Gen 29

La politica di Dio

Di

Viene da chiedersi: “C’è qualcosa di meno sapiente delle Beatitudini?”. Potremmo mai dire, noi: “Beati coloro che piangono?”. Cosa ci risponderebbe chi piange veramente?

Non dovremmo forse dire, come già successe ai tempi di Malachia: “Dobbiamo invece proclamare beati i superbi, che pur facendo il male, si moltiplicano e, pur insultando Dio, restano impuniti.” (Mal 3,15).

Sì, sfida posta dalle Beatitudini è uno sport estremo. Potremmo essere anche tentati di pensare che Gesù ha calcato la mano, ha voluto iniziare la sua predicazione col botto, in modo che tutti gli dessero attenzione, come fanno gli ammaliatori e i potenti. Ma qui, Gesù non ha voluto fare il bravo oratore, e usare la retorica. Certo, Gesù era anche un ottimo oratore, ma inaugurando la sua predicazione con le Beatitudini ha voluto andare al succo delle cose.

Gesù aveva appena chiamato i primi quattro discepoli, due coppie di fratelli, dichiarando così – in modo simbolico – di dare inizio a un nuovo corso delle relazioni tra gli uomini (non più come Caino e Abele o Esau e Giacobbe), di volere inaugurare una nuova tappa della storia della salvezza (Giacobbe era il padre di Israele, così nuovi discepoli saranno “pescatori di uomini”) e di volere percorrere, insieme a chi vorrà seguirlo, un cammino di libertà e di amore (“lasciarono il padre”).

Ora le Beatitudini sono la prima cosa che impariamo al seguito del Maestro. Il mondo deve cambiare.

Non so davvero come sia possibile che la Chiesa, in alcuni periodi della storia, si sia assestata sull’ordine costituito, ma il Vangelo dice che finché ci saranno poveri, afflitti, emarginati, cercatori di pace, persone che non cedono alle seduzioni perverse, donne e uomini miti e umili, costruttivi… deve essere all’opera una forza di cambiamento. Quel futuro espresso da Gesù: “saranno” evoca molto intensamente la forma ebraica dei Dieci Comandamenti, che potrebbe essere meglio tradotta con un verbo futuro: “Non avrai altro Dio; santificherai le feste; non ucciderai ecc. ecc.”. Il vangelo è scritto in greco, non in ebraico, ma abbiamo sufficienti ragioni per dire che un autore ebreo come Matteo scriveva in greco ma pensava in ebraico, e quindi ha fatto echeggiare nel ricordo delle Beatitudini la forma imperativa, vincolante. Il “comandamento” inteso nel senso migliore del termine. L’indicazione della via. “Se qualcuno è afflitto, dovrà essere consolato. Se qualcuno cerca la giustizia e la pace dovrà essere saziato… Chi è puro di cuore, non può essere che non veda Dio…”

Ecco qual è la sapienza delle Beatitudini: è una sapienza politica. Esse sono un manifesto politico, sono la “campagna elettorale” di Gesù. Che infatti non è andata a finire tanto bene. Sì, perché noi rischiamo di fare come nel simpatico film di Ficarra e Picone, L’ora legale. Tutti diciamo di desiderare il cambiamento, ma poi dimostriamo di non volerlo veramente. Perché il cambiamento ci impegna. E mentre noi pensiamo che torni a nostro vantaggio, subito capiamo che deve andare anche a vantaggio degli altri, e allora le cose cominciano a starci strette.

Ma Gesù è abituato a mantenere le sue promesse elettorali, ancorché scomode, e vuole che “i suoi” facciano altrettanto. Quindi, questo popolo “umile e povero” (Sof 3,12) di cui parla il profeta nella prima lettura si deve rimboccare le mani e mettersi al lavoro, perché le Beatitudini sono la politica di Dio.

Don Davide

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