chiamato “passivo teologico”. È Dio stesso, dunque, che consola, che concede in eredità e che agisce in tutte le altre beatitudini.
Tuttavia, ricordando l’invito rivolto all’assemblea del Popolo di Dio: “Siate santi, come io il Signore, sono santo” (Lv 19,2), possiamo ascoltare l’invito a… rubare il posto a Dio! Lui lo desidera, ci fa spazio volentieri. Se noi abbiamo risposto: “Io! Io desidero la vita!” lui ci consiglia di seguire una strada non evidente, ma intima e vera.
Ci dice: “Mettiti tu al mio posto e consola, valorizza la mitezza, concedi giustizia, dona misericordia, costruisci rapporti basati sulla purezza, benedici i pacifici, fai sentire l’amore ai perseguitati.”
Le Beatitudini, dunque, potrebbero essere riscritte anche così, oggi:
“Beati coloro che sono semplici nell’animo, che non si attaccano al potere né lo bramano, ma sanno stare con tutti. Loro vivono costantemente nell’esperienza dell’amore di Dio.
Beato chi consola chi è nel pianto, lenisce le ferite, alleggerisce qualche peso.
Beato chi osa concedere l’autorità e consegnare il mondo alle persone più miti.
Beato chi sazia gli affamati e fa giustizia a chi riceve soprusi.
Beato chi perdona e chi rispetta anche chi ti ha fatto un torto, come fa Dio.
Beato chi tratta le persone con purezza, chi rispetta l’amore, chi non offende il corpo dell’altro e non ne umilia l’anima.
Beato chi custodisce i pacifici e concede loro spazio, togliendolo ai signori della guerra.
Beato chi aiuta i perseguitati e gli oppressi, in qualsiasi modo possa o sappia farlo.
Quando uno si infila così nei panni di Dio o accanto a lui, sperimenta, poi, cosa succede a Dio stesso. Perché, ancora una volta, è Dio stesso che si fa povero come un re che voglia stare alla tavola dei suoi sudditi. È Dio stesso che piange, talvolta, perché ci sono così poche persone disposte a consolare. È Dio stesso che non viene incontro a noi nella sua ira, anche se potrebbe, e si fa mite, perché noi possiamo continuare ad abitare la Terra.
È Dio che ha fame e sete che gli uomini siano giusti, e brama che il peccato non travi la percezione della “giustizia” che abbiamo di lui.
È sempre Dio che ha misericordia, per primo.
Dio ha il cuore talmente puro da guardare l’uomo e da trovarlo bello e da pensare che l’uomo e la donna – l’umanità – siano una cosa “molto buona”.
È lui, che pur essendo il Signore delle Schiere, l’Ammiraglio dell’Esercito Celeste, sceglie la via della pace e ne promulga l’editto.
Infine, Dio stesso, in Gesù, è stato perseguitato e continua ad esserlo, in tutti i Crocifissi della storia per dire che di loro, a quelle croci, a quelle sofferenze appartiene il dono supremo dell’amore di Dio e la sua ricompensa.
Don Davide
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